Riunita in camera di consiglio dalle 9.30 di oggi, al massimo entro domani la Corte costituzionale emetterà il responso sull’ammissibilità dei quesiti referendari. Rispetto a settembre, quando si concluse la raccolta delle firme, viviamo in un’altra era geologica. A Palazzo Chigi, non c’è più Berlusconi e, sospinto dalla crisi economica e da Napolitano, vi alloggia ora Mario Monti, coadiuvato da un governo di tecnici. Barzellette non ne racconta più nessuno, anche perché pochi hanno ancora la forza per ridere, dopo la manovra lacrime e sangue impostaci dall’Europa e dai mercati finanziari. Le alleanze politiche sono saltate, creando un rimescolamento delle forze in campo, con Pdl, Pd e Terzo polo a sostegno, più o meno convintamente, del governo, e Lega e Idv all’opposizione.
Inutile girarci attorno. La riforma della legge elettorale non è mai stato il primo pensiero per i partiti che compongono l’attuale maggioranza. Certo, fiutata la possibilità di utilizzare il referendum come un grimaldello per scardinare il bunker berlusconiano e per dare l’ennesima spallata al traballante governo uscito dalle urne nel 2008, alla fine Bersani e il Pd si sono accodati, dando anche un contributo rilevante nella raccolta delle firme, con i banchetti ospitati alle feste dell’Unità. Ma non è un mistero la simpatia, anche tra i maggiorenti democratici, per una legge elettorale che consente la nomina in Parlamento di rappresentanti docili e riconoscenti per la grazia ricevuta.
Da giorni, giornalisti e politici avanzano ipotesi sui possibili scenari. Alcuni pronosticano una bocciatura “politica”, che consentirebbe di andare al voto con l’attuale legge se improvvisamente dovesse cadere il governo. Ma anche, da un’altra prospettiva, per dare al Parlamento il tempo di mettere mano alla materia elettorale con calma se, nonostante le fibrillazioni, Monti dovesse durare fino al 2013. Ha ragione Di Pietro quando avverte che “qualcuno tenta di buttare in politica una valutazione che deve essere solo tecnica e di costituzionalità”. Ma la Corte costituzionale può assumere una decisione “politica” senza compromettere il funzionamento stesso della nostra democrazia?
Il parere positivo dei giudici costituzionali aprirebbe la strada alla consultazione referendaria e l’eventuale abrogazione del Porcellum, comportando il ritorno in vigore del Mattarelum – sistema elettorale non particolarmente gradito dalle forze politiche – costringerebbe il Parlamento ad approvare al più presto una nuova legge. Se la Consulta dovesse invece bocciare i quesiti, rimarrebbe tutto com’è. Le firme raccolte (un milione e duecentomila) sono però un segnale che i partiti non possono ignorare. Ammissibilità o meno, l’attuale legge andrà cambiata e i partiti saranno costretti al confronto parlamentare, anche se non sarà semplice raggiungere una sintesi. Il Pdl punta a non stravolgere l’attuale sistema elettorale e a preservare il bipolarismo. Il Pd preferirebbe l’uninominale a doppio turno, soluzione invisa a Pdl e centristi. Un compromesso si potrebbe ottenere con il sistema elettorale tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento) o una sua variante, ma indipendentemente dal sistema che si sceglierà, sarebbe intollerabile non riconoscere ai cittadini la facoltà di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento.