Avevo chiesto a Mario di raccontarci “in presa diretta” l’atmosfera del “Queen’s Jubilee”, i festeggiamenti per i 60 anni di regno di Elisabetta II. Mi incuriosiscono il costume e le stravaganze “inglesi” (colpa di Sandro Paternostro, Nicola Caprarica, Beppe Severgnini, Giovanni Masotti e Stefano Tura) e confidavo in un “taglio” ironico e leggero. Invece è stato serissimo, circostanza che aiuta a capire perché la regina, secondo un recente sondaggio, sia amata da quasi 9 Inglesi su 10 e sia sopravvissuta agli scandali della Famiglia Reale, alla morte di Lady D, a Carlo e Camilla. Il “Giubileo di Diamante” si è così trasformato in una luna di miele di quattro giorni, conclusa con la tradizionale God save the Queen, intonata dall’immensa folla in attesa a Buckingham Palace.
Un amore che, per le mie convinzioni, è quasi incomprensibile. Trovo urticante la sola idea che qualcuno possa trovarsi in una posizione di autorità e di privilegio senza averne alcun merito, a meno che non si consideri tale la fortuna di essere nato in una famiglia reale.
Detto questo, è indubbio che Elisabetta II ha il merito di assolvere al meglio delle possibilità l’importante ruolo di collante nazionale. “Lilibeth” è il volto di un’istituzione alla quale tutto il popolo inglese guarda con simpatia, affetto, fiducia e devozione (a parte lo storico Eric Hobsbawm, ritiratosi sdegnosamente in Galles, televisore spento e nessun quotidiano da leggere per tutta la durata dei festeggiamenti).
L’altro dato da sottolineare è che gli Inglesi, a differenza nostra, sanno “quando” e “come” festeggiare. Condivido in pieno la chiusura dell’articolo, alla luce delle infinite polemiche sorte in Italia, in occasione delle celebrazioni per il 2 giugno. Il richiamo alla “sobrietà” (termine che aborro per il suo altissimo tasso d’ipocrisia), suggerito dai tragici avvenimenti del terremoto in Emilia, ha sollevato il consueto polverone populista e qualunquista. Perché un conto è contenere le spese e limitare la pompa (parata militare), per rispetto delle vittime e delle magre casse dello Stato; altra cosa è l’attacco strumentale a una data-simbolo della nostra storia. Sappiamo bene che c’è, in Italia, un problema di storia condivisa che dall’Unità è arrivato irrisolto ai giorni nostri e che ha caratterizzato i momenti più salienti e tragici della storia nazionale: questione meridionale e brigantaggio postunitario, fascismo, terrorismo e anni di piombo. Ma la vittoria sul nazifascismo (25 aprile 1945) e la successiva condanna popolare della monarchia complice della dittatura fascista (2 giugno 1946) rappresentano i valori fondanti della nostra stessa democrazia, proprio per questo scolpiti nella Costituzione repubblicana, sui quali non ci si può dividere, né lasciarsi andare ad inutili e sterili polemiche.