La colonia estiva dell’Agape

A me piace pensare che non si tratti di una coincidenza. Che nelle nostre vite esista un filo che si srotola, mentre il gomitolo corre nella direzione opposta. Anche se poi, in fondo, non ci credo. Però – ecco – vorrei non fosse un caso che il trecentesimo post di questo blog si occupi della colonia estiva organizzata dall’Agape per i disabili.
Perché a quest’associazione – che ha ventidue anni e della quale faccio parte da tredici – devo molto: per l’opportunità che mi ha dato di impegnarmi nel sociale, per i rapporti di amicizia e condivisione che lì dentro sono riuscito ad instaurare, per tante piccole gioie che aiutano a dare un senso alla vita di molti di noi.
Nel corso di tutto questo tempo, come è normale che sia, tanti si sono avvicinati all’Agape e altrettanti se ne sono allontanati: da ringraziare i primi come i secondi, perché una fiaccola è utile pure se brilla per un’ora soltanto, mentre può essere vana se rischiara il vuoto all’infinito.
Certo, i limiti e le difficoltà non mancano, economici e di organico. E con questi bisogna fare i conti quando si prepara un’iniziativa impegnativa come la colonia. Sono ormai lontani gli anni in cui si protraeva per l’intero mese di luglio, grazie alla collaborazione con l’Orfanotrofio Antoniano. Cento bambini più i disabili, con trenta-quaranta volontari che si davano il cambio, tutte le mattine e tutti i pomeriggi.
A causa del progressivo calo dei volontari per motivi di studio o di lavoro, dal 2006 l’associazione ha deciso di dedicarsi esclusivamente ai disabili. A volte affittando alcuni alloggi per una settimana (con conseguente pernottamento), altre facendo la spola tra Sant’Eufemia e Bagnara o Favazzina.

L’estate scorsa, per la prima volta dopo una quindicina d’anni, la colonia non aveva però avuto luogo. Parecchi di noi avevano vissuto l’evento come una sconfitta personale e come un torto nei confronti di questi nostri cari e sfortunati amici che attendono i volontari dell’Agape per andare al mare. Inutile girarci attorno: no Agape, no spiaggia. Questa è la cruda verità.

Qualche mese fa, dopo una rapida e per la verità non molto incoraggiante conta, si è deciso di riprovare comunque. Una settimana, dal 26 agosto al primo settembre. Anche a costo di non fare turni e senza per questo sentirsi particolarmente degni di lode. D’altronde, queste righe vogliono soltanto rappresentare un invito alla partecipazione, affinché la colonia estiva non rischi nuovamente di saltare in futuro, se continuerà a non esserci un ricambio generazionale.

Domenica si chiude, con un pranzo finale sull’Aspromonte e con la consapevolezza di avere fatto quel che bisognava fare. Niente di più.

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A.C. Eufemiese – 1980

Una formazione dell’Eufemiese scattata intorno al 1980, quando la squadra militava in Seconda categoria ed era composta quasi esclusivamente da giocatori di Sant’Eufemia.
Presidente, il compianto Peppe Surace, il quale per molti anni ha conservato la fotografia nel salone da barbiere di corso Vittorio Veneto che gestiva insieme a Nino Pillari, anch’egli purtroppo prematuramente scomparso.
“U saluni da chiazza” è stato per decenni un angolo caratteristico di Sant’Eufemia, teatro di aneddoti spesso incredibili con protagonisti personaggi della più svariata natura.
Un “luogo” che oggi ci manca, come tante altre testimonianze di una Sant’Eufemia più genuina e ricca di umanità.
Da sinistra, in piedi: Mimmo Gentiluomo, Peppe Surace (presidente), Nicola Tripodi, Salvatore Gerocarne, Antonio Pangallo, Massimo Garzo, Antonio Panuccio, non identificato, Pino Pellegrino, Vincenzo Villari (custode del campo), Raffaele Tripodi (allenatore), Franco Sgrò (dirigente), Vincenzo Tripodi (segretario).
Accovacciati: Mimì Tripodi, Enzo Luppino, Mimmo Cammarere, Mimmo Mileto, Alfonso Pellegrino, Mimmo Nolgo, Nicola Creazzo.

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A.C. Eufemiese – 1988

“Gli eroi son tutti giovani e belli”… e con un pallone tra i piedi sanno fare miracoli. Per un ragazzino le cose stavano così, almeno negli anni Ottanta.

Quando ancora la pay per view non ci aveva fatto venire la nausea per il calcio giocato, osservavamo i nostri eroi allenarsi, loro in una metà del campo, noi “esordienti” o “giovanissimi” nell’altra metà, cercando di carpirne i segreti. Poi, la domenica, tutti sugli spalti ad incitare i nostri beniamini: ecchissenefrega se era Seconda o Prima categoria (per diverse stagioni addirittura Promozione), in campi polverosi di provincia, mica il Bernabeu.
Un giorno avremmo coronato il nostro sogno. Sogno di provincia, difendere i colori della squadra del nostro paese, giocare con alcuni di quelli che prima avevamo seguito con occhi incantati.

Nella fotografia, una formazione dell’Eufemiese che dovrebbe risalire al 1988, campionato di Prima categoria. Presidente il compianto Peppe Visconte, subentrato a Rocco Cannizzaro, timoniere della squadra per una stagione, dopo la tragedia che si portò via il presidente Pasquale Morabito e il cassiere Saverio Coletta.

Allenatore (e giocatore): Arturo De Forte. Tra gli altri dirigenti, il vulcanico Peppe Napoli, Pino Gelardi, Vincenzo Papalia e Franco Cuppari. Custode del “Claudio Morisi”, il mitico “professore” Peppe Fava.
Da sinistra, in alto: Marco Roldi, Cosimo Nocera, Carmelo Occhiuto, “Melo” D’Aspromonte, Natale Imbesi, Peppe Carbone, Massimo Garzo.

In basso: Carmine Napoli, “Iaio” Villari, Marcello Sgrò, Peppe Spanto, Arturo De Forte, Nino Naso, Mimmo Nolgo.

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Il cavallo di Chiuminatto – Errata corrige

Nel corso della presentazione del libro fatta qualche giorno fa mi è sorto il dubbio di avere commesso una svista relativamente alla voce “via sergente Crea”.
Sono andato a controllare e in effetti è così. Il tratto di via sergente Crea che oggi ricade all’interno della Pineta comunale è compreso tra via Fimmanò e via De Nava. A pagina 48 del libro ho invece scritto “tra via Fimmanò e via tenente Tropeano” (che è la parallela sopra via De Nava).

Come potete vedere dalla foto, io ho già corretto l’errore.
Se volete, passo casa per casa e provvedo di mio pugno!

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Il Terzo Millennio supera l’esame con Eduardo

La sfida questa volta c’era. Con se stessi, per carità. Più che altro per capire fin dove si può arrivare, pur nei limiti di una passione che non vuole e probabilmente non può diventare altro. Anche se ci piace pensare che un giorno il prodigio possa compiersi. Magari coinvolgendo altri interpreti, ragazzi che immaginiamo affascinati dal buon esempio di chi – facendo i salti mortali per conciliare lavoro, problemi e tempo libero – riesce ogni anno a stupire e ad offrire un prodotto di altissima qualità.

La rappresentazione teatrale messa in scena dall’Associazione “Terzo Millennio” in occasione della festa dell’emigrante fa parte a buon diritto del clou dell’agosto eufemiese. Una manifestazione giunta alla diciassettesima edizione, così come l’escursione naturalistica: altra iniziativa di grande successo dell’associazione presieduta da Francesco Luppino, che quest’anno ha avuto come scenario l’incanto delle cascate del Marmarico, a Bivongi.

Alla soglia della maturità, la compagnia teatrale ha voluto rilanciare. Sì, perché non era per niente facile “nascondere” le assenze dei bravissimi Paolo Occhiuto, Mimmo Ceravolo e Giuseppina Violani. Il rapporto tra attori e pubblico è un’alchimia che si basa sulla fiducia. Lo spettatore sa chi sale sul palco, l’attore sa cosa il pubblico si aspetta. Ecco il perché della sfida, in un momento di intuibile e comprensibile disorientamento.

Da qui la scelta azzardata di alzare l’asticella e misurarsi con i giganti del palcoscenico allestendo “Non ti pago”, commedia in vernacolo liberamente tratta dai tre atti scritti da Eduardo De Filippo nel 1940. La risposta del pubblico è stata più che positiva, considerato che oltre mille persone hanno gremito piazza Municipio (soltanto i posti a sedere, andati a ruba, erano circa 700).

Quel che più ha colpito è stata la perfezione dei tempi di scena, segnale evidente di un lungo e scrupoloso lavoro di preparazione. Un salto di qualità visibile nel ritmo incalzante, mai stanco, senza tempi morti: un soffio di leggerezza durato un’ora e quaranta minuti, dopo la puntuale presentazione di Martina Napoli.
Se rimpianto può esserci, è dettato dalla convinzione che lo sforzo organizzativo (regia, scenografia, costumi e musiche sono a cura dell’associazione) e la bravura di Francesco Luppino, Pina Marafioti, Chiara Albanese, Enzo Fedele, Ciccio Nolgo, Enza Saccà, Maria Iero, Rachele Pellegrino, Eurema Pentimalli, Domenico Rositano e Rossella Forgione meriterebbero di uscire dai confini comunali, come d’altronde è già avvenuto in passato.

Ma qua si torna alla questione iniziale. Cosa si vuole fare. Cosa si può fare.

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Il cavallo di Chiuminatto alla pineta comunale

La presentazione del 18 maggio presso la sala del consiglio comunale si era svolta appositamente di mattina, per privilegiare la partecipazione dei ragazzi del liceo scientifico “Enrico Fermi”.

Già in quella occasione avevamo però preannunciato una replica da tenere nel mese di agosto, per dare la possibilità di essere presente a chi per impegni di lavoro aveva dovuto rinunciare, ma soprattutto per offrire una serata all’insegna della memoria ai tanti eufemiesi emigrati, che in questi giorni sono rientrati per trascorrere in paese le vacanze estive.

L’appuntamento quindi è per le 19.00 di domenica 11 agosto, al fresco della pineta comunale.

Vi aspetto

D.F.

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Lorenzo Genovese: il campione, l’esempio

“Il 5 maggio 1991 è una data per me indimenticabile. Quel giorno feci il mio esordio in una gara agonistica, su un tandem Masciarelli con il cambio a manettini, puntapiedi e cinturini”. Da allora sono trascorsi più di venti anni, ma Lorenzo Genovese è ancora in sella, a macinare chilometri in Italia e all’estero, a portare a casa trofei su trofei, ad essere il vero motore di un tandem spesso vincente, sempre protagonista di imprese fuori dal comune. Una sorta di “locomotiva umana”, se ci è consentito prendere a prestito lo pseudonimo che accompagnò la carriera del mitico Learco Guerra tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta del secolo scorso. “Non riesco a immaginare la mia vita senza il ciclismo. Non riesco ad immaginare che un giorno potrei non essere più capace di pedalare” – mi dice pesando le parole una ad una.
La bicicletta rappresenta molto per Lorenzo, non vedente assoluto dall’età di un anno a causa di una malformazione genetica, ma con alle spalle una famiglia forte e di sani principi che ne ha accompagnato la crescita con amore, consentendogli di frequentare istituti e centri specializzati. Anche oggi che ha 43 anni e lavora come centralinista presso il Tribunale di Palmi, dove è in grado di recarsi e spostarsi praticamente da solo: “il ciclismo per me è sempre stato uno strumento di socializzazione. I risultati vengono dopo, molto dopo. Quello che conta è la possibilità di coltivare amicizie tramite la condivisione di una passione. La bellezza di questo sport sta tutta qua. Nel tandem, poi, con la guida si crea un rapporto particolare, difficile da spiegare”.

È intuibile che sia così, che un’alchimia speciale governi quattro gambe e due ruote: “se non c’è amicizia, non si può andare in tandem” – assicura Lorenzo, al rientro da una gara a San Pietro in Gu (Padova) conclusa al secondo posto, a mezza ruota dal bis dello strepitoso trionfo ottenuto nel 2012.
Le vittorie di Lorenzo, che dal 1998 gareggia per il Gruppo Sportivo Non Vedenti di Vicenza, ormai non si contano. Più volte campione italiano della categoria “tandem agonistico per non vedenti”, campione italiano amatori su strada ininterrottamente dal 2001 al 2010, è salito sul gradino più alto di podi sparsi in tutta Italia: su strada, su pista, a cronometro, nelle granfondo.

Meno di dieci giorni prima della gara in Veneto, l’impresa realizzata con il taglio del traguardo della “Roma – Parigi. Sulle strade del Tour”, manifestazione organizzata dall’Associazione culturale “Pedalando nella storia – Maurice Garin” di Roma. Un sodalizio presieduto da Andrea Perugini e dedicato al primo vincitore del Tour de France (1903) che ha così voluto onorare la centesima edizione della Grande Boucle (undici edizioni sono saltate tra il 1915-18 e il 1940-46) e ricordare la prima pedalata da Roma a Parigi organizzata dai gruppi “Audax” italiani (ciclisti in grado di percorrere 200 chilometri in bicicletta in autosufficienza entro una sola giornata) proprio per celebrare quell’evento.
Partita dallo stadio dei Marmi il 12 luglio, la carovana delle biciclette – tra le quali spiccavano cinque tandem con atleti non vedenti: la manifestazione è stata patrocinata dall’Unione italiana ciechi e ipovedenti – è giunta al velodromo “Jacques Anquetil” giorno 20, per sfilare il giorno dopo lungo gli Champs Elysées e l’Arc de Triomphe. Un prologo di 73 chilometri e otto tappe (in totale, 1.626 chilometri e un dislivello di circa 16.000 metri) che sono state anche l’occasione per rievocare grandi campioni del passato, grazie agli incontri programmati con i figli di Bartali e Coppi, con il pronipote di Garin, con Franco Bitossi.

Alla guida del tandem, nel prologo da Roma a Vetralla (VT) e nella prima tappa (Vetralla – Empoli, 226 chilometri), Angelo “Sarino” Surace, architetto eufemiese trasferitosi a Fiuggi che dal 1999 si alterna (anche sui podi) con Marco Pisano: “Ho iniziato a pedalare con Lorenzo circa venti anni fa, quando per scherzo mi propose di fare un giro in tandem. Non avevo mai provato un tandem e poche volte la bici. La mia preoccupazione era di non farlo cadere (cosa che è successa due-tre volte), ma la sua forza mi ha sempre dato coraggio e convinto a superare ogni remora”.

Lorenzo e Sarino sono anzitutto grandi amici, a lungo vicini di casa quando Surace risiedeva a Sant’Eufemia. Uscire in bici con Lorenzo è qualcosa di emotivamente intenso, unico: “Lorenzo è una persona speciale, una di quelle persone che ti arricchiscono l’anima e ti aprono il cuore. Per me è stato un privilegio averlo conosciuto e poterlo frequentare. Da molti anni condividiamo le stesse pedalate ed è un’esperienza che mi rende più forte. Mi fa stare bene con me stesso e mi dà la carica per affrontare le difficoltà che sorgono quotidianamente, sui pedali come nella vita. All’inizio pensavo che fosse lui ad avere bisogno del mio aiuto. Ma non è per niente così. Lorenzo è un compagno unico per forza e determinazione. Dopo venti anni riesce ancora a sorprendermi, ogni volta!”.

Da più di un anno Lorenzo Genovese (presidente onorario) e Sarino Surace (vicepresidente, ideatore del logo e della divisa, curatore dell’omonimo profilo su Facebook) portano in giro per l’Italia i colori degli Eufemiesi Bikers, team nato su impulso di Surace, il cui direttivo è composto dal presidente Mimmo Fedele, dal segretario Enzo Fedele e dal tesoriere Rocco Luppino. In breve tempo le adesioni sono cresciute e oggi gli EB costituiscono un’importante realtà aggregativa che consente di mantenere un filo ideale con il paese d’origine agli emigrati eufemiesi amanti delle due ruote.

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Nessuna sorpresa, sullo svincolo autostradale era tutto già scritto

Sono in corso e verranno ultimati entro l’anno tutti i lavori di rinaturalizzazione con i quali verrà ripristinata la morfologia del territorio ed in alcuni casi, in particolare tra i vecchi svincoli di S.Elia-Melicuccà e Bagnara, verranno recuperate le strutture preesistenti della vecchia autostrada che diventerà la bretella di approccio alla nuova autostrada per l’area dell’Aspromonte.

(dal comunicato ufficiale diramato oggi dall’Anas, dopo il completamento dei lavori del V macrolotto dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria, tra Gioia Tauro e Scilla: qui il testo completo)

La vecchia autostrada diventerà “bretella”.
Amen.

Se qualcuno a Sant’Eufemia ancora non l’avesse capito, è andata davvero a finire che bisogna battersi il petto perché almeno la bretella è stata mantenuta, altro che svincolo (ne avevamo già parlato qui).

*Foto di Antonio Lupoi

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Il citofono tascabile di Leo Sculli

Il postino suona sempre due volte. Ma anche i venditori porta a porta, i testimoni di Geova, l’ufficiale giudiziario, il lettore del contatore del metano e il vicino di casa – che ha sempre un buon motivo per rompere – in genere si prendono una seconda chance, per essere certi che in casa non ci sia nessuno. Come risolvere il problema quando l’inquilino è fuori, oppure nei casi in cui chi sta in casa non è nelle condizioni di rispondere? A questo ha pensato il team che ha realizzato Welco, “il citofono che sta in tasca”, secondo la calzante definizione de “Il Tirreno”.
Una squadra composta da sette ragazzi, diventati sei in seguito all’abbandono di Alessio Pace: dottori, laureati triennali e studenti in Economia o in Ingegneria tra i venti e i trent’anni, che hanno sviluppato un’idea partorita dalla testa di Francesco Medda.

Tra questi, lo studente in Ingegneria gestionale Leo Sculli, partito da Sant’Eufemia qualche anno fa per inseguire un sogno e riuscire a dare sfogo alla propria creatività in una realtà meno asfittica di quella calabrese. Destinazione l’Università di Pisa, dove sta per completare il biennio di specializzazione.
La partecipazione di Leo alla Startup di Torino (marzo 2013), nel corso della quale Medda presentò la sua idea, fa scoppiare la scintilla e crea l’alchimia necessaria per fare sì che giovani provenienti da differenti esperienze e realtà si aggreghino attorno a un’ipotesi di lavoro fortemente innovativa.

Da allora, in silenzio, il gruppo – del quale fanno parte anche Marco Arrobbio, Gabriel Occhino, Guido Parissenti e Carlo Buccisano – si dà un gran da fare per sviluppare un progetto da presentare in diversi concorsi nazionali: Fiera delle Startup, K-Idea Giovane di Kilometro Rosso, Working Capital di Telecom Italia.

L’ultimo passo è quello decisivo. Warking Capital istituisce trenta “grant d’impresa” (25.000 euro ciascuno), che consistono in finanziamenti destinati a team di startupper in cerca di capitali per il completamento del MVP (Minimum Viable Project) o per la realizzazione di indagini di mercato sulle potenzialità commerciali di un’invenzione “in ambito internet, digital life, mobile evolution e green”: quindici destinate alle Startup selezionate per il programma di accelerazione e altrettante per tutte le altre.

Nei giorni scorsi, Welco si è aggiudicato uno dei primi quindici finanziamenti (per i rimanenti il bando scadrà il 30 settembre), riuscendo a superare la concorrenza di ben 1.200 progetti cassati al termine di una severissima selezione.

Ma in cosa consiste la scoperta di Leo e dei suoi amici/colleghi? Ce lo spiega il diretto interessato con parole semplici: “è bastato sostituire la cornetta interna del citofono con un dispositivo Welco che, oltre ad avere le classiche funzionalità di un tablet, consente di aprire il portone dal cellulare”. Cosa comporta? “Considera tutte le comodità che puoi avere rispondendo al citofono direttamente dal tuo cellulare, ovunque tu sia, nel momento in cui citofonano a casa tua. E poi rifletti anche sull’utilità sociale per chi ha difficoltà di deambulazione: disabili, soggetti anziani”.

Sul perché abbia lasciato l’Università di Reggio per quella di Pisa, Leo è altrettanto chiaro: “avevo deciso di cambiare corso di studi e passare da Ingegneria elettronica a Ingegneria gestionale, ma non ti nascondo che la considerazione decisiva è stata quella che Pisa (intesa sia come Università che come città) offre possibilità che Reggio Calabria purtroppo nemmeno si sogna”.
Il prossimo passo sarà la commercializzazione del prodotto – del quale al momento esiste soltanto un prototipo dimostrativo –, che il gruppo di ricerca conta di realizzare entro la primavera del 2014. Poco meno di un anno di tempo per sviluppare la ricerca, migliorare hardware, software e App, depositare i brevetti e, soprattutto, trovare investitori convinti della bontà del progetto.

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La mia signora maestra

Non ho mai capito perché si faccia chiamare Rina. Il suo vero nome è Ermelinda ed è la mia maestra delle scuole elementari. “È”, non “era”: anche trent’anni dopo. Anzi, la mia “signora maestra”, come l’appellavamo noi alunni, al tempo in cui ancora non si usava dare del tu e chiamare per nome l’insegnante.
Il “voi”, allocutivo in uso nelle regioni meridionali al di là del retaggio fascista, marcava le distanze. Giustamente. Non è la nostalgia del “si stava meglio quando si stava peggio”, ma certo il ruolo sociale e l’autorevolezza dei docenti, a tutti i livelli, sono oramai parecchio scaduti. Un/a maestro/a di scuola elementare, in un paesino, contendeva al farmacista e al medico condotto il primato in termini di prestigio, influenza e rispetto tra i cittadini. Oggi, ahinoi, è spesso considerato un/a baby-sitter al servizio di genitori post-moderni che “sanno” tutto, come e meglio degli insegnanti dei propri figli. Si è passati dall’autorizzazione esplicita a non andare tanto per il sottile se il bambino era troppo vivace (“se faci u malu, minati”), al timore di alzare la voce anche quando si ha a che fare con teppistelli in erba.

La mia signora maestra, ad ogni modo, credo non abbia mai dato un ceffone. Una mosca bianca, diversi decenni fa. Aveva una bacchetta di legno (’a virga) che nessuna mano ha assaggiato: soltanto la cattedra ne conosceva il colpo, quando la classe eccedeva. Gliela procuravamo noi, con i mazzolini di fiori di campo per la statua della madonnina alla quale, ogni mattina, indirizzavamo l’Ave Maria.

Ai nostri occhi di bimbi, la signora maestra aveva un solo difetto: non ci portava mai a giocare nel cortile. Le rare uscite dall’aula avevano come destinazione un piccolo terrazzo della scuola. Chissà, forse lo shock per qualche incidente accaduto negli anni precedenti; o cautela per sfuggire al timore che potesse accadere qualcosa di spiacevole. Fatto sta che lo scorrazzare dei bambini dietro al pallone, in alto suscitava un’invidia da allora mai più provata.

La scuola elementare per me è il vocio della ricreazione; il blu dei grembiulini che tutti indossavamo (lo sfoggio dell’abbigliamento firmato era ancora di là da venire); le prelibatezze di “Vicenzina”, prima che l’affidamento esterno del servizio mensa provocasse una mezza rivoluzione; il profumo di primavera che entrava dal rettangolo di finestra che si affacciava sulla pineta comunale; la delicatezza della mano della signora maestra, quando una carezza sfiorava le nostre guance. Allora e oggi.

Come già in passato, le ho regalato il mio ultimo libro: un modo per ringraziare colei che mi ha insegnato a scrivere. Mi ha sorpreso con un inaspettato pensierino, prima di farmi rivivere in un attimo la mia infanzia, con una di quelle carezze che io so.

* Nella foto, la classe III C della Scuola elementare “Don Bosco” (anno scolastico 1981-1982)

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