Dovrebbe pur esistere una via di mezzo tra il baciamani e lo sganciamento delle bombe. Per un governo che non sia schizofrenico, la normalità è data dalla coerenza delle azioni con la strategia politica. Quando c’è. Sta tutta qua la differenza tra una visione di ampio respiro della politica estera e un approccio estemporaneo, approssimativo e privo di un’idea di fondo. Da più parti è stato evidenziato l’eccesso di riverenza manifestato dal governo nelle due visite di Gheddafi in Italia, quando addirittura si tollerarono le lezioni sul Corano propinate dal rais a un uditorio di modelle appositamente retribuite e le bizze da autentica star, dalla tenda a Villa Pamphili agli indecenti ritardi negli appuntamenti istituzionali. Real politik, si dirà. Può darsi. La stessa, forse, che ha indotto Berlusconi a “non disturbare” il suo amico nei giorni iniziali della sollevazione del popolo libico.
Il presidente bifronte
Il premier ha una concezione molto forte dell’amicizia e la ribadisce in ogni circostanza, si tratti di una telefonata in questura per fare rilasciare la nipote di Mubarak o di 150.000 euro dati ad una giovane perché possa completare gli studi universitari. E poi adora mostrarsi simpatico e confidenziale, non nascondendo di subire malvolentieri le imposizioni dettate dal protocollo che spesso e volentieri strapazza. La pacca sulle spalle dell’interlocutore costituisce da sempre il suo inconfondibile brand, cui vanno aggiunti l’ormai celebre “cucù” ad Angela Merkel, il gesto delle corna nelle foto ufficiali e una barzelletta estratta a caso dal suo vastissimo repertorio.
Un cambio di direzione così repentino esigerebbe quindi una spiegazione. Non più tardi di due settimane fa, il presidente del consiglio aveva categoricamente negato la possibilità di una partecipazione italiana ai bombardamenti (“facciamo già abbastanza”). E sono agli atti, per così dire, gli attacchi dei giornali filogovernativi al protagonismo di Sarkozy, paragonato senza mezzi termini a un novello Napoleone promotore di una moderna e avventata campagna d’Africa per ragioni di politica interna.
L’escalation militare ha pertanto scatenato i dietrologi sugli inconfessabili e indefiniti interessi che supporterebbero la svolta berlusconiana. Ma ha fatto anche affiorare il mal di pancia leghista, ultimamente acuito dal timore di un ridimensionamento elettorale alle prossime amministrative. A sentire alcune dichiarazioni, la rottura sembrerebbe imminente, ma si sa che Bossi è incline allo strappo temporaneo, per cui si dimostra in prima battuta roboante e apocalittico, per poi rivelarsi accomodante e ragionevole. Anche se alza la voce, definisce Berlusconi “guerrafondaio”, si fa negare al telefono e ispira l’aggressiva campagna di stampa del giornale di partito “La Padania” contro il berlusconiano “Il Giornale”, il leader della Lega non ha alcun interesse a provocare una crisi di governo. Ha invece la necessità di arginare l’unilateralismo del premier, che può creare qualche contraccolpo alle urne. Da qui la richiesta di convergenza sulla mozione leghista. Di ragioni ideali c’è davvero poco.