Diretta Facebook sulla storia di Sant’Eufemia

Quella di giovedì 8 giugno, a partire dalle ore 21:00, sarà la mia prima diretta Facebook. Non è mai troppo tardi, anche perché ritengo molto gratificante la possibilità di parlare dei miei studi sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte con la comunità di eufemiesi sparsi in tutta Italia e all’estero. Per questo ringrazio gli amici dell’Associazione culturale “Aspromonte” e il suo presidente Massimo Rositano, da anni impegnati in una meritoria opera di rafforzamento del filo ideale che lega alla propria terra d’origine la Sant’Eufemia più vasta, sparsa oltre i confini regionali.
Converseremo senza alcuna pretesa professorale. Il mio libro servirà da guida alla discussione, che è aperta al contributo di tutti coloro che, a Sant’Eufemia o fuori da Sant’Eufemia, coltivano la passione per la storia del nostro paese. A quest’ultima mi sono dedicato a partire dal 2008, con gli articoli sul blog e con le pubblicazioni: Sant’Eufemia d’Aspromonte. Politica e amministrazione nei documenti dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria. 1861-1922 (2008); Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte (2013); Sant’Eufemia d’Aspromonte e la Grande Guerra (2018); Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società, biografie (2021).
Il senso del mio ultimo lavoro sta proprio nella necessità di dare organicità e sintesi in un unico volume a tre lustri di ricerche dedicate alla ricostruzione di particolari eventi storici (terremoti del 1783, 1894, 1908; Risorgimento, Prima guerra mondiale), alla “fotografia” del mondo – oggi lontanissimo – dei nostri nonni e dei nostri genitori, alla stesura delle biografie degli eufemiesi più eminenti. Altri protagonisti cittadini sarebbero stati meritevoli di un medaglione biografico e altro ci sarebbe da scrivere sulla storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma purtroppo l’attività di ricerca si scontra con difficoltà oggettive e al momento di non facile superamento.
Può darsi che in futuro ci sarà la possibilità di ampliare il raggio della ricerca storica su Sant’Eufemia. E magari ci saranno giovani che porteranno avanti un lavoro fondamentale per rinvigorire il sentimento della nostra identità. Questo è il mio auspicio.

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Primavera di libri

Ci tengo a ringraziare i tantissimi che ieri sono stati al municipio per l’iniziativa “Primavera di libri”, organizzata dall’Associazione “Terzo Millennio”. L’incontro ha dato a noi relatori la possibilità di parlare dei nostri libri, e questo è scontato. Ciò che non lo era è stata la partecipazione attiva del pubblico. In circostanze simili, spesso si ha ritrosia nel prendere il microfono. Non è stato così. Ne è scaturito un dibattito interessante, moderato da Maria Luppino, che partendo dai libri ha spaziato sulle tematiche più svariate ma evidentemente molto sentite nella nostra comunità.
Lo stimolo fornito dalla presenza di due autorevoli scrittori e intellettuali come Gioacchino Criaco e Mimmo Gangemi, che presentavano rispettivamente Il custode delle parole e L’atomo inquieto, è stato indubbiamente decisivo. Ed è stato bello constatare come dopo tre ore nessuno fosse stanco e, anzi, avrebbe voluto continuare ad ascoltare e ad intervenire, tanto che alla fine il presidente Francesco Luppino ha dovuto “imporre” d’autorità la chiusura dell’incontro.
Ha ragione Gioacchino Criaco: «I calabresi non devono essere parlati ma devono parlare e parlarsi».
Io stesso avevo ancora molto da dire, ma spero che possano esserci in futuro altre occasioni per condividere il mio amore per la storia di Sant’Eufemia, la nostra storia.

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Una buona notizia

Come nel fortunato programma televisivo Viva Rai2!, a Sant’Eufemia “è arrivata una buona notizia”, solo che a differenza di ciò che accade ogni mattina nel glass di via Asiago 10, a Roma, con gli scanzonati Fiorello, Biggio e Casciari, nessuno l’ha comunicata. Un articolo di giornale, un comunicato, un post sui canali social istituzionali o personali. Niente di niente. A mio parere, invece, si dovrebbe dare rilievo alle notizie positive per una comunità, se non altro per tentare di pareggiare quelle negative, che sicuramente ci sono e non hanno problemi di visibilità e di diffusione.
La buona notizia è che circa una settimana fa la Regione Calabria ha pubblicato la graduatoria dell’avviso pubblico “Misure di sostegno per Biblioteche e Archivi storici pubblici”, al quale il nostro comune ha aderito per la Macro Area 1 – Tipologia A (Biblioteche di Ente pubblico locale e statale) con il progetto “B.A.N.G.! – Biblioteca Aspromonte Nuove Generazioni”, che ha ottenuto il contributo massimo concedibile: 60.000 euro. Tra i 61 (su 157) progetti finanziati dalla Regione, quello presentato dall’amministrazione di Sant’Eufemia, con 89 punti, si è infatti posizionato al ventiduesimo posto, a pari merito con altri cinque comuni.
Il progetto del nostro comune, che si concluderà ad ottobre, presenta aspetti interessanti: la previsione di attività (di intrattenimento, itineranti) volte ad incrementare l’attrattività della biblioteca, ma anche la valorizzazione delle tradizioni e della storia locali e il miglioramento degli standard di qualità dei servizi bibliotecari in termini di accessibilità, formazione del personale, servizi personalizzati e raccolta di materiali specifici per soggetti fragili (audiolibri, libri in Braille, DVD, riviste in formato digitale). Sono previste attività di catalogazione e di digitalizzazione delle risorse documentarie disponibili, la sistemazione di spazi specifici e attrezzati per lo svolgimento di varie attività; l’istituzione del fondo per il prestito digitale; l’allestimento della sezione di materiali in lingua straniera e quella di testi per persone con deficit sensoriali; la creazione e lo sviluppo della rete di comunità narrative; attività di intrattenimento e programmi di lettura; stage laboratoriali di teatro sociale; incontri-dibattito, programmi di alfabetizzazione e corsi di scrittura curati dalle associazioni partner.
Il settore della cultura è storicamente il parente povero, bistrattato dalle amministrazioni di ogni livello quando si decide la ripartizione dei fondi pubblici. Pertanto dovrebbe costituire ragione di soddisfazione, meritevole di divulgazione, la notizia che riguarda l’assegnazione di un finanziamento specifico.

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In ricordo del professore Elio D’Agostino

«Tìtyre, tù patulaè/ recubàns sub tègmine fàgi». Non so se ancora nelle aule del liceo si usa studiare la metrica latina, ma se sento pronunciare il nome di Elio D’Agostino il primo pensiero corre al celeberrimo attacco della prima egloga delle “Bucoliche”, all’armonia e alla musicalità dell’esametro prediletto da Virgilio nel dialogo tra Titiro, sdraiato all’ombra dell’ampio faggio, e il povero Melibeo, in procinto di partire per l’esilio dopo essere stato privato dei suoi beni. Ricordi vecchi di trent’anni, nei quali intravedo i contorni sfocati di ragazzi armati di matita che tentano di porre gli accenti sui versi latini in maniera corretta. Mentre il professore, a volte ascoltando con gli occhi chiusi, come se si trovasse nella campagna mantovana che fa da cornice alla conversazione tra i due pastori, interviene per correggere eventuali errori.
Il professore D’Agostino ci ha insegnato che il latino non è una lingua morta: essa parla al presente, ci mette in relazione con le nostre radici perché racconta una storia della quale tutti noi siamo figli e che è sempre attuale. Ancora oggi, quanta gente come il Melibeo di Virgilio perde tutto ciò che ha ed è costretta a scappare dalla propria terra, a causa di una guerra?
In un tempo in cui tutto viene bruciato nello spazio di un secondo, nell’eterno presente che caratterizza l’attuale società, dove ogni pensiero e ogni avvenimento vengono messi in discussione con esiti drammatici sotto il profilo culturale e sociale, studiare il latino rappresenta un argine al disorientamento: non si può comprendere il presente senza conoscere il passato, né – tantomeno – si può guardare al futuro con fiducia.
La più grande lezione del professore D’Agostino va rintracciata proprio nella capacità di fare “parlare” al presente gli autori che ci presentava, fossero i classici latini o gli scrittori del libro di storia della letteratura italiana, che ci affascinava per la copertina con l’opera “Il bibliotecario” del pittore Giuseppe Arcimboldo, l’inventore delle cosiddette “teste composte”, ritratti allegorici realizzati attraverso la composizione di oggetti, animali, fiori e frutta. Libro che a lui serviva come pezza d’appoggio, poiché le sue spiegazioni pescavano a piene mani da una formazione culturale personale vastissima.
Con Dante, questo aspetto emergeva in maniera luminosa. Le lezioni sulle terzine della Divina Commedia ci tenevano incollati alle sue parole, che planavano: erano esse stesse poesia. Ci ha fatto scoprire il lato nascosto o comunque meno conosciuto delle interpretazioni dei versi danteschi. Era quasi un gioco, per noi, andare a verificare se la sua spiegazione coincideva con le note di Natalino Sapegno. Anche se non ce n’era bisogno, perché lui stesso ci avvisava che per ogni terzina le interpretazioni potevano essere molteplici. Ce le proponeva tutte collegando il vicino con il lontano, l’alto con il basso, il passato con il presente. Nel suo viaggio ultraterreno, Dante è stato accompagnato da Virgilio; noi, nella scoperta dell’opera del Sommo Poeta, dal professore D’Agostino. Per mano, tra la folla di anime che popolano le tre cantiche e che allegoricamente rappresentano vizi, virtù e stati d’animo universali: custodi di insegnamenti validi in ogni tempo, che ci ricordano – riprendendo il monito di Ulisse – che siamo stati creati “per seguir virtute e canoscenza”.
Una volta arrivato a Sant’Eufemia, D’Agostino non è più andato via. Ha messo radici in una scuola nella quale mancava tutto, tranne che la passione di docenti (altri due grandi insegnanti della mia generazione sono stati Rosario Monterosso e Adoneo Strano, anch’essi rimasti al “Fermi” per lunghi anni e fino al pensionamento) animati da spirito missionario in un liceo scientifico che non aveva laboratori, palestra e neanche i riscaldamenti, soltanto una stufa elettrica in ogni classe. Altri tempi, ovvio. Inutile precisare che ogni considerazione va contestualizzata e che la scuola di oggi non è la scuola di ieri, senza per questo volere esprimere un giudizio di valore: si tratta di una realtà in continua evoluzione come la società nel suo complesso, come noi stessi.
Un aspetto è rimasto invariato rispetto a quegli anni: la natura di scuola di frontiera del liceo di Sant’Eufemia, la sua funzione di presidio di cultura e di trincea di legalità autentica e sostanziale, non di parata. Estendendo a tutti i gradi dell’istruzione le parole di Gesualdo Bufalino, è la scuola, con il suo esercito di maestri, la risorsa più efficace nella lotta alla criminalità. Elio D’Agostino ha difeso quel fortino fino all’ultimo giorno di servizio, svolto con rigore ma anche con grande comprensione. Riuniti nel suo liceo, noi alunni di ieri non possiamo che ricordare con affetto e con gratitudine il docente, l’educatore e il padre di famiglia che ha accompagnato amorevolmente il percorso di crescita dei suoi allievi.

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Un convegno e una targa in onore del professore Elio D’Agostino

Sabato mattina, presso il liceo scientifico di Sant’Eufemia, si svolgerà un’iniziativa di assoluto rilievo, organizzata dal liceo e dal Comune e caratterizzata da due momenti significativi: il convegno di studi “La centralità del periferico. L’attualità dei classici”, con gli interventi degli autorevoli relatori presentati nella locandina, e lo scoprimento di una targa commemorativa in onore del professore Elio D’Agostino, che del nostro liceo è stato, a lungo, colonna portante.
Sarà importante esserci, per testimoniare la riconoscenza degli eufemiesi nei confronti di una personalità che tanto ha dato per la crescita culturale e sociale della nostra comunità.

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Una nuova primavera

Ci siamo lasciati alle spalle tre anni di clausura e di scoramento, complici il Covid e le note vicende che hanno fatto piombare il paese in una sorta di abulia mai conosciuta in passato. Sant’Eufemia ha sempre avuto un tessuto sociale caratterizzato dalla particolare vitalità delle sue associazioni culturali, sportive, di volontariato e di promozione del territorio, dal dinamismo delle scuole e della parrocchia. Da questo punto di vista, il triennio 2020-2022 è stato sconfortante, ancorché comprensibile nel contesto di sbandamento generale causato anche dalla difficoltà di instaurare sinergie istituzionali. Avere privato per oltre due anni il paese di un’amministrazione comunale è stata la carognata più grave subita dalla nostra comunità, non mi stancherò mai di ribadirlo ogni volta che ne avrò occasione.
Alcuni hanno provato a reagire e a loro va riconosciuto il merito di avere tenuto accesa una fiammella, alimentata da iniziative non irrilevanti: la parrocchia, l’Agape, il “Team Bike Sant’Eufemia 1000 km”, mastro Mimmo Fedele con l’Associazione regionale sarti e stilisti calabresi, le scuole, i due cori parrocchiali “Cosma Passalacqua” e “cAntonella gioia”.
Questo per il passato. Il presente, per fortuna, ci parla d’altro. Da diversi mesi a Sant’Eufemia soffia un vento di rinascita che ispira fiducia. Piccole tracce, però incoraggianti, che vanno seguite con attenzione. Su tutte, la costituzione dell’associazione musicale “Thàleia”, composta da ragazzi giovanissimi ma già promotori di numerose iniziative (incontro sul ruolo della donna nella storia musicale, concerto per l’anniversario dell’Unità d’Italia, esibizioni varie), i quali per il solo mese di aprile hanno previsto tre incontri letterari e un concerto in piazza, per la Festa della Liberazione.
Ma anche i protagonisti storici delle manifestazioni eufemiesi sono in fermento. L’associazione di volontariato cristiano “Agape”, che pure in questi anni è riuscita a mantenere la maggior parte delle sue tradizionali iniziative, dopo lo stop dell’anno scorso organizzerà nuovamente la colonia estiva per i disabili. Il “Terzo millennio”, da oltre due decenni protagonista assoluto dell’associazionismo eufemiese, tornerà con la “Primavera di libri” e ha in cantiere ambiziosi progetti nel campo della recitazione e del teatro.
Indizi importanti, che segnalano una ricucitura del tessuto cittadino sfibrato dagli eventi dell’ultimo triennio e che occorre convogliare nella direzione di un’auspicabile ripresa culturale e sociale. I riti religiosi della Settimana Santa hanno registrato un’adesione popolare straordinaria, come non accadeva da tempo e sulla quale è necessario riflettere. Una nuova primavera può infatti sbocciare soltanto se si parte da questo diffuso desiderio di partecipazione, che trae linfa dal sentimento identitario della condivisione di un destino comune.

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Una volta qui c’era il Bar Mario

Da diversi giorni mi martellano la testa i versi di una canzone di Ligabue, Anime in plexiglass: «Una volta qui c’era il Bar Mario/ l’han tirato giù tanti anni fa/ e i vecchi sono ancora lì/ che dicono che senza non si fa». Invece si fa, si deve fare. Cercando di tenere a bada una tempesta emotiva comprensibile, se penso a quante vite vi sono passate dentro, dal lontano 1982. A partire dalle nostre, quelle della mia famiglia. La mia, un bambino di neanche dieci anni che saliva sulla cassa della Peroni per preparare il caffè, perché altrimenti non riusciva ad agganciare il braccetto portafiltro alla macchina. Quella dei miei fratelli, con i quali si faceva a gara per chi doveva servire ai tavoli perché, in fondo, in quegli anni per noi il bar era un gioco. Il sacrificio di mia mamma e di mio papà, alla cui intuizione si deve la nascita del circolo ricreativo, seguita alla trasformazione dei locali del vecchio cinema (del quale fu l’ultimo gestore al rientro dagli undici anni vissuti in Australia) in un moderno punto di aggregazione per i giovani del paese.
Il Bar Mario è stato la nostra vita. Non è stato facile, si è dovuto stipare il cuore in un cassetto e tapparsi le orecchie. Ma credo sia giusto così, senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
Preferisco pensare a tutto ciò che il circolo ricreativo gestito dalla mia famiglia ha significato, al tanto che abbiamo dato e al tanto che abbiamo ricevuto. Il mio pensiero va ai tanti amici che purtroppo non ci sono più, alle lezioni di vita che ho appreso da tutti coloro che lo hanno frequentato in oltre quarant’anni di attività. Là dentro ho imparato cosa è giusto fare e cosa è giusto non fare. Il contatto quotidiano con la gente, i problemi di giovani e meno giovani, l’instaurazione di rapporti di sincera amicizia sono stati per me una palestra di vita e un tesoro di umanità che conserverò gelosamente per sempre. Dal Bar Mario sono transitate generazioni di ragazzi diventati adulti, molti costretti ad emigrare, ma che ad ogni estate hanno continuato a passare dal circolo per un saluto, per ricordare vecchi aneddoti e per tenere così vivo il ricordo dei giorni felici. Anni d’oro, con oltre 200 soci che affollavano il locale dalla mattina alla sera, distribuiti nei diversi ambienti: la sala biliardi con tre tavoli (prima Mari, poi Hartes, infine MBM), per occupare i quali occorreva la prenotazione; il palcoscenico del teatro chiuso da un tendone, con cinque tavoli riservati al gioco delle carte (scala 40, ramino, tressette, scopa, briscola); la sala giochi con il calciobalilla, il flipper e oltre dieci videogiochi cabinati, da SuperMario Bros a Pac-Man, da Street Fighter a Space Invaders, il mio preferito. Gli anni dei tornei di biliardo, di calcio, delle gare di ciclismo, della sagra delle ciliegie.
Ringraziamo chi in questi giorni ha espresso dispiacere per la chiusura del circolo. Ringraziamo coloro che ci sono stati vicino in questi anni, molti dei quali nel tempo sono diventati amici di famiglia: i fornitori di bevande Raffaele Fazzari e Giuseppe Carbone, Tonino Rizzitano (Gelati Algida), Carmelo De Leo (Caffè Moca), Arturo Nastasi (AICS Reggio Calabria).
Quattro decenni vissuti con umiltà possono ora lasciare il campo all’orgoglio per essere stati un punto di riferimento importante nella comunità eufemiese. Alla mia famiglia mancherà il Bar Mario, ma in questo momento è una piccola consolazione sapere che non mancherà soltanto a noi. Abbiamo voluto bene, siamo stati voluti bene. Questo conta, questo ci fa essere ciò che siamo. Grazie a tutti.

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Il martirio del patriota eufemiese Carlo Muscari

Altri dodici giorni e avrebbe compiuto trent’anni. Chissà se Carlo Muscari pensò a quell’imminente anniversario, mentre infilava la testa dentro al cappio in piazza Mercato, a Napoli, il 6 marzo del 1800. Tra gli ultimi patrioti della Repubblica Napoletana ad essere giustiziato, Muscari era nato a Sant’Eufemia il 18 marzo 1770 da Francesco e Lavinia Pugliatti. Il padre apparteneva ad una ricca ed aristocratica famiglia di proprietari terrieri originaria di Melicuccà, la madre era una nobildonna reggina. Compiuti gli studi ginnasiali a Roma sotto la guida dello zio Giuseppe Maria Muscari, intimo di Pio VI e di Sant’Alfonso de’ Liguori, si laureò in legge a Napoli, dove viveva il fratello maggiore Giuseppe, avvocato, che curò anche la formazione di un altro fratello, Gregorio. Nella capitale borbonica frequentò gli ambienti massonici e nel 1794 fu coinvolto in una congiura giacobina che gli procurò l’arresto e la reclusione nel carcere della Vicaria, con l’accusa di “asportazione d’armi proibite, bestemmie, miscredenze, violenze ed altri eccessi”, oltre che per il possesso di “alcuni libri sediziosi francesi”. Messo in libertà dietro il pagamento di una cauzione di 1.000 ducati, subì un altro deferimento tra il 1795 e il 1797.
Con l’arrivo dei francesi a Napoli e la fuga del re Ferdinando IV, Carlo Muscari fu tra i protagonisti degli eventi che portarono alla proclamazione della Repubblica Napoletana, a gennaio del 1799. Inizialmente ebbe il comando della II compagnia della I legione, con il grado di capitano; successivamente, passò prima alla II legione come capo battaglione e infine fu comandante della Legione “Bruzia”, che contava 500 fanti e 200 cavalieri.
Il 20 gennaio 1799 partecipò alla presa del castello di Sant’Elmo e alle operazioni che sancirono la vittoria degli insorti filofrancesi, mentre a marzo si distinse nello scontro contro i filoborbonici di Torre Annunziata. Membro della “Commissione pel piano delle Finanze”, insieme al fratello Gregorio fu inoltre componente della Commissione “degl’informi” (23 marzo), che si occupava dell’epurazione dell’apparato burocratico borbonico.
Nel frattempo, anche il quarto fratello Muscari, Mercurio, era scappato da Sant’Eufemia in seguito al saccheggio ed al tentativo di incendio della propria abitazione da parte delle truppe sanfediste che stavano risalendo la Calabria e raggiunse i fratelli a Napoli. La guerra civile stava però cambiando segno. Dopo la capitolazione dei giacobini nella difesa del forte di Vigliena (13 giugno 1799), le truppe del cardinale Ruffo guadagnarono il controllo della città. Carlo, Gregorio e Giuseppe Muscari si asserragliarono nei Castelli. Mercurio, che inizialmente aveva trovato rifugio in un convento, da lì fu costretto a scappare travestito da frate, ma fu riconosciuto e arrestato.
Il trattato di capitolazione sottoscritto il 19 giugno concedeva agli insorti la facoltà di trasferirsi in Francia. Ma cinque giorni dopo sbarcò a Napoli l’ammiraglio Nelson, il quale come primo atto ordinò la sospensione del trattato. Cosicché dal vascello inglese “Audace”, dove aveva ottenuto di trasferirsi insieme ad altri patrioti calabresi che avevano scelto l’esilio e che era pronto a salpare verso la Francia, Carlo Muscari fu trasbordato sulla corvetta borbonica “Stabia”, riportato a terra e “fatto transitare assieme a tanti altri per le vie di Napoli con un collare al collo” prima di essere imprigionato nei Castelli del Carmine e Castelnuovo, in attesa del processo.
Tra le lettere della fitta corrispondenza intercorsa tra Ferdinando IV di Borbone e il cardinale Ruffo, ad agosto, una fa riferimento al condannato eufemiese: «Il Re ha risoluto, e vuole che la Suprema Giunta di Stato proceda in giustizia, e giudichi con tutto il rigore delle leggi i seguenti rei di Stato: Carlo Muscari, Michele Filangieri, Pietro Doria».
Per lo storico Vincenzo Cuoco la condanna a morte di Muscari, emessa il 27 gennaio 1800, è paradigmatica del clima giustizialista instauratosi con il ritorno dei Borboni: «Le sentenze erano fatte prima del giudizio. Chi era destinato alla morte doveva morire […]. Dal processo di Muscari nulla si rilevava che potesse farlo condannare; ma troppo zelo avea dimostrato Muscari per la Repubblica, e si voleva morto. La Giunta, dicesi, ebbe ordine di sospender la sentenza assolutoria e di non decidere la causa finché non si fosse trovata una causa di morte. A capo di due mesi è facile indovinare che questa causa si trovò».
Ferdinando IV di Borbone, con la “reale determinazione” del 14 febbraio riconfermò la sentenza di morte. Eseguita la sentenza, la salma fu poi sepolta nella chiesa di Santa Caterina ai Funari.
Nel centenario della morte il presidente del consiglio provinciale di Reggio Calabria, l’eufemiese Michele Fimmanò, tenne il discorso commemorativo che si concluse con la collocazione, all’interno del municipio di Sant’Eufemia, di una lapide in marmo con sopra scolpite le parole dettate da Vittorio Visalli: «Tradita la fede dei patti/ da bieca voluttà di tiranni/ CARLO MUSCARI/ milite della Repubblica Partenopea/ moriva strangolato a Napoli/ il 6 marzo 1800/ I cittadini eufemiesi dopo 100 anni/ a ricordo ed esempio».
Ridotta in macerie nel terremoto del 1908, una riproduzione dell’iscrizione fu posta alla fine degli anni Venti nel nuovo palazzo municipale, ma anch’essa andò distrutta con la demolizione dell’edificio, nella metà degli anni Ottanta.

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La bandiera che non c’è

Circa un mese fa scrissi un post sugli articoli dedicati dal Corriere della Sera a Sant’Eufemia d’Aspromonte in occasione del terremoto del 28 dicembre 1908 e, sulla base delle informazioni storiche inedite così recuperate, un altro sull’attività di soccorso della nobildonna Adele Alfieri di Sostegno. Molto interessante è quello datato 13 marzo 1909, che fa riferimento al consiglio comunale del 9 marzo, nel quale l’amministrazione di Sant’Eufemia, allora retta da un commissario, deliberò di adottare quale bandiera del comune quella del municipio di Milano (croce rossa su sfondo bianco), consegnata dai volontari milanesi alla comunità eufemiese alla fine dei due mesi trascorsi in terra aspromontana:
Il Comune di S. Eufemia d’Aspromonte, quale omaggio e manifestazione di gratitudine a Milano, ha deliberato di adottare per la sua bandiera i colori della nostra città. Ottenendone l’adesione dal sindaco sen. Ponti, il Commissario prefettizio Cappelli, ne dava notizia ai cittadini di S. Eufemia, con un nobile manifesto. «Quando voi vedrete – dice questo – sventolare la candida bandiera con la Croce rossa, ricordatevi che quei colori sfolgoravano al sole della vittoria sui campi di Legnano, là dove il valore italiano, e specialmente dei milanesi, seppe piegare e sconfiggere l’oltracotanza dello straniero. Da quel dì risorse a vita nuova la bella e cara città lombarda; da quel dì crebbe nella prosperità e nella potenza la nobilissima regina della valle padana, che nell’ora della sventura vi ha soccorso con regale generosità, ed ora vi conforta permettendovi di adottare nella bandiera i suoi colori». La manifestazione di S. Eufemia d’Aspromonte, alla cui resurrezione lavora il Comitato milanese di soccorso, non poteva essere più nobile e commovente.

La notizia non è nuova, io stesso l’ho riportata in diversi miei libri. Tuttavia, nel tempo la bandiera è scomparsa da un punto di vista “istituzionale”. Lo Statuto comunale attualmente in vigore, approvato nel 2000 e successivamente modificato un paio di volte, all’articolo 6 menziona soltanto lo stemma e il gonfalone, che sono “quelli descritti dal Decreto del Presidente della Repubblica del 16 gennaio 1995”. E cioè:
STEMMA: di rosso, alla Santa Eufemia, in maestà, leggermente volta a destra, con il viso, le mani, i piedi di carnagione, aureolata d’oro, capelluta dello stesso, vestita con la lunga tunica d’argento, le spalle coperte dal manto d’azzurro, ricadente sul fianco sinistro, la Santa impugnante con la mano destra la palma del martirio, di verde, posta in palo. Ornamenti esteriori da Comune.
GONFALONE: drappo partito di bianco e di azzurro riccamente ornato di ricami d’argento e caricato dallo stemma sopra descritto con la iscrizione centrata in argento, recante la denominazione del Comune. Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati. L’asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette argentate poste a spirale, Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del Comune e sul gambo inciso il nome. Cravatta con nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d’argento
.

Non conosco il motivo per cui, a differenza di tanti altri, lo Statuto comunale di Sant’Eufemia non conferisce nobiltà istituzionale alla propria bandiera. Ritengo però che spesso la forma è sostanza e che, pertanto, gli atti ufficiali possono contribuire al rafforzamento della memoria storica di una comunità. Si può rimediare e mi auguro che il sindaco Pietro Violi, al quale va il mio ringraziamento per avermi messo in contatto con Alberto Minissi (colui che mi ha fatto pervenire gli articoli del Corriere della Sera), si faccia promotore dell’iniziativa istituzionale necessaria.

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Il comune di Sant’Eufemia non era infiltrato

Foto tratta dal sito Reggio Today

Al netto della gioia per chi è stato restituito ai propri affetti e con la certezza che altre posizioni verranno chiarite nei successivi gradi di giudizio, un dato va sottolineato, urlato direi: l’amministrazione comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte non era in mano a nessuna presunta cosca.
Le figure “infiltrate” nel comune, secondo la tesi accusatoria erano cinque:
Domenico Creazzo, sindaco – assolto perché il fatto non sussiste;
Cosimo Idà, vicesindaco – assolto perché il fatto non sussiste (scambio di persona);
Angelo Alati, presidente del consiglio comunale – assolto perché il fatto non sussiste (scambio di persona);
Domenico Forgione, consigliere comunale di minoranza – archiviato al termine dell’udienza preliminare (scambio di persona);
Domenico Luppino, responsabile dell’ufficio tecnico – assolto perché il fatto non sussiste.
Il Tribunale di Palmi ha restituito l’onore al comune inteso come istituzione. Di questo va dato atto e per questo, come comunità, dobbiamo essere contenti e fieri. Il vestito che ci era stato cucito addosso non era della nostra misura. A farne le spese per quasi tre anni, ovviamente, è stata la comunità eufemiese. Che per questo non verrà mai risarcita.
Io mi auguro che questo caso eclatante dell’ingiustizia delle misure di prevenzione antimafia possa essere di aiuto per la revisione di una legge, quella sullo scioglimento dei comuni, che è semplicemente barbara e ingiusta. Fino ad ora non ne potevamo nemmeno accennare, perché si sa come funziona in questi casi: non se ne deve parlare, bisogna aspettare che la giustizia faccia il suo corso… insomma, si va avanti per frasi fatte, anche quando, soprattutto in piccoli centri come il nostro, chi ci vive conosce la verità dei fatti al di là di ciò che si legge nelle ordinanze di custodia cautelare, si scrive sui giornali, si pontifica nelle televisioni.
Io stesso, nelle interviste rilasciate dopo la mia archiviazione, un anno e mezzo fa avevo dichiarato che il comune era stato sciolto sulla base di tre scambi di persona: quella parte di intervista non è mai andata in onda. Tuttavia comprendo la cautela dei giornalisti.
Occorre trovare un modo per fare sentire il grido di dolore di un Sud che ha sì i suoi problemi, ma subisce una criminalizzazione quotidiana e indistinta. Serve una classe politica con le palle, che faccia il bene del proprio territorio, che sappia amarlo e difenderlo, senza retorica e concretamente, pronta a pagare per questo anche un prezzo molto alto.

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