Le considerazioni sui provvedimenti di scioglimento dei comuni per infiltrazioni o condizionamenti mafiosi, espresse nella sua lettera a “Il Dubbio” dall’ex vicesindaca di Rende Marta Petrusewicz, hanno aperto un interessante dibattito, al quale l’avvocato Pasquale Simari ha offerto il contributo dell’esperto: «La vicenda di Rende – ha sottolineato – non si differenzia da quella della maggior parte dei Comuni sciolti per mafia».
Parole forti, suffragate da fatti che purtroppo godono di scarsa visibilità mediatica: le sentenze dei processi che, a distanza di anni dai titoloni dei giornali, ridimensionano o addirittura smentiscono le ordinanze di custodia cautelare. Sarebbe pertanto ora di pensare ad un albo dei comuni sciolti per mafia ingiustamente, da pubblicare (per dirla con Sciascia) “a futura memoria”.
Con questo spirito, mi permetto di segnalare il caso del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Il 25 febbraio 2020, la maxi retata dell’operazione “Eyphèmos” privò della libertà – tra gli altri – il sindaco Domenico Creazzo, appena eletto consigliere regionale in quota Fratelli d’Italia, il vicesindaco Cosimo Idà, il presidente del consiglio comunale Angelo Alati, il sottoscritto (consigliere di minoranza) e il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino. La presenza di cinque indagati “infiltrati” nel comune determinò la sospensione e poi lo scioglimento del consiglio comunale (14 agosto 2020): «All’esito di approfonditi accertamenti – si legge nel decreto – sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’ente locale a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale». Al termine dei diciotto mesi previsti dalla legge, secondo prassi consolidata, seguì la proroga di ulteriori sei mesi, poiché non risultava ancora “esaurita l’azione di recupero e risanamento” dell’ente.
Lo scioglimento dei comuni si fonda sulla relazione del prefetto al ministero dell’Interno: nella sostanza, la condivisione dei contenuti dell’ordinanza di custodia cautelare, a sua volta una sorta di copia-incolla degli “esiti dell’attività di indagine” e delle “notizie di reato” trasmessi dagli investigatori al pubblico ministero.
Tre anni dopo gli arresti, la sentenza di primo grado (17 febbraio 2023) ha smentito l’esistenza di un condizionamento dell’amministrazione comunale, poiché all’archiviazione del sottoscritto si è aggiunta l’assoluzione degli altri quattro indagati.
Per il sindaco di Sant’Eufemia Creazzo, l’accusa era di scambio elettorale politico-mafioso: a “cercare la ’ndrangheta è la politica e non il contrario”, aveva sentenziato la relazione del ministro Lamorgese. Quasi un anno e mezzo di arresti domiciliari e un provvedimento di obbligo di dimora, prima della sentenza di assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Il vicesindaco Cosimo Idà veniva presentato come “capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di ’ndrangheta di Santa Eufemia”. Nove mesi di carcerazione preventiva, la scarcerazione per accertato scambio di persona e l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Scambio di persona anche per Angelo Alati, presidente del consiglio comunale accusato di rivestire la carica di “mastro di giornata” e assolto perché “il fatto non sussiste”, l’inconsistenza indiziaria era già emersa nell’udienza del Tribunale del riesame che ne aveva ordinato la scarcerazione, un mese e mezzo dopo l’arresto.
Terzo scambio di persona riguardò chi scrive, accusato “di monitorare gli appalti assegnati dal Comune di Santa Eufemia per consentire alle aziende del locale di ’ndrangheta di insinuarsi nei lavori”, [di fungere] “da spia” interna al Comune, [di mettersi] a disposizione della cosca per compiere atti minatori nei cantieri, [di disporre di “agganci”] che gli consentivano di conoscere preventivamente gli esiti delle indagini che provvedeva a veicolare tra i sodali per eludere l’attività investigativa o la cattura». Sette mesi di carcerazione preventiva, scarcerazione e proscioglimento al termine dell’udienza preliminare.
Il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino era accusato di prendere parte a riunioni di ’ndrangheta e di operare “in favore della cosca affinché gli appalti fossero assegnati direttamente [o indirettamente] a una ditta gradita all’organizzazione mafiosa locale. Assolto perché “il fatto non sussiste”, dopo ben tre anni di carcere.
Il filone politico dell’inchiesta si è rivelato un flop totale. Del “solido complesso probatorio” restano parole che sono sale su ferite ancora aperte: «Nel caso del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte si va comunque ben oltre i “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso” o le “forme di condizionamento” degli amministratori. L’operazione “Eyphèmos” dimostra che diversi OMISSIS piuttosto che “collegati” o “condizionati dalla ’ndrangheta” sono organici alla stessa. Un salto di qualità rispetto alla fattispecie di cui all’art. 143 T.U.E.L. del tutto evidente». Ma di evidente, purtroppo, c’è soltanto lo scarto tragico tra ipotesi e realtà.
Quando, nove mesi fa, si è votato per ridare alla comunità eufemiese un’amministrazione comunale, soltanto due tra i trentanove candidati nella precedente elezione si sono ripresentati. In un piccolo paese esistono dinamiche familiari e sociali che rendono arduo l’impegno politico sulla base delle attuali disposizioni di legge. Molti preferiscono defilarsi: per paura, per delusione, per senso di responsabilità.
Prevenzione e pregiudizio sono spesso le facce della stessa medaglia e concorrono alla compressione della democrazia, laddove impediscono l’affermazione della volontà popolare. Per questo, occorre denunciare la criminalizzazione subita da vaste aree del Paese. Affinché gli studenti di domani avvertano lo stesso moto di indignazione oggi suscitato dagli studi sul volto truce del potere nella storia d’Italia: la brutalità della legge “Pica”, la revisione arbitraria delle liste elettorali in epoca crispina, i mazzieri di Giolitti, lo scioglimento dei comuni nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista. Ogni volta che, in nome dell’interesse superiore del mantenimento dell’ordine pubblico, una “guerra santa” ha ferito i principi democratici, sospeso le garanzie costituzionali e causato un numero spropositato di “vittime collaterali”.
Oggi come ieri questo è stato. Ma questo è Stato?
*Pubblicato su: Il Dubbio, 8 agosto 2023