Per onorare l’evento “Primavera di libri”, anche quest’anno il Terzo Millennio ha scelto molto bene. Non nascondo di essere un po’ di parte, perché Carmine Abate è tra i miei scrittori preferiti. Proprio per questo ho considerato un bel regalo la decisione dell’associazione di affidare a me il compito di conversare con l’autore, al quale ho sottoposto una serie di domande sul suo ultimo romanzo e sui temi centrali della sua più vasta produzione letteraria.
Come i protagonisti del romanzo, ci siamo chiesti come sia stato possibile uno scempio di tale portata. Sarebbe interessante riuscire a comprendere dove finisca il pregiudizio, che esiste e che noi calabresi subiamo quotidianamente, e dove inizi il compiacimento con il quale ci autoassolviamo da responsabilità che sono anche nostre.
Abbiamo parlato di Sud, Calabria, identità, emigrazione, dei soprusi di uno Stato spesso ostile, sin dal 1861. La vicenda narrata in “Un paese felice” è emblematica: 700.000 alberi distrutti e un borgo raso al suolo utilizzando il ricatto del posto di lavoro, in nome di uno sviluppo industriale mai iniziato, sulla base di un progetto antistorico e antieconomico già nel momento in cui il Quinto centro siderurgico veniva sbandierato come la salvezza per l’intero territorio. Troppe poche persone hanno difeso Eranova, mentre partiti e sindacati pendevano dalle labbra di Giulio Andreotti, nello storico discorso tenuto a Gioia Tauro il 25 aprile 1975.
Gli spunti di riflessione offerti dal romanzo sono stati tanti. Il rapporto con la Storia Grande, l’intreccio tra generi letterari, i riferimenti autobiografici, gli autori “omaggiati” da Abate nel romanzo: Gabriel Garcia Marquez e la sua Macondo, alla quale Eranova somiglia poiché racconta le “stesse storie di solitudine, di ingiustizie e di lotta”); Pier Paolo Pasolini e la necessità di prendere coscienza dei problemi del mondo per non fare la fine di Riccetto nel cortometraggio “La sequenza del fiore di carta”; Corrado Alvaro e la denuncia nel suo “Itinerario italiano”: «Sono pochi i paesi d’Italia che abbiano conosciuto meglio della Calabria l’ingiustizia, il sopruso, la violenza».
Mi ha colpito l’attenzione dei presenti, un atteggiamento non consueto quando si parla di libri e quasi subito cominciano a manifestarsi nell’uditorio segnali di stanchezza. Le due ore trascorse con Abate sono invece volate senza distrazioni, con grande soddisfazione per tutti: per lui (lo ha anche sottolineato), per il pubblico e per il Terzo Millennio, cui va il merito di avere organizzato un’iniziativa dal grande valore culturale.