Ci siamo ritrovati in tanti a Santo Stefano, stamattina, per porgere l’ultimo saluto al professore Elio D’Agostino. In una sorta di appello intergenerazionale, molti ex studenti del liceo scientifico “Fermi” di Sant’Eufemia d’Aspromonte si sono stretti alla moglie Elvira, ai figli Linuccia, Rocco, Cristian e Simone, con le rispettive famiglie. E se, mentre si svolgeva la funzione religiosa, la malinconia dei ricordi inevitabilmente strappava le ragnatele del tempo, l’affetto per il nostro vecchio professore di italiano e latino ha riportato tutti sul piano confortante dell’eredità culturale e morale da raccogliere e custodire come una gemma preziosa.
La mente è corsa velocemente a Dante. Le lezioni del professore D’Agostino sulle terzine della Divina Commedia ci tenevano incollati alla parola. Ci ha fatto scoprire il lato nascosto o comunque meno conosciuto delle interpretazioni dei versi danteschi. Era quasi un gioco andare a verificare se la sua spiegazione coincideva con le note del Sapegno. Anche se non ce n’era bisogno, perché lui stesso ci avvisava che per ogni terzina le spiegazioni potevano essere molteplici. Ce le proponeva tutte collegando il vicino con il lontano, l’alto con il basso, l’antico con il recente. Grazie a lui abbiamo amato il Sommo Poeta e sopportato la metrica latina.
Per tre decenni è stato un solido punto di riferimento all’interno della comunità eufemiese. Ha continuato ad esserlo anche dopo il pensionamento, quando non era infrequente vederlo partecipare ad iniziative culturali, in particolare quelle organizzate dall’Associazione “Terzo Millennio”. Seduto tra il pubblico, gli occhi semichiusi come a cercare il filo di un intervento che avrebbe messo tutti d’accordo, ognuno di noi attendeva che prendesse il microfono. Il silenzio che circondava le sue parole era la prova più evidente del riconoscimento di un’autorevolezza culturale assoluta.
Sono stati diversi gli allievi che andavano a trovarlo a casa, specialmente chi dopo la maturità aveva intrapreso un percorso universitario umanistico o chi aveva bisogno di consigli per la preparazione dei concorsi per docenti nelle scuole. È stato generoso con tutti, a dispetto della fama che lo dipingeva come un po’ avaro nella valutazione degli studenti. In realtà, D’Agostino non era severo nei giudizi. Era giusto, come dovrebbe essere ogni insegnante che abbia veramente a cuore il bene dei suoi ragazzi. La sua integrità morale garantiva l’accettazione di qualsiasi voto da parte di studenti e genitori. I voti bassi non erano un giudizio divino, ma un pungolo a fare di più e meglio. Traevano origine da un profondo senso del dovere, contro il quale imprecavamo quando, seppure leggermente in ritardo, arrivava a scuola nonostante la neve caduta nella notte lungo la strada che da Santo Stefano portava a Sant’Eufemia.
La mia generazione ha avuto la fortuna di trovare nel liceo di Sant’Eufemia docenti preparati ed educatori straordinari (Elio D’Agostino, Rosario Monterosso, Adoneo Strano), entrati nel cuore degli studenti e delle famiglie con la forza dell’esempio, dell’empatia, dell’umanità e dell’umiltà. Nel suo intervento sul sagrato della chiesa Francesco Luppino, allievo del “Fermi” e oggi primo collaboratore del dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Don Bosco”, ha sottolineato l’importanza di D’Agostino nella formazione di intere generazioni di eufemiesi: «Ha dedicato la sua vita alla scuola non come un lavoro, ma come un dovere, sentendo profondamente la sua missione di educatore nel senso socratico, cercando di far emergere dagli alunni le loro singole potenzialità, incoraggiandoli ma nello stesso tempo con la sua fermezza, la sua serietà e il rigore morale richiamandoli al senso del dovere, aiutandoli, aiutandoci a maturare come uomini in mezzo agli uomini, con la responsabilità del sentirsi tali».
Il mio ultimo ricordo da liceale è legato alla prova orale dell’esame di maturità. Nel 1992 la commissione era composta da docenti esterni e da un solo rappresentante interno, che per la mia classe fu il professore Monterosso. La mattina in cui dovetti sostenere l’esame era però presente anche il professore D’Agostino, che aveva accompagnato la figlia Linuccia, mia compagna di classe. Mi vide vicino ad una finestra, mentre cercavo di concentrarmi e di tenere a bada la tensione. Si avvicinò e con la sua consueta calma mi disse: «Come va? Stai tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene», con lo sguardo e il tono di voce del genitore, non del docente.
La comunità eufemiese piange insieme a quella di Santo Stefano la perdita di un grande figlio. In un pubblico manifesto affisso per iniziativa di Carmela Cutrì, allieva ed erede della cattedra che fu di D’Agostino, gli alunni transitati dal “Fermi” hanno preso in prestito le parole di Seneca («Da un uomo grande c’è qualcosa da imparare anche quando tace») per rivolgere al loro professore un saluto riverente: «Ha lasciato un segno indelebile in ognuno di noi, PROFESSORE. Grazie per i suoi insegnamenti, la sua grande umanità, la sua fermezza, la sua immensa cultura, il suo irreprensibile senso del dovere. Grazie per quanto ci ha donato».
Una grande persona che ho avuto l’onore di conoscere negli ultimi suoi anni di vita. Un esempio per me e i malati.