Nel mio piccolo ho avversato Renzi quando guidava un partito che aveva il 40%, era il Re Mida della politica italiana e il popolo gli sbavava dietro. Non era facile essere minoranza nel Partito Democratico e qualche prezzo, per questo, l’ho pure pagato.
D’altronde la storia italiana insegna che sotto il balcone del potente di turno si raduna la stessa folla osannante che poi piscerà sul cadavere di colui che fu uomo della provvidenza: più che altro per emendare le proprie colpe.
Non ho mai creduto alla contrapposizione tra una società civile buona e una classe politica cattiva. I politici ipocriti, opportunisti e voltagabbana sono espressione del popolo che li sceglie. Pertanto non credo alla genuinità della marea di indignazione che sale e sorrido ascoltando il grido “dagli all’untore”.
Non sono Montanelli, che sosteneva di stare dalla parte delle streghe quando si accendevano i roghi. Tuttavia, perché questo stupore e questa indignazione? Renzi fa il Renzi: non è che sia diventato un ganassa oggi. Era un bulletto quando aveva l’Italia ai suoi piedi e tale è rimasto ora che guida un partito che in caso di elezioni non entrerebbe neanche in Parlamento. Incoerente, cinico, dotato di un ego smisurato. Destrutturato, privo di alcuna idea forte, gommoso come la plastilina. Oggi si professa addirittura garantista, dopo avere alimentato la gogna mediatica contro Marino e proposto a ministro il campione nazionale del giustizialismo.
Renzi è l’emblema della politica ridotta a lotta di potere, a scontro personale, a mortificazione dell’interesse generale. Il potere per il potere: quindi può essere (come è già stato) tutto e il contrario di tutto. Come l’altro Matteo, come Di Maio, come la corte di nani che da qualche decennio occupa la scena politica italiana.
Verrebbe davvero voglia di andare ad elezioni, pur di toglierlo dai piedi. Ma non accadrà, non ora. Ne è consapevole lo stesso Renzi, che altrimenti non farebbe la voce grossa, né correrebbe il rischio di scomparire a causa della sua invidia penis.