Il lassativo di Sgarbi

Nel mentre ci godiamo il finale di una campagna elettorale surreale, ricordiamo i punti più bassi raggiunti da questo circo Barnum, anche se ancora manca qualche giorno e potrebbero essere necessari ulteriori aggiornamenti.

1. FAKE NEWS. Ormai per “fare politica” non serve avere una preparazione specifica. Basta avere l’abilità di fare diventare virale il falso e, al contempo, di parlare alla pancia dell’elettore. Conoscere le sue paure (immigrati, sicurezza), le sue idiosincrasie (privilegi, sprechi) ed esacerbarle mettendo in giro notizie artatamente contraffatte.
2. VOLGARITÀ. Cito soltanto Emma Bonino e Laura Boldrini perché contro le donne c’è sempre uno sgradevole (e non casuale) surplus di accanimento. La prima denigrata per il suo aspetto fisico, senza alcun rispetto per la battaglia contro il cancro che da anni sta conducendo. La seconda bersaglio dei razzisti di ogni risma che, tra l’altro, le attribuiscono una famiglia talmente numerosa che, ci fosse stato ancora “Lui”, certamente avrebbe conquistato il premio natalità.
3. BASTA GOVERNI NON ELETTI DAL POPOLO. Ancora siamo qua a spiegare che nella storia della repubblica italiana non è mai esistito un presidente del consiglio eletto dal popolo. La nostra è una repubblica parlamentare: comunque vadano le elezioni, in Parlamento si dovrà formare una maggioranza che sostenga il governo. Il presidente della Repubblica affiderà l’incarico a chi gli assicurerà questa maggioranza. Oh, ma siete duri di testa!
4. RESPONSABILI PREVENTIVI. La strepitosa definizione è del giornalista Pierluigi Battista. I “responsabili” nelle passate legislature sono stati quei parlamentari che “per senso di responsabilità” (mica per interesse personale) hanno sostenuto qualsiasi governo. Nello scenario di una probabile situazione di stallo, si profila all’orizzonte l’evoluzione di quel prototipo: il responsabile “preventivo”, che già prima del risultato del voto sa che darà la fiducia a qualsiasi governo, per salvare se stesso. Occhi puntati sui grillini espulsi dal movimento.
5. IL COMPAGNO CASINI. Ho a lungo pensato che la fotografia che ritrae Pierferdinando Casini in una sede del Partito Democratico con alle spalle il pantheon della sinistra (Togliatti, Gramsci, Di Vittorio e Matteotti) fosse un fotomontaggio. Invece no, è vera. Un premio speciale andrebbe assegnato senza ombra di dubbio al fotografo malizioso.
6. DI MAIO AL QUIRINALE. In genere, appreso l’esito delle elezioni, il presidente della repubblica convoca al Quirinale i leader dei partiti e dei gruppi parlamentari per avviare le consultazioni in vista della formazione del governo. Di Maio invece ha giocato d’anticipo e, irritualmente, si è presentato al Colle. Ovviamente non è stato ricevuto da Mattarella, che non può prestarsi a simili giochini, bensì dal segretario generale. Non contento, ieri ha replicato inviando una email contenente la lista dei ministri di un ipotetico governo Di Maio che nessuno ha aperto. La costituzione non è un optional, vaglielo a spiegare.
7. IL PHOTOSHOP DELLA MELONI. Vabbè che viviamo in una società succube dell’immagine. Vabbè che apri Facebook e vedi persone che poi fatichi a riconoscere per strada, “depurate” degli 80.000 filtri che applicano alle proprie fotografie. Ma alzi la mano chi, vedendo il volto stampato sui manifesti, vi riconosca la donna che ogni giorno si fa provocatoriamente un selfie con sullo sfondo i suoi contestatori, nella vana speranza che qualcuno perda la testa. Che è quello che vorrebbe lei.
8. BERLUSCONI PRESIDENTE. Unico caso al mondo di un “candidato non candidabile” che infatti, proprio in quanto non candidabile, non lo è. Però firma da Bruno Vespa un altro “contratto con gli italiani”, come se il futuro presidente del consiglio dovesse essere lui. Dimenticando, tra l’altro, che “la prima volta è tragedia, la seconda farsa”. E magari ci chiediamo perché il video con il monologo del comico John Oliver sia diventato virale, facendo ridere di noi mezzo mondo.
9. IL VANGELO SECONDO SALVINI. Anche Salvini si vede già presidente del consiglio. I primi a non volerlo sono i suoi alleati di coalizione, ma si tratta di un dettaglio sul quale il “capitano” può tranquillamente sorvolare. È impegnatissimo a giurare su un vangelo che probabilmente non ha nemmeno letto (altrimenti non si spiegherebbe) o a mettersi in posa come premio del concorso “vinci Salvini” (giuro che esiste). Cosa volete gli freghi degli alleati. Parafrasando l’odiato Umberto: «Foera di ball!».
10. IL LASSATIVO DI SGARBI. Provate a immaginare De Gasperi seduto sul water, con i pantaloni abbassati, che urla: «Togliatti fa cagare!». O Andreotti, ingobbito sulla tazza, che chiama a sé con il dito il cameraman: «Berlinguer, il lassativo che non vi abbandona, il lassativo che vi aiuta!». Lo so, non riuscite a immaginarlo. Neanche io. Nella galleria degli orrori di questa campagna elettorale, Sgarbi merita la palma d’oro.
Restiamo comunque fiduciosi. Toccato il fondo, non abbiamo alternative: possiamo soltanto risalire.

Condividi

Il custode di vite

Tutto quello che avevo da dire è sulle mie tele senza cornice. Mi siedo e le guardo, senza capirci più di tanto ad essere sincero. Ma quello era il mondo che mi portavo dentro, i fantasmi che in qualche modo mi circondavano e che mi facevano compagnia. Ora sono svaniti, andati via. Con i miei anni oziosi e con le mie ciocche bianche, stanche anche loro, impregnate della polvere e della muffa dei pochi metri quadrati di tre stanze su due piani.
Eppure ho anche avuto paesaggi luminosi e colorati nella testa, alberi e fiumi e cieli azzurri e tramonti rosso arancio che avevano bisogno di prendere aria. Per questo dipingevo. Per questo ero circondato da ragazzi stupiti che mi chiedevano come si fa, con quali pennelli, se olio o tempera.
Osservo tra le pieghe dei miei ricordi per ritrovare brandelli di vita: una nebbia metà sogno e metà racconto di favole antiche, attorno al braciere fumante bucce di mandarini.
Nella città grande c’ero stato, ma quanta fatica per lo spirito quando devi pensare solo alla pancia. Lavorare, mangiare, dormire. Tutti i santi giorni. E mai potersi riconoscere, con la spada del bisogno ondeggiante sopra la testa, minacciosa e opprimente. Non mi andava più di vendere cianfrusaglie nei mercati, non poteva essere vita quella. Non poteva essere la mia.
Non poteva essere la nostra, amore. Anche se non eri d’accordo. Ci salutammo come davanti alla bara: gelidi, già morti. Chissà cosa fai ora, se ci pensi ancora a quest’uomo strano, perso tra le nuvole e i colori di un mare che un tempo fu calmo.
Ti attendevo ad ogni estate, ricordi? Il compromesso durò poco, ma io ti aspetto ancora. Sì. Ti aspetto per una passeggiata in montagna o per il gusto di dividere quel piatto che ti faceva chiudere gli occhi. Tu felice come una bimba che assapora sui rami le ciliegie più grosse, quelle più rosse. Io a compiacermi dei quadri sparpagliati in pineta, il teatro afoso della caccia al tesoro con premio finale le mie visioni.
Sono sopravvissuto ai miei anni e ora voi vorreste seppellirmi. Davvero non capisco. Non capisco questo vostro cercarmi, le vostre preoccupazioni per un vecchio scorbutico ma desideroso di silenzio. Questo chiedere informazioni a vicini che odio. Che mi spiano dalle finestre per vedere cosa porto dentro le mie grandi buste.
Vorrei essere lasciato in pace, non sentirmi più addosso occhi inorriditi per i topi che sbucano rumorosi tra lattine, bidoni e sacchi gonfi, non appena entrate con il fazzoletto premuto contro il naso.
La mia missione è offrire un riparo alla solitudine del mondo. Raccolgo per strada cose che voi avete abbandonato e le conservo perché un giorno, forse, serviranno ad altri.
Bottiglie che hanno dissetato, cibo che ha sfamato, scarpe che hanno camminato.
Custodisco la vita che scivola via da mani distratte, per quando sarà ancora vita.

Condividi

Il primo consiglio comunale di Sant’Eufemia dopo l’Unità d’Italia

Gli storici hanno definito “Italia dei notabili” o “Stato monoclasse” il Regno d’Italia proclamato il 17 marzo 1861. Nello stato unitario il voto è appannaggio esclusivo di coloro che sono considerati i “migliori” per capacità professionale e patrimonio personale: in linea di massima, l’aristocrazia e la borghesia terriera. Tale diritto appartiene all’1,9% della popolazione e si fonda sui criteri del sesso, del censo e della capacità: possono votare i maschi venticinquenni (per essere eletti ne occorrono invece trenta) che pagano 40 lire di imposte dirette e che sono in grado di leggere e scrivere. In assenza del requisito del censo, il voto viene tuttavia concesso a diverse categorie professionali: laureati, professori, funzionari, magistrati, farmacisti, notai, ragionieri, geometri, veterinari, ecc.
Su 5852 abitanti (censimento del 1861), nel 1863 a Sant’Eufemia d’Aspromonte gli aventi diritto al voto politico sono 69. Leggermente meglio vanno le cose per il diritto di voto amministrativo. In questo caso il corpo elettorale è composto dai cittadini che, al compimento del ventunesimo anno di età, godono dei diritti civili e sono contribuenti comunali per una cifra che varia in base alla dimensione del comune: 10 lire a Sant’Eufemia, comune compreso tra 3.000 e 10.000 abitanti. Nel 1868, primo anno del quale sono disponibili i dati, gli aventi diritto sono 187 (115 i votanti).
Il consiglio comunale, composto da venti membri, dura in carica cinque anni e viene annualmente rinnovato per un quinto. Si procede alla sua elezione con “lista maggioritaria”: in pratica non vi sono liste contrapposte, ma è l’elettore a comporre una lista di nomi pari al numero di consiglieri da eleggere. La giunta municipale (quattro componenti titolari e due supplenti) viene invece rinnovata ogni anno al 50%. Il sindaco, nominato dal re su proposta del ministro dell’Interno, dura in carica tre anni ed è rieleggibile al termine del mandato: di fatto, viene scelto dal prefetto fra i consiglieri comunali eletti.
Con regio decreto del 30 luglio 1861, il proprietario Antonino Occhiuto (fu Nicola) diventa il primo sindaco di Sant’Eufemia dopo l’Unità, entrando così di diritto nella storia amministrativa del comune insieme ai consiglieri comunali eletti: Agostino Chirico, Antonino Condina (proprietario), Luigi Condina (proprietario), Giovanni Cutrì (farmacista), Michele Fimmanò (avvocato), Gaetano Gioffré (farmacista), Giuseppe Gioffré (proprietario), Domenicantonio Ietto (avvocato), Raffaele Monterosso (macellaio), Antonino Occhiuto di Luigi (proprietario), Luigi Oliverio (geometra), Giuseppe Papalia, Vincenzo Papalia (ramaio), Francesco Pentimalli (avvocato), Antonio Pietropaolo (negoziante), Annibale Rechichi (sacerdote), Giuseppe Versace (farmacista), Vincenzo Visalli (proprietario), Giacinto Zangari (proprietario).

*FONTI:
ASRC, Gabinetto di Prefettura, inventario 34, busta 136 (“Sindaci, amministrazione comunale, elezioni amministrative. 1861-1875”), f. 6381
ASRC, Fondo Prefettura, inventario 17, busta 247 (“Sant’Eufemia d’Aspromonte”), f. 6

Condividi

Patente a punti e daspo per combattere chi incita alla violenza sul web

Complice una campagna elettorale dai toni altissimi, il web è diventato il moltiplicatore della violenza che quotidianamente vi circola da anni. Gli istinti primitivi trovano terreno fertile, innestandosi sui temi caldi della propaganda. E quale tema più caldo di quello dell’immigrazione? Quale bersaglio più facile di Laura Boldrini, al centro di un attacco mediatico violento e vergognoso sin dalla sua elezione alla terza carica dello Stato? Notizie incredibili, indecentemente false, che pure diventano virali quanto le centinaia e centinaia di bufale messe in circolazione da siti specializzati in fake news: spazzatura utile per soddisfare l’ego degli haters e il business dei clic.
Nel novembre scorso l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha istituito il “Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali”, con l’obiettivo di “promuovere l’autoregolamentazione delle piattaforme e lo scambio di buone prassi per l’individuazione ed il contrasto dei fenomeni di disinformazione online frutto di strategie mirate”. All’iniziativa ha aderito Facebook con i suoi “suggerimenti per individuare le notizie false”: un vero e proprio decalogo che aiuta gli utenti più sprovveduti a districarsi nella giungla dell’informazione taroccata (clicca qui per leggerne il contenuto).
Bene, pugno duro contro gli spacciatori di falsità. Ma una severità ancora maggiore va applicata agli istigatori seriali di violenza. La rete non può essere una terra di nessuno, dove chiunque può impunemente incitare a sgozzare, stuprare, commettere ogni sorta di violenza. I fatti di Macerata insegnano che il passaggio dalle parole ai fatti non è complicato in questa realtà così caratterizzata dal disagio economico e sociale, dall’odio politico che ci riporta alle pagine più buie della nostra storia. Pagine di intolleranza e di caccia alle streghe, fatte di parole d’ordine semplici e immediate, che parlano alla pancia di una società sempre più incattivita e per questo pronta a scatenare la guerra dei poveri, lo scontro penoso dei penultimi contro gli ultimi.
Esistono le leggi, certo. Le indagini sul barbiere calabrese che ha condiviso l’ultimo raccapricciante fotomontaggio di Laura Boldrini sgozzata vanno nella direzione di applicare sul caso la normativa vigente in materia (art. 338 del codice penale). Ma a mio avviso non bastano leggi e sanzioni. Occorre regolamentare l’accesso e l’utilizzo dei social con l’istituzione di una sorta di “patente a punti”, associando a ogni profilo un solo documento d’identità: basta profili falsi, tanto per incominciare.
Come nella vita reale, anche nel mondo mica-tanto-virtuale della rete bisogna mettere la propria faccia sui contenuti che si pubblicano. Sarebbe una misura eccessiva? Non direi. Chi è abituato a vivere nella limpidità non avrebbe nessun problema ad accettare un “controllo” del genere.
Ad ogni violazione andrebbe quindi applicata la sottrazione di un punteggio, variabile a seconda della gravità dell’infrazione, fino all’azzeramento del bonus iniziale: eventualità che farebbe scattare la “squalifica” dai social per un tempo più o meno lungo, maggiorato nei casi di recidiva.
Tolleranza zero contro i violenti: è ragionamento superficiale ridurre la questione a semplice strumentalizzazione tipica delle campagne elettorali. Non è così. Il tema è molto più serio e generale, investe le regole stesse della civile convivenza.

Condividi

Una strada groviera / 2

Le condizioni della strada che porta all’ex svincolo autostradale sono ulteriormente peggiorate. Nell’attesa dei lavori annunciati di prossima realizzazione e dell’intervento strutturale di 7,1 milioni di euro del quale ancora si attende la progettazione, come gruppo consiliare “Per il Bene Comune” continueremo a segnalare il disagio sofferto quotidianamente dalla popolazione del nostro territorio. Di seguito la nota per la stampa.

Purtroppo siamo stati facili profeti nel prevedere, due settimane orsono, che alla nostra denuncia sullo stato disastroso della Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale sarebbe seguito un intervento di riparazione alla meno peggio delle buche più pericolose, ma assolutamente insufficiente. E così è stato. Morale della favola: siamo di nuovo al punto di partenza, se non in una situazione addirittura più grave. La pioggia insistente di questo periodo ha provveduto ad aprire altri crateri, il resto lo sta facendo la nebbia persistente degli ultimi giorni che, aiutata dall’impercettibilità delle strisce stradali (laddove ci sono), sta creando disagi inaccettabili alle centinaia di automobilisti che quotidianamente hanno necessità di uscire da Sant’Eufemia, Sinopoli e dall’intero comprensorio per lavoro o per qualsiasi altra incombenza e che si ritrovano con qualche ruota scoppiata.
Ci appelliamo ad Anas e alla Città Metropolitana affinché battano un colpo e diano a queste popolazioni dimenticate da Dio e dagli uomini un segnale di vita. Chiediamo al Sindaco metropolitano Giuseppe Falcomatà e al consigliere delegato alla viabilità Demetrio Marino di fare una passeggiata da queste parti per verificare personalmente lo stato pietoso di un’arteria stradale così importante e per valutare essi stessi se è dignitoso, per la stessa Città Metropolitana, che una vasta e importante porzione del suo territorio subisca uno stato di abbandono così mortificante.

*I consiglieri comunali “Per il Bene Comune”
Domenico Forgione
Pasquale Napoli

Condividi

L’Asp non riesce a garantire la normale manutenzione dei mezzi del 118

La mia nota sulla situazione incresciosa della manutenzione delle ambulanze del 118, che crea disagi anche alla nostra popolazione perché l’ambulanza della postazione di Sant’Eufemia spesso viene chiamata per intervenire in comuni generalmente serviti da altre postazioni, lasciando così scoperto il nostro territorio.

Non è la prima volta che organizzazioni sindacali denunciano le carenze strutturali e strumentali del SUEM 118 nella provincia di Reggio Calabria. Una situazione drammatica ribadita, da ultimo, dalla Cisl – Funzione Pubblica il 2 gennaio scorso, in seguito al contemporaneo guasto delle ambulanze di Reggio Calabria, Scilla, Locri e Taurianova. In mancanza di un contratto con un’officina di riferimento (perché nessuno vuole convenzionarsi con l’Asp? Forse perché non si ha certezza sui tempi di pagamento?) diventa un’odissea realizzare anche soltanto interventi di routine quali il cambio delle pasticche dei freni o della batteria, per cui si rende necessario l’aiuto di privati che supportano il servizio pubblico sostituendosi di fatto ad esso.
Ad essere penalizzati dall’inefficienza dell’Asp di Reggio non sono soltanto i cittadini dei comuni che dovrebbero essere serviti dalle ambulanze pubbliche. Ne sanno qualcosa i cittadini di diversi comuni dell’entroterra aspromontano, ogni volta che la postazione del 118 di Sant’Eufemia d’Aspromonte viene utilizzata per trasferimenti fuori provincia o per effettuare interventi di sostituzione a Scilla, Bagnara o Villa San Giovanni, finendo così per lasciare inevitabilmente scoperto il territorio nel quale operano abitualmente. Una situazione che diventa più grave nella stagione invernale, considerato che l’ambulanza in questione è a trazione integrale, indispensabile per prestare soccorso nelle zone innevate dell’Aspromonte o presso la stazione sciistica di Gambarie.
La tempestività del 118 è chiaramente un’arma vincente quando si ha a che fare con arresti cardiaci, ischemie, incidenti stradali. Che questa tempestività possa mancare perché l’Asp non riesce a garantire ai propri mezzi la normale manutenzione indigna profondamente, al di là di ogni incontestabile vincolo di solidarietà e del dovere di intervenire in caso di emergenza: è già capitato che un ragazzo con una frattura esposta del femore e con una grave emorragia sia stato soccorso con notevole ritardo perché l’ambulanza del 118 di Sant’Eufemia era fuori provincia, per cui si è dovuto attendere un mezzo di soccorso proveniente da Gioia Tauro. In quella circostanza la tragedia non si compì, ma soltanto grazie alla benevolenza del fato.
Una sorta di guerra tra poveri per queste popolazioni che quotidianamente si scontrano con una sanità vergognosamente inefficiente. Figli di un dio minore che vivono in una realtà nella quale un diritto costituzionalmente garantito viene mortificato, nella quale problemi risolvibili con un normale intervento del 118 possono risultare fatali perché l’Asp impiega quindici giorni, un mese, o anche oltre, per fare riparare guasti ordinari alle proprie ambulanze.

*Link originale:
http://www.costaviolanews.it/index.php/politica/13268-l-asp-non-riesce-a-garntire-la-normale-manutenzione-dei-mezzi-del-118-la-denuncia-di-domenico-forgione

Condividi

Che disastro avete combinato?

Da diversi giorni assistiamo allo spettacolo sgradevole allestito da questa Amministrazione Comunale per salutare il 2017 e dare il benvenuto al 2018. Un inizio peggiore non era immaginabile nemmeno dalla più sfrenata fantasia!
Siamo indignati come tutti i cittadini che si sono visti recapitare a casa le intimazioni per il pagamento di tasse comunali non dovute perché già corrisposte o dall’importo elevatissimo. L’Amministrazione ha cercato di metterci una pezza scaricando ogni responsabilità sulla società che gestisce il servizio di riscossione, dalla quale – è stato dichiarato – si pretenderanno le scuse e il pagamento dei danni al comune. Benissimo: chi ha sbagliato deve pagare. Proprio per questo sarebbe cosa giusta che l’Amministrazione Comunale desse il buon esempio e cominciasse, essa per prima, a chiedere scusa ai cittadini! Sarebbe un bel gesto di umiltà, che non guasta mai.
Esistono RESPONSABILITÀ POLITICHE che non si possono nascondere sotto il tappeto e che ricadono, inevitabilmente, su coloro che amministrano. La responsabilità politica è negli atti mandati nelle case dei contribuenti, intestati “Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte” e sottoscritti da un funzionario responsabile. Non sono stati risparmiati neppure i defunti, anche a cittadini morti da vent’anni sono arrivate bollette da pagare!
Chi sono quindi i responsabili di questo scempio? Davvero credete che i cittadini non sappiano valutare cos’è accaduto con il “pasticciaccio brutto” delle vostre bollette? Nelle notifiche relative al pagamento dell’IMU si legge che l’avviso “è stato redatto in base alle informazioni in possesso di questa Amministrazione” (in particolare, grazie alla documentazione disponibile presso l’Ufficio Tributi, ai versamenti ordinari e ai ravvedimenti operosi): di chi è quindi la responsabilità?
Un amministratore responsabile ha il dovere di gestire la cosa pubblica con la diligenza del “buon padre di famiglia”. SIETE STATI NEGLIGENTI e la vostra inadeguatezza grava purtroppo sulle casse comunali: avete speso migliaia e migliaia di euro che potevano essere utilizzate per fare qualcosa di utile per la collettività, invece di inviare ai cittadini bollette che sono carta straccia, da strappare e cestinare una volta che verranno eseguiti i necessari accertamenti.
Se proprio non ce la fate a dimettervi, abbiate almeno il pudore di chiedere scusa ai cittadini per la vostra manifesta incapacità di amministrare la cosa pubblica.

I Consiglieri Comunali “Per il Bene Comune”
DOMENICO FORGIONE
PASQUALE NAPOLI
Sant’Eufemia d’Aspromonte, 12 gennaio 2018

Condividi

Una strada groviera

Ringrazio l’emittente regionale LaC e il giornalista Agostino Pantano per il servizio giornalistico andato in onda nell’edizione del telegiornale delle ore 14.00. Naturalmente, i tempi televisivi non hanno consentito di mandare in onda l’intervista mia e di Pasquale Napoli nella loro integralità. In ogni caso, credo che la qualità del lavoro sia eccellente perché sintetizza alla perfezione il contenuto di quanto da noi dichiarato e i termini della questione: lo stato disastroso del tratto della Strada Provinciale 2 che collega Sant’Eufemia all’ex svincolo autostradale, pericoloso anche per l’incolumità fisica di chi la percorre; l’abbandono del nostro territorio da parte di Anas e della Città Metropolitana; la doppia beffa della popolazione di quest’area che si è vista sottrarre lo svincolo e attende invano i lavori di compensazione/risarcimento che erano stati promessi per mettere un po’ a tacere una protesta sacrosanta.
La realtà è sotto gli occhi di tutti ed ha le caratteristiche di un percorso molto accidentato per via delle innumerevoli buche presenti sul manto stradale. Buche che provocano danni ai veicoli in transito oltre a creare situazioni di pericolo per gli automobilisti che, cercando di scansarne qualcuna, rischiano di sbattere contro chi procede dal senso opposto di marcia. Tutta questa situazione si aggrava con la presenza di una fitta nebbia che spesso quasi azzera la visibilità di un percorso scarsamente illuminato (laddove ci sono lampioni, funzionano a giorni alterni nella migliore delle ipotesi) e dalle strisce stradali impercettibili, se non assenti.
Si tratta di una strada utilizzata quotidianamente da centinaia e centinaia di automobilisti per lavoro o per altre esigenze, che rendono necessario raggiungere l’autostrada alla popolazione dell’intero comprensorio. Va inoltre evidenziato che più volte nel corso di una giornata essa viene percorsa dall’autoambulanza del 118, che a Sant’Eufemia ha la sua postazione: per chi deve salvare una vita non è proprio il massimo lavorare in queste condizioni. Senza dimenticare, infine, i molti ciclisti amatoriali provenienti da tutta la provincia per i quali è impossibile pedalare a bordo strada e che sono costretti a pericolosissime gimkane tra le buche.
È necessario un intervento straordinario, che peraltro era stato promesso. E poi bisogna intervenire con regolarità per eseguire quei lavori di manutenzione ordinaria che impediscano il periodico riproporsi di tali situazioni di emergenza.

Condividi

Buono, non buono

Quando un anno sta per finire e un altro non è ancora cominciato, per dirla un po’ alla Marzullo, è tempo di bilanci e di nuovi propositi. Il 2017 che mi lascio alle spalle è stato un anno vissuto molto intensamente. Pertanto, molto positivo. Le emozioni sono una parte molto importante della vita: la rendono affascinante, degna di essere vissuta al di là delle delusioni e delle gioie che si provano. La reazione del momento è dettata dall’istinto, ma inevitabilmente tende a sfumare con il passare del tempo. Per questo occorre sempre cercare di guardare il bicchiere mezzo pieno, nutrirsi di positività. Tutto ciò che è accaduto fa di noi ciò che siamo ora e che non saremo domani, quando altra vita si aggiungerà a quella già vissuta. “Buono – Non buono” può essere un gioco, ma come tutti i giochi sa essere tremendamente serio.

LETTURE – «Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira» (J.D. Salinger, Il giovane Holden). Più o meno quello che avrei voluto fare con Stefano D’Arrigo, anche prima di finire la lettura di Horcynus Orca. L’avrei fatto ogni giorno, in questa estate 2017 che per me sarà sempre “l’estate in cui lessi Horcynus Orca”, opera sfibrante e sorprendente per la sperimentazione di un linguaggio nuovo ma arcaico allo stesso tempo, che lascia senza fiato dalla prima all’ultima pagina: un’odissea umana, ma anche “un’odissea della parola”. BUONO

ADDII – Ogni anno che passa è come fare l’appello a scuola, c’è sempre qualche nome in meno. Non vedremo più quel sorriso, non sentiremo più quella risata. Ma la vita va avanti e coltivare i ricordi e qualche insegnamento può aiutare a lenire il dolore di una perdita. NON BUONO

REGALO – Quello più bello, inaspettato: i libri del mio vecchio professore di storia e filosofia al liceo, Rosario Monterosso. Ed è emozionante pensare che, in qualche modo, i miei occhi si poseranno su quelle pagine che lui ha tanto amato. BUONO

DISAGIO – Viviamo in una realtà per certi versi insopportabile, regredita e degradata. Nella quale ogni giorno che passa è sempre più faticoso riuscire a riconoscersi. Si fa fatica e distinguere il reale dal virtuale ed è imbarazzante il livello di volgarità raggiunto nelle discussioni, se così può ancora definirsi l’aggressività del web. Ha ragione chi grida di più, chi la spara più grossa, chi copincolla fesserie prive di alcun fondamento. È la vittoria, amara, di Umberto Eco. NON BUONO

500 MESSAGGI NELLA BOTTIGLIA – Per diverse vicissitudini quest’anno ho scritto di meno, anche se nella seconda metà dell’anno ho cercato di recuperare e mi sono fermato a cinque post di distanza rispetto al 2016. Il 2017 è stato però l’anno del cinquecentesimo post, un traguardo che mi inorgoglisce. Da questo blog è passata tanta storia locale: gli avvenimenti più salienti, i suoi personaggi più importanti, ma anche il ricordo delle vite di donne e uomini comuni, spesso dimenticati. Per riconoscersi come comunità c’è bisogno di una memoria condivisa. BUONO

PAGINE DA DIMENTICARE – Da dimenticare, o forse da ricordare affinché se ne tragga il giusto insegnamento: gli incendi estivi che hanno distrutto i boschi attorno a Sant’Eufemia, l’inciviltà di chi continua a smaltire i rifiuti secondo il proprio personalissimo calendario, al netto dei disservizi che proprio in questo fine anno hanno accentuato la situazione di emergenza. Da dimenticare anche le polemiche imperversate per qualche giorno in occasione dei festeggiamenti della nostra Santa Patrona, nella nota vicenda dei fuochi d’artificio dell’Entrata. Alla fine tutto si è risolto per il meglio, ma un po’ di turbamento, onestamente, a me è rimasto. NON BUONO

ELEZIONI – In un piccolo paese come il nostro una campagna elettorale è una situazione “estrema”, quindi altamente formativa. L’ho affrontata con onestà intellettuale, ma soprattutto con serenità e lealtà. Le elezioni comunali costituiscono un’occasione unica di studio della natura umana, perché esaltano il meglio e il peggio delle persone. Da una parte sincerità, amicizia e rispetto, anche quando ci si trova su opposte barricate; dall’altra falsità, venalità e tornacontismo, ciò che alla fine realmente incide nelle scelte di alcuni, al di là della prosopopea dei tempi “calmi”. Ma tutto questo lo capisco, non mi sorprende. Non capirò mai, invece, l’atteggiamento di chi mischia politica e personale, di chi si volatilizza dopo anni di rapporti quotidiani, come se anche soltanto domandare “come stai?” possa essere compromettente. Eppure ho sentito tanto affetto in quei mesi, di certo superiore alla solitudine di qualche momento. BUONO

Condividi

’A pulicia rizza

Aveva il passo lento ma deciso di chi sapeva come affrontare le salite e le discese senza fare cadere il peso che portava sulla testa. Ma non era una bagnarota e dentro il cuverchiu che sistemava con cura sopra la corona di stracci, perché non pendesse a destra o a sinistra, in avanti o indietro, non c’erano alici né palamiti dello Stretto. Non si sentiva volare una mosca, tutto era silenzio e solitudine. Lei e quel corpicino sistemato alla meglio sotto qualche coperta caritatevole. Bambini appena nati e subito volati in cielo, morti pochi giorni dopo il parto o nello spazio di qualche mese, il tempo di una selezione naturale che era feroce ma accettata dalla società con rassegnato fatalismo.
Ogni famiglia aveva le sue piccole vittime, da ricordare – chi ne aveva la possibilità – tirando ogni tanto fuori dal cassetto la classica fotografia post-mortem: sembravano dormire con quegli occhi chiusi. Stroncati da infezioni aggravate dalla malnutrizione, dal morbillo o dalla pertosse, dalla bronchite o dalla polmonite, dalla difterite o da un imprecisato ’ngagghiu letale nei primi anni di vita. Neonati battezzati “in acqua” dall’ostetrica o dal medico, affidati poi alla pietà di questa pulce di donna dalla zazzera fitta e riccia per il tragitto di una dolente via crucis. Oppure piccoli che facevano in tempo ad arrivare davanti al sacerdote, ad avere padrini e madrine “scelti” tra chi era presente. Era questa la ragione del primato dei sangiovanni tra i frequentatori più assidui della chiesa, loro che consideravano la sagrestia una seconda casa.
Aveva il passo sicuro ’a pulicia rizza. Le campane che suonavano “a gloria”, non “a morto”, annunciavano l’arrivo in Paradiso di un angioletto, l’arrivo di un’anima soffiata via da un corpo che non aveva conosciuto il peccato.
Un’andatura costante che non aveva niente da invidiare alla cadenza regolare dei portantini dei funerali delle congregazioni, quattro spazzini con la tunica bianca addetti al trasporto della piccola bara sistemata sopra una lettiga. Più che il ritratto manzoniano dei monatti, la rievocazione delle varette della Processione dei Misteri. D’altronde, proprio gli spazzini del paese, nella rappresentazione sacra, portavano a spalla il corpo del Cristo morto: l’Innocente.
Innocente come i bambini spostati dalla bara messa a disposizione dalla congregazione per il funerale alla cassettina di tavole inchiodate dal falegname sul posto e calata in uno degli angoli dell’ampia area del cimitero a loro destinata.
Una stradina, “vico Innocenti”, con la strage dei bambini voluta da Erode ricordava anche questi piccoli fiori recisi. Ma oggi “vico Innocenti” non esiste più e la pulicia rizza, con la sua storia di pietà, è un ricordo lontanissimo e di pochi.

Condividi