La sconfitta referendaria

L’astensione al referendum sulla giustizia è stata talmente alta che tutte le ragioni di un fallimento di così vasta portata sono probabilmente valide. Una considerazione di carattere preliminare, che esula dai temi dei quesiti, va comunque fatta: dal 1997 ad oggi si sono tenuti nove referendum abrogativi e soltanto una volta (2011) il quorum è stato raggiunto. A testimonianza dello scarso appeal dello strumento di democrazia diretta previsto dalla Costituzione, almeno così com’è strutturato.
Poi, ovviamente, esistono ragioni più contingenti. Dalla selezione dei quesiti operata dalla Corte costituzionale, che ha cassato quelli che avrebbero “tirato” di più, alla scelta della data nella quale gli italiani sono stati chiamati alle urne, allo svolgimento della votazione in un’unica giornata, al silenziamento del dibattito politico operato dai mezzi di informazione. Senza dimenticare che la disaffezione degli italiani al voto viene ormai confermata ad ogni appuntamento elettorale da diversi anni. Basti pensare ad elezioni amministrative che, domenica, hanno registrato la partecipazione di neanche il 50% degli aventi diritto al voto. L’astensione fisiologica e l’indicazione di disertare le urne hanno così consentito di centrare con facilità l’obiettivo di fare saltare il referendum.
Per raggiungere il quorum sarebbe stata necessaria una mobilitazione massiccia, impossibile senza il coinvolgimento delle strutture partitiche. Che non c’è stata per le posizioni contrarie o pilatesche dei maggiori partiti politici. Neanche la Lega, che pure era tra i promotori del referendum, ha dato segni di vita, a differenza di quando furono raccolte le firme. A conferma di quanto quella iniziativa fosse stata essenzialmente strumentale, come molte altre di Salvini sui più svariati temi politici. D’altronde, non è una novità che il leader della Lega sia capace di sostenere oggi una posizione e l’indomani il suo contrario. Con il risultato di non avere alcuna credibilità e di generare soltanto confusione: non si può essere lunedì manettari e martedì dimostrarsi sensibili al tema dell’iniquità della carcerazione preventiva. Oltretutto, laddove c’era da eleggere un sindaco, gli esponenti della Lega hanno preferito concentrare le proprie forze sulla campagna elettorale per le amministrative.
Mi sento di escludere che la “colpa” sia degli elettori che domenica hanno preferito andare al mare. Se gli italiani non hanno compreso l’importanza delle questioni sulle quali avrebbero dovuto esprimersi, vuol dire che il messaggio, per le ragioni già espresse, non è passato.
Ciò non toglie che le questioni dello stato di diritto e del funzionamento della giustizia in Italia rimangono di stretta attualità. Non bisogna arretrare, anzi è di vitale importanza proseguire in una battaglia che riguarda tutti, anche gli otto italiani su dieci che in questa circostanza hanno preferito fare altro.

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