Sconfitta e metodo democratico nelle parole di don Luigi Sturzo

In esilio ormai da dieci anni, nel febbraio del 1936 don Luigi Sturzo scriveva sulle colonne del giornale spagnolo “El Matì” un articolo con il quale si rivolgeva agli amici cattolici spagnoli, alleati del Fronte Nazionale, dieci giorni dopo le elezioni che avevano visto la vittoria del Fronte Popolare. Di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra civile terminata nel 1939 con l’instaurazione della dittatura di Francisco Franco. Quella di Sturzo è una lezione di umiltà e un avvertimento sui pericoli che può determinare la contrapposizione feroce tra le forze politiche. L’esempio italiano, caratterizzato dall’incomunicabilità tra socialisti, cattolici e liberali, da questo punto di vista era emblematico e l’affermazione del fascismo, nel 1922, stava lì a dimostrarlo.

Altra utilità, che viene dalla sconfitta, è studiarne oggettivamente le cause […]. Non è a credere che gli avversari abbiano sempre torto, e che noi abbiamo sempre ragione. La sconfitta ci deve dare un senso di umiltà (che spesso non abbiamo) in confronto ai nostri avversari.

È applicabile al caso la massima ascetica che nessuno si deve credere migliore di qualsiasi persona. La ricerca delle ragioni morali della sconfitta (più che quelle politiche o tattiche) ci conduce a rivalutare tutti i problemi della vita pubblica.

Ma su tutti questo problema, che è fondamentale: nella vita pubblica non siamo soli, non siamo sempre dominatori […]. Ciò significa che si deve avere sempre presente il proposito di non portare la lotta politica a fondo per la distruzione dell’avversario, di non rendere impossibile l’intesa con i partiti che si combattono, di non tagliare mai i ponti sul terreno elettorale e parlamentare.

L’errore enorme di ridurre il paese a due blocchi fermi e chiusi per l’eliminazione del competitore dovrebbe essere bandito con ogni cura […]. Non bisogna mai portare le lotte sul piano di una guerra civile.

[Don Luigi Sturzo]

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Il marchese del Grillo 2.0

Era scontato che la diretta streaming si sarebbe rivelata una trappola. Ma Bersani “doveva” caderci, per non subire l’accusa di non avere tentato tutte le strade. Ed è pure naturale che un movimento che si professa antisistema non abbia alcun interesse a fare da stampella a Bersani, Berlusconi o chiunque altri. Se poi i “vecchi” partiti vogliono fare un ulteriore regalo a Grillo, non hanno che una strada: coalizzarsi in un governo di “responsabilità” che si trasformerà in una formidabile carta tra le mani del M5S nella prossima campagna elettorale.

Ci sta pure che qualcuno si indigni e accusi i grillini di essere privi di senso di responsabilità (penso alla posizione di Fiorella Mannoia, per esempio), ma ciò – paradossalmente – potrebbe rivelarsi utile da un punto di vista di chiarificazione: ognuno ora sa cosa ha votato, cosa non ha votato o cosa ha prodotto la decisione di astenersi e si regolerà di conseguenza.

A questo punto tocca al Pd prendere l’iniziativa e chiedere di andare alle urne al più presto. Il M5S vuole il “tanto peggio, tanto meglio?”. E “tanto peggio, tanto meglio” sia. È tempo di sfidare l’avversario: tergiversare o sperare nella resipiscenza di Grillo è soltanto una perdita di tempo.

Solo gli illusi potevano credere che Grillo e Casaleggio potessero avere uno scatto di generosità o che il M5S avrebbe stabilito la propria linea nell’incontro con Bersani, la cui proposta probabilmente non è stata neanche ascoltata.

Le decisioni che contano il M5S le prende altrove e senza dibattito interno, visto che l’unica volta che Grillo e Casaleggio hanno allentato la catena (elezione del presidente del Senato) stava per scoppiare il finimondo.

Quella di oggi è stata soltanto una parata a favore di webcam, che gli adoranti grillini certamente apprezzeranno, ma che non cambia la sostanza di un movimento populista, saccente e antidemocratico.

“Le parti sociali siamo noi” ha dichiarato la portavoce alla Camera, Lombardi. A me ha ricordato Alberto Sordi ne Il marchese del Grillo: “Io so io e voi non siete un cazzo”.

Qua siamo al marchese del Grillo 2.0: “Le parti sociali siamo noi e voi non siete un cazzo”.

Nulla di nuovo sotto il sole.

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Contrada Peras

A Domenico Cutrì, prolifico poeta eufemiese trapiantato ad Ala di Trento, l’amministrazione comunale guidata da Giovanni Fedele ha dedicato, circa dieci anni fa, la biblioteca comunale.
Tra i versi ispirati a Sant’Eufemia d’Aspromonte, la poesia Contrada Peras del mio paese natio a mio avviso è tra le più significative della sua produzione, non a caso contenuta anche nella “prima parte” (Poesie della memoria) della raccolta L’ultimo volo, pubblicata postuma a cura della figlia Franca, nel 1985:

In questa contrada

il gallo batteva le ore


ed i contadini del tempo

– zappa a spalla –

si recavano al lavoro.

La sera,
seduti scalzi sull’acciottolato


davanti alla porta di casa,

farfugliavano nel vuoto,

aspettando pensierosi il domani,

per chi riusciva a vederlo.

La semplicità e la circolarità della quotidianità campestre, scandita dal canto del gallo; la “fatica” della vita, fatta di lavoro, lavoro e poi… ancora lavoro; la precarietà di esistenze condannate alla solitudine della sera, prive di sogni perché il sognare presuppone la capacità di guardare oltre il traguardo più immediato e urgente, alzarsi l’indomani per continuare a lasciare nei campi, giorno dopo giorno, vigore, gioventù, anima.

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Polito e il calo dei matrimoni

Ho letto la riflessione domenicale di Antonio Polito sulla prima pagina del Corriere della Sera: “Quelle leggi antimatrimonio”.

Una panoramica a trecentosessanta gradi sulle ragioni del calo inarrestabile dei matrimoni in Italia: quarantamila in meno negli ultimi tre anni. Uno pensa: la crisi economica. Macché. Quello è l’ultimo dei problemi per l’ex direttore de Il Riformista, che infatti neanche la inserisce tra le cause del declino dell’istituto matrimoniale.
Il motivo principale andrebbe invece ricercato nella selva legislativa della materia, “una pletora di leggi e regolamenti che in Italia disincentivano a sposarsi”. Un esempio? La recente circolare dell’Università di Genova che, estendendo le norme della legge Gelmini contro il nepotismo dei baroni, proibisce l’assunzione di docenti sposati con colleghi che già lavorano nell’ateneo della città della Lanterna. Tra le invettive scagliate contro la riforma Gelmini quella del giornalista campano, seppure “indiretta”, è la più singolare. Non ci aveva pensato proprio nessuno, bisogna ammetterlo.

Un caso di scuola, prosegue Polito, riguarda invece la regolamentazione delle assunzioni in Rai. Benedetto figliolo, è notorio che la Rai è ormai il bancomat di mogli, figlie, amanti di politici e vip di turno (collaborazioni, consulenze e chi più ne ha più ne metta). Per dire: per anni gli italiani hanno stipendiato il compagno di Antonella Clerici, un animatore di villaggi turistici diventato improvvisamente autore dei programmi della procace conduttrice televisiva, sparito l’indomani della fine della storia d’amore tra i due. E sarebbe sufficiente leggere le firme dei servizi dei telegiornali e dei membri delle redazioni giornalistiche (un velo pietoso sulla carta stampata), per farsi una semplicissima domanda (“sarà figlio/a di?”) e dedicare una sonora pernacchia a Polito.

Ma forse siamo noi accecati dalla furia anticasta e inebriati dal grillismo più sfrenato, mentre quello di Polito è un ragionamento ineccepibile, che scoperchia l’ingiustizia di norme discriminatorie e inaccettabili per qualsiasi paese civile. Se lo tolgano dunque dalla testa i 12 milioni di italiani conteggiati dall’editorialista del Corriere che vivono “al di fuori della famiglia tradizionale”: è vano sperare di regolarizzare la propria situazione sentimentale, pena la rinuncia alla cattedra universitaria o alla scrivania di un tg nazionale. Notoriamente, il sogno di tutti gli italiani.

Senza contare, incalza un incontenibile Polito, tutti quei furbastri ottuagenari che non si risposano per non perdere l’uso della casa o per non dovere rinunciare all’assegno di reversibilità della pensione del defunto coniuge. Anche se qua è più indulgente, concedendo e concludendo che l’istituto giuridico del matrimonio è diventato “troppo rigido per una società tanto flessibile”.

Sulla crisi economica, sulla precarizzazione del lavoro e sulla disoccupazione giovanile, sul disastro dell’edilizia sociale neanche un accenno. Coppie di giovani senza un lavoro dignitoso, senza un alloggio, senza la speranza di un futuro migliore e per Polito sembra che il problema sia la riforma Gelmini. Troppi salotti televisivi e poca strada. La sindrome dello scollamento dalla realtà evidentemente è una patologia che non colpisce soltanto i politici.

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E si torna sempre al “che fare”

A me sembra che il Pd si stia impantanando in un’eccessiva elaborazione del lutto. Non che non ci sia stata la sconfitta, o comunque una non vittoria: “siamo i primi, ma non abbiamo vinto”, l’analisi a caldo, onesta, del segretario Bersani. E però gli altri sono già in campagna elettorale, proiettati sul futuro: al risultato del 24 e 25 febbraio neanche ci pensano più. Berlusconi minaccia di chiamare a raccolta la piazza una volta al mese e da qui in avanti il motivo lo troverà sempre, visto che l’arma del legittimo impedimento è al momento parecchio spuntata e i suoi processi invece andranno avanti.

Grillo tifa spacciatamente per il “tanto peggio, tanto meglio” (cinico, ma ineccepibile dal suo punto di vista) per continuare a monetizzare lo scontento di larga parte dell’elettorato. Inutile attendersi che i richiami al senso di responsabilità producano effetti positivi, sponda M5S. Che fare (ah, vecchio Lenin), quindi? Fare i conti con la realtà sarebbe già un utile primo passo. E la realtà ci dice: a) che nessuno ha i numeri per fare un governo; b) che il centrosinistra, pur non avendo la maggioranza nel Paese, ha la maggioranza alla camera. L’iniziativa politica non può che spettare a Bersani.

E poi? E poi, come diceva un mio vecchio professore, “a mio modesto e subordinato parere” bisogna tirare fuori gli attributi.

Mi pare che Bersani sia su questa strada e me ne compiaccio, anche perché ultimamente l’ho parecchio criticato, tanto da avere disertato le urne nell’illusorio tentativo di lanciare il mio pezzettino di segnale di insofferenza nei confronti della gestione del partito in Calabria: commissariamento infinito, candidature calate dall’alto, solito sconcio di primarie dalla dubbia credibilità.
“Scurdammoce ’o passato”: è stato un errore non chiedere di andare al voto dopo la caduta di Berlusconi; è stato un altro errore farsi impiccare a quel “senso di responsabilità” dal quale il leader pidiellino, furbo e previgente, si è smarcato, tanto da far credere che il disastro sia stato provocato da altri e non da chi ha vinto le elezioni nel 2008, governato per tre anni e mezzo, sostenuto Monti per un altro anno; è stato un errore gustarsi dal divano la campagna elettorale degli altri, incapaci di prendere posizioni nette sia perché sicuri della vittoria, sia perché troppo attenti al mantenimento dell’equilibrio tra Monti (che invece ci è andato giù pesante) e Vendola.

Si guardi al futuro, senza cedimenti né paure. Occorre recuperare il feeling con la società, ma questo è un processo che richiederà tempo e una nuova classe politica. Per il Pd potrebbe essere positivo il dato di fatto che Grillo non rappresenta tutta la protesta: l’alto astensionismo, da questo punto di vista, è eloquente.
Il senso della proposta degli otto punti “irrinunciabili per qualsiasi governo” è condivisibile: presentarsi al Parlamento con un paio di cose da fare (e speriamo che sia finalmente la volta buona per la riforma elettorale) e su quelle chiedere la convergenza delle altre forze politiche. C’è poi la chiarezza del no ad un’alleanza Pd-Pdl che sarebbe un suicidio politico e il più grande favore a Grillo. In definitiva, un governo di minoranza o comunque qualcosa che gli somigli (l’ultima moda è il governo “di scopo”). A tempo: poi, di nuovo al voto. Se non dovessero esserci le condizioni per una soluzione del genere, però, meglio andare subito alle elezioni. Ma a quel punto il Pd dovrebbe avere la forza di cambiare tutto, a partire dalla premiership (non ero fan di Renzi, ma allo stato attuale non vedo altro all’orizzonte), per evitare di essere travolto dallo tsunami.

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Le elezioni politiche a Sant’Eufemia

Il primo dato significativo e probabilmente quello più rilevante è l’astensionismo. Tra i comuni della provincia di Reggio Calabria, l’affluenza per l’elezione del Senato registrata a Sant’Eufemia ha segnato il record negativo, con il 37,13% di votanti sul totale degli aventi diritto: in cifre, sono stati 1.010 su 2.720 gli elettori che si sono presentati alle urne. Il dato relativo alla Camera piazza invece Sant’Eufemia al secondo posto, dietro la maglia nera Platì (37,38%), con il 37,59% di votanti e 1.156 elettori su 3.075 aventi diritto.

Qualsiasi tipo di considerazione sull’esito della votazione deve quindi fare i conti con questo primo dato, indice di una fortissima disaffezione e di mancanza di fiducia nei confronti della politica e delle istituzioni. La raccolta delle tessere elettorali è stato il sintomo di una malattia ben più grave, perché accanto a coloro che hanno voluto così protestare contro le politiche scellerate che a livello nazionale e regionale stanno fortemente penalizzando il territorio eufemiese (vicenda dello svincolo e discarica su tutte) si è ritrovata la stragrande maggioranza della popolazione, spontaneamente e senza che vi sia stata alcuna forma di coordinamento.

Cosicché, domenica e lunedì, quasi sette elettori su dieci sono rimasti a casa. Nonostante le 887 tessere elettorali raccolte dal movimento Cittadinanza Attiva fossero state riconsegnate al Comune per essere restituite ai cittadini e nonostante l’appello al voto giunto in molte case tramite una lettera inviata dall’assessore regionale Luigi Fedele a due giorni dal voto.

Se a questo si aggiunge un ulteriore 10% di schede nulle (52, pari al 5,14%) e bianche (45, pari al 4,45%), siamo intorno a due elettori e mezzo su dieci. Troppo pochi per cercare di analizzare l’esito dello spoglio.
Ad ogni modo, il partito più votato è stato il Pdl (339 voti e 37,13% al Senato; 412 voti e 39,61% alla Camera): un risultato positivo per l’onorevole Fedele, nel bel mezzo dell’attuale bufera politica.

Non è tsunami, ma qualche onda del Movimento Cinque Stelle è arrivata anche a Sant’Eufemia, dove il partito di Grillo è secondo partito alla Camera con 185 voti (17,78%) grazie al voto degli under 25 (al Senato è invece terzo con 130 voti, pari al 14,23%).
Non ha nemmeno confermato i 202 voti delle primarie il Pd (15,44% al Senato, con 141 voti; 152 alla Camera, pari al 14,61%), mentre non ha sfigurato Grande Sud al Senato (effetto probabile della candidatura di Giovanni Bilardi): 114 voti (12,48%), a fronte dei 46 (4,42%) raccolti alla Camera. Soltanto 79 voti al Senato per la lista Monti (8,65%), confermati alla Camera sommando i voti di Scelta civica (64, pari al 6,15%) e Unione di centro (25, pari al 2,40%). Pochi anche i consensi dati all’estrema sinistra, con Ingroia leggermente davanti a Vendola: 21 i voti per Rivoluzione civile al Senato (2,30%) e 38 alla Camera (3,65%), mentre Sel si è fermata a 19 voti al Senato (2,08%) e 23 alla Camera (2,21%).
Il resto sono percentuali da prefisso telefonico, utili soltanto per fissare la vittoria del centrodestra a livello di coalizione: 46,73% alla Camera e 51,80% al Senato; per il centrosinistra, 17,30% al Senato 18,40% alla Camera; per il centro di Monti, 9,13% alla Camera e 8,65% al Senato.

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Per questo giro, passo

Se Berlusconi ha violato il silenzio elettorale lasciandosi andare alle sue consuete farneticanti esternazioni contro la magistratura, a margine di una conferenza stampa tenuta a Milanello, dove solitamente si parla di calcio (nello specifico, il derby meneghino), ritengo che anche a me possa essere consentito di dire qualcosa sul voto di domenica e lunedì. Credo di poterlo fare soprattutto perché il mio non è un tentativo di fare proselitismo, ma soltanto l’occasione tardiva di esprimere il mio pensiero.

In realtà la mia opinione l’ho già manifestata altre volte, però vorrei essere più preciso. Non voterò, ma vado in bestia se mi si dice che questa è antipolitica. Antipolitica è non riuscire, in cinque anni, a cambiare una legge elettorale vergognosa che toglie al cittadino la possibilità di votare il candidato che l’elettore reputa più idoneo a rappresentarne interessi e passioni. E ancor di più mi fanno perdere le staffe quelli che arrampicandosi sugli specchi se ne escono una motivazione vecchia di venti anni: dare il colpo di grazia a Berlusconi.
Si può cambiare disco o dobbiamo ancora farci dettare l’agenda da un personaggio screditato in tutto il mondo, che non gode di alcuna credibilità neppure tra i suoi stessi sostenitori e che è stato quasi costretto a ricandidarsi per non fare scomparire un’area politica allo sbando da due anni?

Vorrei sommessamente ricordare che i cittadini, la loro parte, l’hanno fatta per ben due volte mandando a Palazzo Chigi Romano Prodi: non è colpa loro se una volta al governo il centrosinistra non ha fatto una legge sul conflitto d’interessi che sarebbe stata una conquista di civiltà per il Paese e ha preferito invece dedicarsi all’autolesionismo più sfrenato e inspiegabile. O peggio all’inciucio: se penso al “patto della crostata” di casa Letta non ne mangio per il resto dei miei giorni.

Ora, mi sembra giunga fuori tempo massimo l’appello a serrare i ranghi. Anche perché, fino a qualche settimana fa, non era nemmeno ben chiaro lo scenario e poco decoroso il tentativo di equilibrismo del Pd stretto tra l’alleanza con Vendola e l’occhiolino strizzato a Monti.

La mia convinzione è che il leader del Pdl sia giunto al capolinea. Però ha fatto tutto da solo, i suoi avversari non ne hanno alcun merito. A questa considerazione si aggiunge quella pragmatica sull’inutilità del mio voto. Non “nel” voto in generale, me ne guarderei bene: libertà, democrazia e voto sono le più grandi conquiste dell’antifascismo. Cerco di spiegarmi meglio: alla Camera è praticamente certa la vittoria della coalizione di centrosinistra, che conquisterà quindi il premio di maggioranza e non avrà difficoltà di sorta. I problemi potrebbero sorgere al Senato, dato che la legge elettorale “stranamente” (perché mai si dovrebbero fare le cose semplici in Italia?) assegna il premio su base regionale, non nazionale. Per cui potrebbe verificarsi l’ipotesi che in quel ramo del Parlamento la coalizione vincente non riesca ad avere la maggioranza (soluzione per la quale tifano sia Monti che Berlusconi).
La partita vera, quindi, si gioca in quelle regioni che eleggono un elevato numero di senatori. Insomma, se risiedessi in Sicilia o in Lombardia (che vengono date come le regioni in bilico e decisive per l’elevato numero di senatori che esprimono) probabilmente andrei a votare, ma farlo qua non è proprio un esercizio inutile. Non condanno chi va a votare e non chiedo che altri seguano il mio esempio, che è quanto di più sofferto mi sia mai toccato fare da un punto di vista civico. Ma il ditino puntato contro l’antipolitica no, non l’accetto.

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Segnali

Nei piani alti della politica dovrebbero preoccuparsi del fatto che in una domenica di febbraio – dopo un solo incontro pubblico e con la limitata propaganda assicurata da un manifesto affisso per le vie del paese – un movimento sorto dal nulla è riuscito a raccogliere circa 650 schede elettorali da consegnare al prefetto della provincia. Chi frequenta, ha frequentato, vorrebbe frequentare quelle stanze, farebbe bene a porsi qualche domanda, prima che sia troppo tardi. Prima che l’antipolitica trascini a valle tutto.

Il segnale lanciato da Sant’Eufemia ha una lettura elementare e seria. “Non ci fidiamo più di nessuno”, sembrano dire i tanti cittadini in fila davanti al gazebo di “Cittadinanza Attiva” con la tessera elettorale in mano. Tessere che saranno depositate presso un notaio fino al prossimo appuntamento (domenica 10 febbraio) e poi portate in prefettura.

Un grido di dolore composto ma durissimo. Condivisibile o meno, perché il diritto di voto è l’essenza della democrazia e rinunciarvi non è decisione che si assume a cuor leggero. Ma sbaglierebbero coloro che sottovalutassero un gesto tanto simbolico quanto drammatico. Che avviene in un preciso momento storico. A un paio di giorni, cioè, dai titoli roboanti di giornali e manifesti per la “vittoria” nella battaglia per “riavere” lo svincolo autostradale, e dopo il sequestro della discarica di contrada “La Zingara” effettuata dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico.

Perché cos’altro può voler dire, se non che in pochi sono disposti a dare credito alle parole del presidente dell’Anas Pietro Ciucci (“lo svincolo si farà nei prossimi cinque anni, previa presentazione e finanziamento di un nuovo progetto”)? Cos’altro può voler dire, se non che a proposito della discarica si teme sempre il possibile colpo di mano del potere?

È tutto qua il nocciolo della questione: rabbia, delusione e ritiro di ogni tipo di delega. La politica è fuori, alla finestra, probabilmente spiazzata dall’exploit del movimento. Dato che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, quanto sia ormai profondo il solco che divide i politici di professione dalla società civile e quanto sia inadeguato un sistema di rappresentanza politica che non rappresenta più nessuno e che è funzionale alla sopravvivenza di un ceto politico autoreferenziale.

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E vissero tutti felici e contenti

L’incontro in prefettura con il presidente Pietro Ciucci ha avuto esito positivo: lo svincolo di Sant’Eufemia si farà. Questa la promessa del numero uno dell’Anas nell’incontro odierno. Con una postilla al vetriolo: entro cinque anni.

Tempi burocratici, si dirà, necessari per consentire l’approvazione e il finanziamento di un nuovo progetto.

Tutti soddisfatti, quindi: la regione Calabria, la Provincia di Reggio Calabria, i sindaci del comprensorio, il Comitato per il mantenimento dello svincolo.

Mesi di lotte, ma il risultato c’è. Tangibile. E vai con la corsa ad intestarsi l’esito positivo della vicenda.

Nell’attesa che la promessa venga mantenuta, verrà messa in sicurezza l’arteria che collega il vecchio svincolo di Sant’Eufemia con quello di Bagnara nel nuovo tracciato. Una soluzione che conferma la tesi iniziale di “vox populi”: alla fine della fiera, occorrerà battersi il petto se si potrà continuare a transitare sul vecchio tracciato, per il quale si temeva la demolizione.

Un’ipotesi oltremodo penalizzante e dalle conseguenze disastrose anche da un punto di vista logico: si provi soltanto ad immaginare tir e autobus bloccati in qualche tornante di Pellegrina. Impensabile.

“Vox populi” maliziosamente sosteneva anche che l’avvicinarsi delle elezioni avrebbe ammorbidito la posizione di Anas. E così è stato.

Ora se ne riparlerà tra cinque anni. Allegria.

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Una bella notizia

Ho ricevuto una email di Antonello Zucco che mi ha reso molto felice, nella quale mi comunica che l’amministrazione comunale ha approvato la delibera necessaria per potere accettare la donazione delle opere di Nino Zucco.
Ritengo che si tratti di una bella notizia, per due motivi: perché toglie dall’oblio un personaggio che dà lustro a Sant’Eufemia e perché essa è indice di attenzione e sensibilità nuove sul tema della cultura. [D. F.]

Egregio dottore,
La voglio informare che domenica sera mi ha telefonato il Sindaco di Sant’Eufemia comunicandomi che la Giunta del paese aveva approvato una delibera concernente la donazione delle opere di mio padre. Devo dire che sono contento che l’attuale amministrazione abbia preso in considerazione un suo cittadino che sicuramente ha reso onore al suo paese. Il Sindaco mi ha anche detto che ci sentiremo per stabilire una data per ricordare mio padre.
L’autorizzo fin da ora a pubblicare questa email sul suo blog.

Ringraziandola ancora le invio i miei più cordiali saluti nella certezza che presto potremo incontrarci a Sant’Eufemia.
Antonello Zucco

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