A pochi giorni dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro, la sensazione è da tramonto di un’epoca. Ciò non implica un giudizio negativo sul pontificato di Benedetto XVI. Anzi. Quando i fatti sedimenteranno e consentiranno agli storici una valutazione obiettiva, la statura morale, intellettuale e “politica” di Joseph Ratzinger avrà un giusto riconoscimento.
Ho ripensato spesso, in queste ultime settimane, alle parole rivolte da un minaccioso Napoleone Bonaparte al cardinale Consalvi, segretario di Stato di Pio VII – “Io distruggerò la vostra Chiesa” – e alla risposta del plenipotenziario pontificio: “Maestà, sono venti secoli che noi stessi cerchiamo di farlo, ma non ci siamo mai riusciti”.
C’è dell’inspiegabile – per chi crede, riconducibile ai piani insondabili di Dio – nella capacità della Chiesa di toccare il fondo per poi rialzarsi.
Dopo gli scandali del recente passato e la rinuncia di Benedetto XVI, urgeva un cambio di marcia. Ancora è troppo presto per azzardare se il volo ci sarà, ma la rincorsa è già visibile.
I primi passi di Francesco appaiono confortanti per tutti quei fedeli che vivono con ansia e smarrimento l’attuale situazione. L’attesa era grande ed è stato sufficiente poco (o molto: dipende dai punti di vista) per fare scoccare la scintilla: la rinuncia al crocifisso d’oro e alla mozzetta rossa; la richiesta di saldare il conto alla reception della Casa del Clero; il viaggio sulla navetta vaticana – preferita alla Mercedes nera targata SCV1 – e la scoperta che da cardinale Bergoglio era solito spostarsi in metropolitana, in autobus o addirittura in bicicletta. Nei suoi gesti, sobrietà, umiltà e calore: quanto basta per suscitare un istintivo moto di simpatia, che i continui strappi al protocollo (già diventati un tratto distintivo del suo pontificato) favoriscono ulteriormente: la ricerca del contatto fisico con i fedeli, i discorsi a braccio, le battute ironiche e le confidenze personali, come la rivelazione dell’invito rivoltogli del cardinale brasiliano Claudio Hummes nel corso dello scrutinio (“non dimenticarti dei poveri”), che ha determinato la scelta del nome: “l’uomo della povertà (“come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”), l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”; o il ricorso alle parole di un’anziana signora incontrata in Argentina per spiegare il vero significato della parola misericordia, tema centrale del suo primo Angelus. E poi quell’invocazione (“pregate per me”), ripetuta sin dal giorno dell’elezione, insieme alla raccomandazione di “parlarsi gli uni con gli altri”. Ascoltare e parlare. Una soluzione nuova e antica. Come la Chiesa che ha in mente Francesco.