«U professuri Garzu calau?». Per i chjazzoti (habitués di piazza Matteotti, rione Pezzagrande), da oltre quarant’anni l’inizio dell’estate coincide con l’arrivo in paese di Saverio Garzo; la fine, con la sua ripartenza per Asso (Como), dove risulta domiciliato. La residenza no, quella l’ha sempre mantenuta a Sant’Eufemia: un modo per rimanere attaccato alle proprie radici, credo. Ai valori di quella civiltà contadina cui spesso fa riferimento, con rimpianto, quando la conversazione cade sulla crisi della società attuale.
Non esiste un albo di tutti quelli che siamo scesi al mare, a Scilla, con Saverio. Rigorosamente Scilla, dove con la sua piccola dama ci attendeva Rocco, che poi Saverio avrebbe fatto venire a Sant’Eufemia per sottoporlo, sotto la pergola del bar Mario, alla prova del fuoco contro il fuoriclasse eufemiese Ceo “Galera”.
Siamo scesi, sì: io tra questi, insieme ai miei due fratelli, nella seconda metà degli anni Ottanta. Arrivavamo con i nostri teli da mare (la mia riproduceva una formazione dell’Inter sfigatissima di quel periodo) a casa dei suoi genitori e della sorella Marina, che subito autorizzava Mario – il più piccolo – a salire al piano di sopra: «Va’ rrussigghialu, c’ancora dormi!». E poi via, a bordo della BMW 316, come sottofondo ottima musica: su tutte, le musicassette di un De Andrè forse non proprio estivo (indimenticabile l’incipit della canzone Il testamento: “Quando la morte ti chiamerà”), ma foriero di suggestioni che la maturità avrebbe consentito di cogliere nella loro grandezza.
Asciutto, ossuto, con quei baffoni e il cespuglio di capelli neri (poi brizzolati, oggi bianchi), Saverio è un incrocio tra Carlos Santana e un asceta indiano, tra il bomber brasiliano Antonio Careca e un contadino precolombiano.
Autore di burle atroci e pesantissime, ormai entrate nell’immaginario collettivo: dalla simulazione dell’incidente stradale con i morti sul ciglio della strada, che gli è valso un litigio durato decenni, alla sparatoria con tanto di sangue sul petto della vittima; al travestimento da donna di facili costumi per adescare la vittima di turno, con il favore del buio del luogo scelto per la messinscena, che per poco non provocò un esito “tragico” e grottesco.
Ma anche capace di ricorrere al gioco per celare una profonda umanità, come quella volta che si “sostituì” all’amico vu’ cumprà e, dopo avere percorso la spiaggia di Scilla in tutta la sua lunghezza, riuscì a vendere gran parte della mercanzia.
Per molti anni Saverio è stato il principe dell’estate eufemiese. Non che ora non dia il suo contributo, ogni volta che qualcuno lo contatti per presentare una serata o lo coinvolga nell’organizzazione di un evento popolare. Tuttavia, il suo nome è legato indissolubilmente alle manifestazioni allestite dall’Associazione culturale “Sant’Ambrogio”, una stagione d’oro che l’ha visto protagonista come volto “ufficiale”. Una sorta di Mago Zurlì, amatissimo dai bambini che si esibivano nelle serate del “Mini Festival” e dai ragazzini impegnati nelle prove simpaticissime dei “Giochi senza Frontiere”.
Serate che hanno fatto la storia (piccola, ma pur sempre storia) del nostro paese, alle quali chi c’era guarda con un pizzico di nostalgia. In questo ideale album dei ricordi, in questo malinconico “com’eravamo” c’è Saverio con la sua allegria, nel cuore il desiderio semplice di divertirsi e di divertire, di strappare un sorriso, di regalare alla comunità un paio d’ore di serenità.
*Nella foto, tratta dal profilo Facebook di Francesca Tripodi, Saverio Garzo mentre presenta una serata del Gruppo Folcloristico. Alla sua destra, Mimma Cutrì.