Una genialata: il “safety tutor” tra Bagnara e Scilla

Siamo dei privilegiati e non lo sappiamo, circondati da gente impegnata da mattina a sera a sfornare provvedimenti utili per la nostra salute. Una vera fortuna. Eppure, ci sono persone, di quelle proprio cattive, che malignano e alimentano polemiche pretestuose e infondate, avanzando perfino il sospetto (sacrilegio!) che dietro quelle buone azioni, pensate e attuate a nostro esclusivo beneficio, ci siano inconfessabili ragioni, dettate dall’atavico bisogno di liquidità, dalla prosaica esigenza di fare cassa in tempi di magra assoluta. “Io mi sacrifico per voi e questo è il vostro ringraziamento” urlava Capitan Uncino alla sua ciurma. Sì, il mondo si divide in “gente per bene e gente per male”, secondo il manicheismo del ministro Brunetta, che tanto deve alla filosofia di Tuco (Eli Wallach, nel film di Sergio Leone Il buono, il brutto e il cattivo) quando considerava che “gli speroni si dividono in due categorie: qualcuno passa dalla porta e qualcuno dalla finestra”.
Pochi, di quelli che contano, passano però dal tratto autostradale Bagnara-Scilla, altrimenti non si spiegherebbe la decisione di installare, nientemeno, il “safety tutor” nel macrolotto più disgraziato dell’intera Salerno-Reggio Calabria. Siccome già si procede a passo di lumaca, quando non si rimane bloccati a causa di qualche incidente o guasto che impedisce anche alle autoambulanze di farsi largo nel doppio senso intasato di vetture, si è pensato bene di ridurre ulteriormente i tempi di percorrenza. Come se, in condizioni “normali”, fosse un susseguirsi continuo di prestazioni record. Per non incorrere nelle prevedibili salatissime multe, non bisogna superare i 40 km/h di velocità media. Buona fortuna, è proprio il caso di augurarlo, a tutti i pendolari da e per Reggio Calabria.
In un paese serio, i cittadini penalizzati – e quelli che quotidianamente devono incrociare le dita e pregare San Cristoforo prima di immettersi sull’autostrada lo sono – andrebbero ricompensati per i disagi patiti. Da noi, invece, cornuti e mazziati. Come quando, sempre tra Bagnara e Scilla, era stato collocato l’autovelox in un rettilineo in discesa, un tratto in cui era praticamente impossibile andare a 40 km/h. Ovviamente, l’avevano fatto per la nostra incolumità, salvo toglierlo definitivamente dopo che qualcuno aveva pensato di risolvere la questione con le cattive, spaccandolo. Anche sulla vicenda del tutor si sono già levate voci di protesta, comprese quelle istituzionali del sottosegretario all’Ambiente Elio Belcastro (una decisione “offensiva per tutti coloro i quali, con indicibili disagi, sono obbligati a percorrere l’autostrada”) e del consigliere regionale Luigi Fedele. Tanto che la prefettura si è sentita in dovere di precisare che il “safety tutor” non è ancora in funzione, nonostante sia stato installato. Non è detto, però, che non lo sarà e, in ogni caso, il danno è già stato fatto. File lunghissime, causate da automobilisti convinti che il sistema sia in funzione, frenate improvvise e tamponamenti.
Catilina sta davvero abusando della nostra pazienza. Non sarebbe male se lanciasse un segnale di distensione, decidendo di smontare il tutor e, nel frattempo, segnalando con appositi cartelli che non è in funzione.

Condividi

La notte più bella della mia vita

La notte più bella della mia vita era dicembre, ma non era ancora Natale. L’aria era gelida, la sentivo sul naso e sulle orecchie mentre aspettavo di potere andare da Lei. Un lettino da dividere in due, in una stanza che da letto non era.
La colonna sonora del nostro incontro la intonò Patti Smith: Because the night, la sigla di Fuori orario che ci sorprese sotto le lenzuola. L’ascoltammo fino all’ultima parola, perché “l’amore è un banchetto sul quale ci sfamiamo” e perché “la notte appartiene agli amanti”.
Ci sussurrammo le nostre vite passate, quasi volessimo azzerare la storia e fare ripartire il cronometro da noi, con il racconto del tempo che non avevamo vissuto insieme.
Ci separammo all’alba. Percorsi a piedi la strada deserta del ritorno, in un’aria di vetro. Ero il re del mondo e, mentre una luna pallida e infreddolita mi scrutava, camminavo in pace, sotto le ultime stelle mute. Non avevo bisogno di niente.
La notte più bella della mia vita è stata un battito d’ali.

Condividi

Frank il mongolo

A prima vista poteva sembrare un incrocio tra una maschera dei film di Carlo Verdone e Nichi Nardozza, l’eccessivo ed eccentrico personaggio di Volare basso, romanzo di successo scritto da Gaetano Cappelli. Anche se di Nardozza non aveva la propensione a raccontare balle colossali. La similitudine riguarda l’aspetto esteriore, l’abbigliamento e lo stile di vita un po’ naif che lo rendevano, agli occhi di una piccola comunità come quella eufemiese, personaggio singolare e stravagante.
Cuoco sulle navi da crociera. Era stata questa la sua professione, negli anni Sessanta e Settanta. Un giramondo sciupafemmine e single impenitente. Francesco Gioffrè, detto “Frank il mongolo” per quei baffi (e il pizzetto) alla Gengis Khan, era un personaggio da film. Romanzesco e simpaticissimo. Il sorriso sempre stampato sul viso, tranne quando perdeva a biliardo. A boccette, per l’esattezza, ché con la stecca si è sempre rifiutato di giocare. Superstizioso, portava attaccato al collo un corno di corallo rosso infuocato e, per sconfiggere il malocchio di chi assisteva alla partita, bocciava tenendo la pallina incastrata tra indice e mignolo. Indossava camicie incredibili sotto il gilet da cow-boy di vacchetta e stivaletti da rock star. Stretto tra i denti, spesso, un sigaro dalle dimensioni spropositate. Al polso, bracciali delle più svariate fogge. Milanista sfegatato, entrava al bar cantando una personalissima rivisitazione – non so quanto consapevole – del coro più celebre del Napoli alla fine degli anni Ottanta: Oh mamma, sai perché mi batte il corazón? Oh Cristo (invece di: ho visto), Maradona!
Ogni tanto dalla sala biliardi giungeva al bancone del bar un urlo: “un baaaby!” (mezzo whiskey), cui seguiva un bestemmione irripetibile. Fuori, parcheggiata, la macchina dei nostri sogni di ragazzini: un’Alfa Triumph Spitfire IV diventata rossonera dopo un restyling realizzato con il pennello, il cui interno era tutto un programma. Coprisedili con pelliccia, clacson a trombetta, un corno enorme, due cuscini del Milan e musicassette di Elvis Presley e Julio Iglesias sparse ovunque.
Quando l’ho conosciuto, da tempo non lavorava più sulle navi. Ritornato in paese, aveva aperto un genere alimentari che durò pochissimo. Costretto a chiudere prima di rovinarsi completamente, dato che offriva pezzetti di formaggi e salumi a chiunque entrasse e si faceva pagare la spesa una volta sì e una no, mentre per i ragazzini delle scuole il più delle volte il panino imbottito era “omaggio della ditta”. Tornò quindi alla sua vecchia professione di cuoco, questa volta sulla terraferma, negli alberghi, da dove periodicamente tornava, sempre atteso dai frequentatori della sala biliardi e soprattutto da mio fratello Luis, dodicenne o giù di lì, al quale aveva regalato un braccialetto di occhio di bue e promesso, con largo anticipo, che avrebbe fatto da compare d’anello al matrimonio.
L’ha tradito il cuore a 55 anni, una notte di aprile del 1992, in una stanza d’albergo a Soverato, dove alloggiava e lavorava. Non fui presente al suo funerale e la cosa mi dispiacque molto. Nutro un affetto particolare per tutte le persone che, dal 1982 in poi, sono transitate dal “bar Mario”, una delle mie palestre di vita, insieme alla strada e alla scuola. Quando passo per salutarlo, guardando quella camicia insolita per una foto sulla lapide, il sorriso è inevitabile. Come tanti anni fa. Ciao, Frank.

Condividi

La marcia su Cosenza

Non indossavano il fez e l’orbace, anche se qualcuno ancora sfoggia tatuaggi col capoccione. Non erano neanche i ventimila preannunciati dai promotori dell’esibizione muscolare voluta dal governatore Giuseppe Scopelliti. Però erano in tanti. L’organizzazione del consenso è una materia che l’ex sindaco di Reggio maneggia con abilità. Un presidente giovane tra i giovani, un po’ come il “Chiambretti night”. Simpatico, bello e probabilmente pure profumato. Come vuole il gran capo, che però non si può più nominare, talmente è caduto in disgrazia. Non come la sinistra brutta, sporca e pessimista: “bisogna sempre avere ottimismo, mentre i leader della sinistra sono sempre pessimisti”. È tutto qua il segreto del successo. E per questo, “non possiamo consegnare il paese a gente del genere” e “chi non salta comunista è”.
Ed io che pensavo si fossero liquefatti. In Calabria, poi, sarebbe legittimo sospettare l’abbattimento di un meteorite simile a quello che provocò l’estinzione dei dinosauri alla fine del Cretaceo. Il partito democratico, affidato ancora ai placebo del commissario Musi, “non perviene” da tempo immemorabile. Il resto di quel che fu il Pd è sul crinale, in meditazione sul da farsi. Si vocifera di un prossimo ingresso dell’Api rutelliana nella giunta regionale e persino quel comunistone di Loiero potrebbe accasarsi a destra. In Parlamento però, ché in Calabria occorrerebbe un chilo di bicarbonato per fare digerire una pietanza del genere. Raffaele Lombardo ha infatti spalancato all’ex governatore le porte del suo Mpa, partito di confine che ricorda un po’ l’enciclica Mater et magistra di Papa Giovanni XXIII: “Mater et magistra piace alla sinistra; madre e maestra piace alla destra; e se la guardi dentro piace anche al centro”. Una collocazione ancora tutta da decidere, ma quello è l’ultimo dei problemi. Come dire: “in base al vento, verrà sistemata la vela”.
Torniamo alla manifestazione di Cosenza. Una prova di forza, senza alcun dubbio. Ma rivolta non contro questa sinistra impalpabile ed evanescente. Non ce ne sarebbe bisogno perché, da quel versante, Scopelliti ha ben poco da temere. Il destinatario della cartolina culturista va rintracciato altrove. Gli indizi portano a Roma, dove, indipendentemente dalla caduta o meno del governo, è ormai universalmente accettata la fine del ciclo berlusconiano. L’uscita di scena del cavaliere provocherà conseguenze a cascata, smottamenti già anticipati da alcune significative prese di distanza. Chi può, cerca di non restare intrappolato sulla tolda insieme all’orchestra che continua a suonare come se nulla fosse, mentre il Titanic affonda. Non per niente Scopelliti tiene due piedi in tre scarpe. Il Pdl, del quale è tuttora coordinatore regionale, nonostante la chiarezza delle parole e dell’esempio di Angelino Alfano in tema di incompatibilità; la Lista Scopelliti, esempio plastico di lista “coca-cola” invisa a via dell’Umiltà; il laboratorio del Partito del Sud di Micciché, presidiato dal fedelissimo Alberto Sarra. Le vie di fuga non mancano. Così come i voti, checché se ne dica. La capacità di intercettare il favore dei giovani non si discute neanche, visto il successo – già sperimentato a Lamezia – dell’estensione del modello Reggio su scala regionale: nani, ballerine, convention mirabolanti e spettacoli a go-go.
Popolarità e seguito non possono essere considerati un demerito. Lo è, purtroppo, il vuoto pneumatico di una sinistra tenera e inciuciante che, invece di fare opposizione durissima, non si preoccupa di smentire le accuse di partecipazione alla gestione clientelare del potere (da ultimo, la vicenda della Fondazione Campanella). Esiste, evidentemente, un deficit di leadership, causato dal deserto che – parafrasando Tacito – è stato fatto senza peraltro portare alla pacificazione. Di più, c’è un problema di credibilità. Che è come il coraggio di don Abbondio. Se non ce l’hai, non te la puoi dare.

Condividi

Comma ammazza-blog: un post a Rete unificata

Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?
Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

Questo blog partecipa all’iniziativa di web lotta promossa da www.valigiablu.it, che invita tutti i blogger contrari all’ammazzablog a scrivere lo stesso post (questo) a rete unificata.

Condividi

Con le buone maniere si ottiene tutto

Nuntio vobis gaudium magnum: habemus tesseram! Ebbene sì, ce l’ho fatta. L’Ordine dei giornalisti ha finalmente partorito il mio tesserino. Un travaglio lunghissimo, ma il bimbo sta bene. Me lo sto coccolando quasi sbalordito. Quando ieri ho telefonato al sindacato dei giornalisti della Calabria per avere aggiornamenti sulla situazione, quasi non credevo alle mie orecchie. Il piccolo era là, nel cassetto di Carlo Parisi e attendeva soltanto che uno della famiglia andasse a ritirarlo.
Il segretario del sindacato, tra il serio e il divertito, mi ha però rimproverato. Oggi è anche apparsa su CALABRIA ORA una sua replica al mio intervento di inizio settembre, che riproponeva l’articolo di denuncia postato sul blog il 31 agosto. Da quel che ho compreso, Parisi è rimasto infastidito da alcune telefonate scherzose (“ma glielo volete dare questo tesserino?”) e perché l’unico nome presente nel pezzo, a parte quello del commissario Cembran, era il suo. In realtà, il mio articolo non era “contro” di lui, né “contro” il sindacato, che anzi mi è stato di grande aiuto, sia nel dipanare una questione parecchio ingarbugliata, sia nel pungolare l’Ordine per il rilascio del tesserino. Probabilmente, il titolo scelto dal giornale (“L’Ordine dei giornalisti mi snobba da otto anni”) non sintetizzava al meglio il contenuto della mia lamentela. Ma come ben sa Parisi, i titoli non li scrivono gli autori degli articoli.
Riguardo alla precisazione di oggi (“Snobbato dall’Ordine? No, ed ecco il perché”), devo segnalare una piccola inesattezza, che però è sostanziale. Nel 2003, la tessera l’avevo richiesta. Lo so benissimo che esiste una procedura a parte rispetto a quella di iscrizione all’Albo. Non “me ne sono dimenticato”, come egli ipotizza con un pizzico di ironia. Né penso di avere trasgredito la saggia norma di raccontare “i fatti senza omissioni di sorta”. Tant’è vero che avevo ammesso di non avere seguito la pratica per anni, dopo la richiesta, e di avere dovuto saldare diverse quote annuali.
L’incidente è comunque chiuso, con reciproca soddisfazione. Abbiamo anzi scherzato su questa querelle. Una considerazione però va fatta. Neanche il tempo di leggere sul giornale la mia lettera e ho avuto il tesserino. Davvero una singolare coincidenza.

Condividi

Farsi del male, un vizio assurdo e inguaribile

La notizia non è ufficiale, ma fonti vicine al comitato referendario danno oltrepassata la soglia delle 500.000 firme per l’abolizione del Porcellum. Un grandissimo risultato, raggiunto nonostante una visibilità televisiva impercettibile, compensata tuttavia dal tam tam della rete, che anche in questa occasione – come nella consultazione referendaria di giugno – ha svolto il prezioso ruolo di difensore dei sacrosanti principi democratici ad essere informati e a partecipare alla res publica. Si tratta di un primo passo, che va gestito senza la presunzione di pensare che il più sia stato fatto.
L’avviso ai naviganti è chiaro. Tocca al Parlamento, ora, decidere se ignorare la richiesta di cambiamento e continuare a fare strame della volontà popolare, o se sia più opportuno fare tesoro del messaggio lanciato dalla società civile. Le reazioni a caldo sembrano incoraggianti, se perfino Alfano, che non doveva trovarsi sulla Luna quando è stata approvata la “porcata”, si è detto disponibile a modificarla: “Siamo per capovolgere il sistema elettorale per cui oggi i parlamentari sono calati dall’alto”. Un sussulto che fa restare basiti. Certo, potrebbe anche essere una tattica dilatoria. Fino a quando la Cassazione non si pronuncerà sull’ammissibilità del quesito (gennaio 2012), non accadrà nulla. E se, come sembra, la legislatura si interromperà prima della scadenza naturale, tutto potrebbe tornare in alto mare perché si andrebbe alle urne con l’attuale sistema elettorale.
Al di là di qualsiasi considerazione, siamo però di fronte alla luminosa attuazione del principio scolpito nel primo articolo della Costituzione: la sovranità appartiene al popolo. Ed è bene che lo sappia chi confonde il potere con l’arbitrio. Ci sarà sempre un giudice a Berlino, fino a quando le istituzioni democratiche funzioneranno.
In questa Italia schizofrenica, il pericolo è semmai un altro. Quello che piccoli interessi di bottega possano vanificare un risultato ottenuto, per lo più, indipendentemente dalle sigle di partito. I sostenitori dell’“altro” referendum (il “Passigli”), dopo l’iniziale passo indietro, hanno di nuovo fatto sentire la propria voce non soltanto per invitare gli elettori a sostenere il proprio quesito, ma anche per seminare dubbi sulla possibilità che i quesiti del comitato “firmo, voto, scelgo” superino il vaglio della Cassazione e sugli effetti della loro approvazione.
In un momento come quello attuale, dividersi costituisce una grave prova di immaturità e di autolesionismo. Responsabilità vuole, invece, che una volta individuata una priorità, ci si comporti di conseguenza, senza volersi per forza appuntare sul petto la medaglia di primo della classe. È essenziale abolire questa legge vergognosa. Che lo faccia Arturo Parisi o Stefano Passigli, non fa grande differenza. Anche perché, in Italia, il referendum è uno strumento abrogativo, per cui dopo, in ogni caso, si renderà necessario l’intervento del Parlamento. Insomma, non importa il colore del gatto: l’importante è che catturi i topi.

Condividi

La guerra di Piero

Da più di un anno cerco di capire chi sia Piero Sansonetti, quale lo scopo di alcune sue spiazzanti prese di posizione e cosa rappresenti Calabria Ora nello scenario politico-culturale calabrese. Questa mia personale ricerca non sta approdando da nessuna parte. Forse per limiti miei. Forse perché il personaggio non si presta ad etichettature definitive. O forse perché a non essere catalogabili sono la politica e la società calabrese.
Già il suo arrivo, nell’estate 2010, fu una sorpresa. Che ci veniva a fare, in Calabria, l’ex direttore de L’Unità e di Liberazione? Calabria Ora attraversava il momento più critico dalla sua nascita, lo scontro tra gli editori e il direttore Paolo Pollichieni – di recente tornato in sella, più agguerrito che mai, con il settimanale Corriere della Calabria –, conclusosi con le dimissioni di quest’ultimo e dello zoccolo duro della redazione. Origine del terremoto, gli scoop sui rapporti tra mafia e politica, in particolare gli articoli di Lucio Musolino su alcune imbarazzanti frequentazioni del governatore Giuseppe Scopelliti e di altri politici reggini. E proprio Musolino fu la prima vittima del nuovo corso, nonostante le spallucce di Sansonetti, che addossò interamente alla proprietà il licenziamento del giornalista.
Tacciato dai detrattori di eccessivo esibizionismo, non fa nulla per nascondere il desiderio di stupire a tutti i costi, sostenendo posizioni spesso impopolari a sinistra, che gli sono valse l’accusa di collaborazionismo e intesa con il nemico. Discutibile il suo modo di argomentare lievemente ammiccante, quel “capite bene” che in genere, nei suoi articoli, precede l’affondo. Uno stratagemma per mettere con le spalle al muro il lettore, che si sente quasi obbligato a capire e condividere, anche se è di tutt’altro avviso. Non gli vengono perdonate le partecipazioni a “Porta a porta” – dove dovrebbe rappresentare il pensiero della sinistra – e i salotti frivoli e vacui dei talk show televisivi del pomeriggio. Mentre tutti i giornali di sinistra (e non solo) si scagliano contro il presidente del consiglio, Sansonetti si distingue per la condanna del tribunale mediatico (“Abbasso Santoro, viva le veline”) e l’indulgenza usata per le vicende Noemi e Ruby.
Il sensazionalismo come stella polare. Dalla morte di Lady Diana (“Scusaci principessa”), alla grazia per Anna Maria Franzoni; dalla legittimazione dell’estremismo nero di Forza Nuova, allo sdoganamento dello slogan fascista “boia chi molla”, proposto come grido di battaglia per un nuovo meridionalismo. Ancora, il tema spinosissimo della giustizia. La sottoscrizione della lettera (tra i firmatari, Fabrizio Rondolino, Claudio Velardi, Ottaviano Del Turco, Enza Bruno Bossio) che, a gennaio, scongiurava la sinistra di non farsi trascinare dal giustizialismo montante, perché “la corruzione va perseguita, ma non, come fu nel ’92-’94, decapitando una classe politica”. La lotta ingaggiata con la procura di Reggio e un garantismo sempre ostentato che improvvisamente viene meno. Per cui i pentiti non possono essere affidabili se accusano Scopelliti, ma diventano credibili se attaccano Giuseppe Pignatone. Da ultimo, il caso della collaboratrice Giuseppina Pesce, la cui ritrattazione, poi ritirata, è stata utilizzata da Sansonetti per insinuare pressioni psicologiche e confessioni estorte dal procuratore di Reggio. Una strategia difensiva – è poi emerso – che sostanzialmente si avvaleva dell’ignaro direttore di Calabria Ora (al quale l’avvocato Madia consegnò la lettera fatta firmare alla propria assistita perché “era l’unico disposto a pubblicargliela e a sposare la nostra causa”) per intorbidire ulteriormente l’aria insalubre della procura reggina. La gestione dei pentiti e delle loro rivelazioni è un aspetto essenziale del tema della giustizia. Ma un giornalista strumentalizzato non fa per niente una bella figura. E non è neanche una buona notizia.

Condividi

Un taglio alla democrazia

Ci risiamo. L’ennesima porcata, questa volta nascosta tra le pieghe della manovra economica bis, dietro il paravento delle “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” contenute nel decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, comprensivo delle modifiche introdotte con il maxiemendamento approvato dal Senato il 7 settembre e passato alla Camera con il voto di fiducia del 14. L’articolo 16 del titolo quarto prevede infatti la “riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali”, da ottenere mediante le unioni dei comuni al di sotto dei mille abitanti e la diminuzione del numero di consiglieri e assessori comunali negli altri.
Si tenta di curare la patologia degenerativa del costo della politica ricorrendo ad una medicina con pericolose controindicazioni. La democrazia si realizza ampliando, non restringendo i luoghi del confronto e della dialettica politica; aumentando, non riducendo il numero di coloro che partecipano alla cosa pubblica. Già la legge 26 marzo 2010 n. 42 aveva dato una sforbiciata consistente (20%) alla composizione dei consigli comunali. Ma in molti municipi non ci sarà il tempo di verificarne l’effetto, poiché il nuovo provvedimento trasformerà i consigli comunali in circoli esclusivi: sei consiglieri nei comuni fino a mille abitanti; sei pure da 1.001 a 3.000 (due gli assessori); sette da 3.001 a 5.000 (tre assessori); dieci da 5.001 a 10.000 (quattro assessori). Nel caso di Sant’Eufemia, l’accetta del governo risparmierà otto privilegiati: il sindaco, cinque consiglieri di maggioranza e due di minoranza. Nove componenti in meno rispetto ad oggi. Di positivo c’è che tra i futuri vincitori nessuno resterà senza poltrona: tre assessori, il presidente del consiglio, il rappresentante alla comunità montana. I conti sembrano tornare. Ma l’idea di subordinare la democrazia al pallottoliere del ministero dell’Economia è aberrante. Si corre il rischio di scavare ulteriormente il solco che separa i cittadini dalla politica, degradando quest’ultima a ristretta questione privata. D’altronde, l’approvazione di un provvedimento del genere indica che lo scollamento tra politica e territorio è quasi irreversibile. In una situazione in cui i parlamentari non fossero dei “nominati” e dovessero dare conto ad un elettorato, non sarebbe possibile, perché le proteste degli amministratori locali imporrebbero un immediato cambio di rotta, per non compromettere la rielezione. Un altro motivo in più per sostenere e votare il referendum anti-porcellum.
Nel nostro comune, ai consiglieri comunali spetta un gettone di presenza di una ventina di euro; agli assessori un’indennità di circa 220 euro al mese. Un modo, semplice, per risparmiare senza tagliare la democrazia ci sarebbe: abolire qualsiasi emolumento per chiunque presenti annualmente la dichiarazione dei redditi, indipendentemente dall’importo. Dopodiché, si potrebbe addirittura ritornare ad un consiglio di venti membri, un numero adeguato per assicurare, nei piccoli comuni, la rappresentanza di gran parte della comunità. E indispensabile per non trasformare la formazione delle liste nell’organizzazione di una partita di calcetto, una faccenda da sbrigare con un rapido giro di telefonate.

Condividi

Firmo, voto, scelgo

La consequenzialità logica è semplice e lineare: firmo, voto, scelgo. È lo slogan del comitato referendario per i collegi uninominali, presieduto da Andrea Morrone e composto da Idv, Sel, Pli, Unione popolare, Democratici di Arturo Parisi (coordinatore politico del comitato), Rete dei referendari di Mario Segni. Entro settembre “firmo” per chiedere l’indizione del referendum; nella prossima primavera “voto” per abrogare il famigerato “Porcellum”; nel 2013, salvo imprevisti, “scelgo” il mio rappresentante in Parlamento. Un diritto del quale il cittadino è stato espropriato nel 2005, quando fu approvata la legge Calderoli, definita “una porcata” dall’allora ministro per le riforme – e, su quella scorta, “Porcellum” dal politologo Giovanni Sartori – a causa di alcune contestatissime caratteristiche, prima fra tutte quella delle liste bloccate.
Il termine ultimo per raggiungere le 500.000 adesioni necessarie (soglia elevata precauzionalmente dai promotori a 600.000) è fissato al 30 settembre, ma per questioni organizzative e burocratiche è bene chiudere la raccolta entro il 25. È possibile sottoscrivere i quesiti referendari presso i banchetti allestiti in tutta Italia o nei comuni, anche in quelli che non hanno dato alcuna pubblicità all’iniziativa. Basta chiedere e da qualche armadietto spunteranno fuori i moduli da firmare.
Fiutata la possibilità di dare la spallata decisiva al governo, negli ultimi giorni anche il Pd si è dato da fare, ospitando alle feste dell’Unità i banchetti per la raccolta delle firme, dopo l’iniziale titubanza spiegata con l’esistenza della proposta democratica già depositata in Parlamento, che ricalca il sistema elettorale tedesco (proporzionale con sbarramento).
Non sarebbe male se, per una volta, a sinistra la smettessero di sbranarsi e si compattassero per raggiungere un obiettivo di vitale importanza per la qualità del nostro sistema politico. In 150 anni di storia unitaria, soltanto le leggi elettorali fasciste hanno superato quella attuale per sprezzo della democrazia: la legge “Acerbo” del 1923, che assegnava i due terzi dei seggi alla lista (o coalizione) che avesse superato il 25% dei voti; la legge del 1928 che introdusse il plebiscito e la lista unica; il regio decreto del 1939 che abolì la Camera dei deputati e istituì la Camera dei fasci e delle corporazioni, priva di alcuna legittimità elettorale e composta “ex officio” dai vertici delle corporazioni e dai segretari federali del partito nazionale fascista.
Il “Porcellum” salva la forma, ma nella sostanza rappresenta un vulnus al diritto del cittadino di scegliersi i rappresentanti, concentrando nelle mani di quattro-cinque leader di partito il potere di “nominare” i componenti dell’intero Parlamento. Probabilmente, proprio per questa caratteristica – tutt’altro che disprezzata dalle segreterie dei partiti – è mancata sempre, al di là dei proclami, un’azione convinta per modificare la legge. Il referendum rappresenta l’ultima spiaggia e la possibilità di inchiodare alle proprie responsabilità l’intera classe politica. L’abolizione dell’attuale legge ripristinerebbe il “Mattarellum” (così denominato dal relatore della legge, Sergio Mattarella), un sistema elettorale misto che assegna il 75% dei seggi di Camera e Senato mediante l’elezione in collegi uninominali e il restante 25% con il metodo proporzionale. Non proprio il massimo della semplicità se si pensa al complicatissimo meccanismo dello “scorporo”. L’obiettivo ultimo dei referendari è però quello di costringere il Parlamento a porre mano ad una nuova legge elettorale che, come ha sottolineato Cittadinanzattiva, ridia autorevolezza ad un Parlamento ormai espropriato del proprio ruolo e tuteli l’effettività del diritto di voto dei cittadini. Se poi i 945 “nominati” (più i senatori a vita) non dovessero essere in grado di confezionare una nuova legge elettorale, sempre meglio il “Mattarellum” del “Porcellum”.

Condividi