Palamara, atto secondo

Un anno dopo l’uscita del libro-intervista Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana, Alessandro Sallusti e Luca Palamara sono tornati in libreria Lobby & Logge. Le cupole occulte che controllano «il Sistema» e divorano l’Italia, che completa il quadro sconcertante dello stato della giustizia in Italia. Il secondo atto è un viaggio in quello che Palamara definisce il “dark-web” del sistema giudiziario, l’ombra nella quale si muovono «faccendieri, servizi segreti più o meno deviati, logge all’incirca massoniche o più semplicemente lobby che usano la magistratura, a sua volta lobby potente, e l’informazione, per regolare conti, consumare vendette, puntare su obiettivi altrimenti irraggiungibili, fare affari e stabilire nomine propedeutiche ad altre, e ancora maggiori utilità, Cambiare, di fatto, il corso naturale e democratico delle cose».
La mia impressione è che questo secondo volume stia avendo un risalto mediatico inferiore rispetto al primo, nonostante la realtà descritta offra molteplici spunti di riflessione. Dalla presunta loggia Ungheria alle faide correntizie, alle dinamiche “politiche” che determinano la gestione di inchieste e pentiti, alla deriva giustizialista iniziata con Tangentopoli, all’opacità di certa antimafia, per finire all’implosione di un sistema che ha portato a compimento la profezia di Francesco Cossiga: «Finiranno ad arrestarsi tra di loro». Dalla giustizia ad orologeria all’intreccio perverso tra procure e informazione, che fa dire a Palamara che un gruppo composto da un procuratore della Repubblica con i suoi aggiunti e sostituti, un ufficiale della polizia giudiziaria “ammanicato” con i servizi e un paio di giornalisti delle testate più importanti ha un potere superiore a quello del Parlamento, del premier e dell’intero governo.
Lo spaccato inquietante conferma quanto sia indispensabile mobilitarsi a sostegno dei referendum che si terranno il 12 giugno. Tranne qualche rara eccezione, da questa classe politica non c’è da attendersi nessun sussulto di dignità sul tema della giustizia. Solo ipocrisia, come quella di chi sostiene che le riforme vanno fatte in Parlamento: campa cavallo. Tanto che fa venire i brividi alla schiena la reazione scomposta dell’Associazione nazionale magistrati contro la mini-riforma Cartabia: un attacco sostanziale al principio cardine della separazione dei poteri, secondo il quale compito dei giudici è applicare le leggi, non produrle.
Sono emblematici il mutismo del servizio pubblico e l’indifferenza generale nei confronti della mortificazione del fondamentale diritto dei cittadini ad essere informati sui referendum. Così come il silenzio assordante sulle vicende raccontate da Palamara, che coinvolgono toghe stellate e i vertici istituzionali della magistratura e della politica italiana negli ultimi vent’anni.
Tutto questo conferma la sensazione di avere di fronte una casta dalla doppia morale. Sull’esistenza di due giustizie, con un metro di giudizio valido per tutti tranne che per i magistrati e uno esclusivo dei giudici, profetiche appaiono le parole di Giulio Andreotti, opportunamente rievocate da Sallusti: «Quando ho dovuto affrontare il mio processo ho capito perché la stupenda scritta “La legge è uguale per tutti” è alle spalle e non davanti agli occhi del giudice».

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