Sempre con maggiore frequenza, purtroppo, leggiamo che negli ospedali c’è carenza di sangue. Ospito pertanto volentieri sul blog l’intervento di mio fratello Luis, che sottolinea quanto sia importante donare il sangue, al di là dell’associazione con la quale si sceglie di farlo, e di come basta poco (non “basterebbe”, precisa esortando all’azione concreta della donazione) per dare sostanza e vita al concetto di solidarietà. Al suo invito unisco il mio, quello di un ex ventiseienne salvato dalla trasfusione consecutiva di sette sacche di sangue.
*Sono un donatore di sangue. A Sant’Eufemia sono attive due associazioni per la raccolta delle donazioni, Avis e Adspem; regolarmente, i giornali locali denunciano la cronica, drammatica carenza di sangue nelle strutture ospedaliere, esortando la popolazione a donare: eppure, sebbene nel nostro paese operino due realtà, la risposta eufemiese è scarsa. L’associazione di cui faccio parte vanta un gran numero di tesserati: tra questi, c’è chi riesce a donare assiduamente; c’è chi, per sopraggiunti limiti di età o di salute, non può donare, spendendosi comunque in maniera encomiabile per la causa; c’è chi, nonostante essere in condizioni ottimali per effettuare la donazione non sia agevole, ci prova sempre. E poi c’è chi alle donazioni non lo incontri mai. Ho più rispetto per chi non fa niente, che per chi finge di fare. Prima di continuare devo però confessare il mio peccato originale: per destare e spronare la mia attenzione, mi è stato necessario sentir fischiare le pallottole vicine, maledettamente vicine. Non voglio raccontare cosa mi ha scosso dal mio torpore e motivato, appartiene al mio vissuto più intimo, però è innegabile che per svegliarmi c’è voluto uno scappellotto ben assestato. Mai mi sarei fermato a riflettere sul fatto che spesso, molto più spesso di quanto si possa immaginare, un medico debba sostituirsi a Dio nello scegliere a chi dare una speranza di vita con il poco sangue a disposizione. Mi è stato detto che un dio cinico, seppur combattuto dentro un camice troppo stretto e che mai più sentirà candido, davanti alla scelta fatale salva il bambino e condanna il vecchio. E davanti a due bambini?
L’inspiegabile vola ad ali spiegate. Perdonate il banale gioco di parole ma personalmente ho sempre preferito la potenza disarmante dell’ironia al nichilismo dell’aggressività “di posizione”. Inutile scontrarsi frontalmente con l’ignavia e l’apatia di chi pensa di fare la sua parte pascolando compulsivamente sui vari social, salvo poi sparire all’atto pratico. Che, diciamocela tutta, se ti azzardi a muovere critica (una volta nobile presupposto, volano di miglioramento) al modus operandi imperante vieni prontamente tacciato di arroganza e mancanza di rispetto verso posizioni diverse dalla tua. Ma tant’è. Ci indigniamo sbigottiti per gli sconvolgenti risvolti dell’apertura di una lettera di Maria (no, non quella, l’altra, quella di canale 5…) ma non ci accorgiamo delle criticità attorno a noi. Palpitiamo per una noce di cocco sparita sull’isola dei famosi e sbuffiamo alterigia in attesa che al tg termini il servizio sui gommoni della disperazione. Eppure, basta poco. Non “basterebbe”, condizionale-alibi di fatalisti e disfattisti: “basta”, indicativo che non offre zone d’ombra di dubbia interpretazione. Purtroppo viviamo in un contesto storico basato sui punti esclamativi, sull’eclatante: se non fa notizia, audience, non interessa. È davvero così? Per conto mio, agli eroi da blockbusters cinematografici preferisco gli eroi invisibili di tutti i giorni, quelli che una cosa la fanno solo perché va fatta.
“Donare è ricevere”: questo lo slogan della mia associazione. Non ho detto quale sia delle due e non lo farò, non è importante. L’importante è donare, con chi è un dettaglio irrilevante.
*Luis Forgione, donatore