Il viandante che abbia fiato e gambe per percorrere a piedi la ripida salita di via Roma a Sant’Eufemia d’Aspromonte (nota come “u carvariu: il calvario”, dal monumento che quasi in cima al percorso riproduce le tre croci del Golgota) noterà senz’altro sulla sua sinistra, alla fine del primo tratto, la viuzza che taglia verso Largo Campanella e infine digrada nell’area adiacente al torrente Nucarabella.
Un viandante curioso, che si pone delle domande perché vuole conoscere l’origine e la motivazione storica dei nomi delle strade, resterà però interdetto nel leggere sul cartello toponomastico “via Ruggero VII”. Comincerà a ripassare la storia imparata sui libri di scuola, ma niente. Tutt’al più gli balzerà in mente Ruggero II d’Altavilla, re di Sicilia (“Ruggero il normanno”), passato alla storia per avere riunito sotto la propria corona i possedimenti normanni dell’Italia meridionale e per avere generato Costanza, futura mamma dello “stupor mundi” Federico II di Svevia. Al “settimo” non ci arriverà mai e poi mai, semplicemente perché non è mai esistito un Ruggero con un ordinale dinastico del genere. Settimo, nel caso in questione, è infatti un cognome.
La vicenda è paradigmatica, tipica di un Paese ignorante che non conosce il proprio passato o se ne ricorda ogni tanto, in circostanze solitamente traboccanti retorica, ma verso il quale ha in fondo un atteggiamento di fredda indifferenza.
Non è sempre stato così. Sul foglio di mappa redatto dall’Ufficio tecnico del Comune nel 1880, la via viene infatti segnalata correttamente come “Ruggero Settimo”, che fu il primo presidente del Senato nella storia dell’Italia unita, morto a Malta il 12 maggio 1863 senza essere in realtà riuscito nemmeno a recarsi a Torino per prestare giuramento, a causa delle sue malandate condizioni di salute.
Si trattò, allora, di una sorta di omaggio da parte di Cavour e dell’establishment sabaudo al politico leader della rivolta siciliana del 1848, capo del governo provvisorio che aveva dichiarato decaduto Ferdinando IV di Borbone e offerto la corona del regno di Sicilia al duca di Genova, Alberto Amedeo di Savoia (il quale tuttavia non accettò l’offerta). Ma fu anche una designazione dal profondo significato politico, perché Ruggero (o Ruggiero) Settimo “dei principi di Fitalia”, antico protagonista del movimento liberale che in Sicilia aveva ottenuto la costituzione del 1812 e poi guidato il moto separatista del 1820, rappresentava quei ceti dominanti della Sicilia, un tempo autonomisti e indipendentisti, che ora venivano recuperati alla causa nazionale e unitaria.
Ventitré anni più tardi, sul foglio di mappa del 1903, veniva invece già riportato lo strafalcione in seguito puntualmente reiterato, senza che nessuno lo rilevasse. Tutt’oggi impunito, campeggia sul muro di un’abitazione, superba e avvilente dimostrazione dell’importanza attribuita alla storia in questa società fatta di solo presente.
*Ringrazio per le fotografie Fausto Monterosso
** Il ritratto di Ruggiero Settimo, realizzato da Giuseppe Patania, è custodito presso il Museo del Risorgimento di Palermo