Mariella, la nostra piccola grande artista

Si è svolta stamattina a Palazzo Campanella la premiazione della XIII borsa di studio “Logoteta”, concorso organizzato dall’omonima associazione culturale e riservato agli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di II grado della provincia di Reggio Calabria. Due le sezioni del concorso: sezione letteraria (Premio “Giuseppe Logoteta”) e sezione artistica (Premio “Paolo Mallamaci”). I concorrenti hanno dovuto realizzare un’opera letteraria o artistica inerente il tema del concorso, contenuto nelle tracce affidate alle rispettive scuole di appartenenza. Sono stati premiati i primi tre classificati per ogni sezione, mentre altri riconoscimenti sono stati riservati per gli elaborati ritenuti meritevoli. Tra i premiati della sezione artistica c’è stata anche Mariella Gentiluomo, felicissima insieme alla mamma Grazia Cosoleto e ai suoi splendidi compagni di classe, ai quali era stato assegnato il tema: “musica… armonia dell’universo”.
Mariella è una ragazza davvero speciale, che da tantissimi anni fa parte della famiglia allargata dell’Agape. Tra pochi mesi sarà estate, una stagione che attendiamo con ansia noi volontari per primi, per potere godere dell’affetto che questi ragazzi riescono a donarci nelle nostre giornate al mare insieme.
Ed è stata una piacevole sorpresa vedere che nell’opera realizzata da Mariella c’è anche un po’ di Agape: la fotografia che ha voluto inserire nel suo quadro la ritrae infatti abbracciata dalla cantante Alessandra Amoroso e si riferisce alla nostra partecipazione al Giubileo degli ammalati e delle persone disabili, nel giugno del 2016.
Ancora brava a Mariella e complimenti ai docenti ed ai ragazzi del liceo scientifico “E. Fermi”.

*Un ringraziamento particolare alla mamma di Mariella, che mi ha autorizzato a pubblicare le fotografie della premiazione.

Condividi

A proposito dell’incontro al municipio sulla vicenda dello svincolo autostradale

Avevo assicurato agli organizzatori dell’incontro “SOS Viabilità Aspromonte” un mio intervento, che effettivamente era in scaletta. Ma l’evento, iniziato alle 17.30, ha registrato tanti interventi (alcuni oggettivamente estenuanti) e alle 20.15 sono dovuto andare via senza potere esporre il mio pensiero. Di questo mi scuso con gli organizzatori, con i rappresentanti istituzionali e con i cittadini intervenuti. Il tema dello svincolo è molto sentito dalla nostra popolazione: grande merito va riconosciuto al “Comitato per lo svincolo” che da anni conduce questa battaglia e ad Ambrogio Pancanno che si è fatto promotore di questo incontro con tre parlamentari del Movimento 5 Stelle: i deputati Giuseppe D’Ippolito ed Elisabetta Barbuto, il senatore Giuseppe Fabio Auddino.
Ho ascoltato con attenzione gli interventi dei rappresentanti del Movimento e quelli successivi, finché sono rimasto nell’aula consiliare. Non ho avuto sensazioni positive, come tanti dei presenti e di coloro che hanno preso la parola. Nel mio piccolo ho sostenuto questa battaglia insieme al consigliere comunale Pasquale Napoli e al responsabile provinciale del PD per le politiche del territorio, Giuseppe Pinto. Abbiamo più volte tentato di accendere i fari su questa annosa vicenda, con lettere indirizzate al Ministero Infrastrutture e Trasporti, al governatore della Regione Calabria Oliverio, al sindaco della Città Metropolitana Falcomatà, al prefetto di Reggio Calabria, ad Anas. Poi siamo usciti dal PD, ma questa è un’altra storia.
Il ripristino dello svincolo era stata una promessa elettorale nelle passate regionali. La legislatura è finita e, credo, anche il tempo delle promesse. D’altronde l’intervento odierno del consigliere regionale Gianni Nucera è stato subito stoppato dalla replica dell’On. Barbuto, che ne ha sostanzialmente smentito la rappresentazione dei fatti.
Noi una risposta l’abbiamo avuta l’anno scorso e quella avrei voluto leggere, per sgombrare il campo dagli equivoci e per puntualizzare alcune questioni centrali, che a mio avviso sono state affrontate con un po’ di vaghezza e di approssimazione. È la risposta di Anas a una delle tante nostre lettere, datata 19 febbraio 2018. In un passaggio si legge: «Nonostante gli approfondimenti di Anas per inserire il nuovo svincolo, includendo anche la possibilità di intervenire sulle gallerie di recente costruzione, la suddetta proposta progettuale non ha ottenuto valutazione positiva da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Ministero Infrastrutture e Trasporti, in considerazione dell’impatto dell’opera sulla sicurezza stradale, visti i molti vincoli che caratterizzano il contesto, nonché della rilevanza funzionale ed economica delle connesse misure mitigative, attesi i costi di demolizione e ricostruzione di opere di nuova realizzazione. Anche per la successiva ipotesi di “svincolo parziale” (contemplate le sole rampe da e per Reggio Calabria), individuata da Anas, onde evitare almeno di intervenire sulle gallerie già realizzate, non si è registrata la valutazione favorevole del MIT, a fronte degli aspetti legati alla sicurezza stradale e alla sostenibilità tecnico-economica dell’intervento. Pertanto, in merito alla richiesta di un nuovo svincolo autostradale per Sant’Eufemia, i pareri formulati dalle autorità preposte, MIT e CSLLPP, non rendono prospettabile l’inserimento di tale nuova opera, ancorché caratterizzata da sole manovre parziali, visti i vincoli oggettivi presenti».
Gli interventi ascoltati oggi sono stati un tiro a segno contro Anas, ma – carte alla mano – la questione appare leggermente diversa.
Avrei voluto chiedere se dall’anno scorso ad oggi sono cambiati i tecnici del MIT e la composizione del CSLLPP. In caso contrario oggi si è fatta soltanto aria fritta: e non è neanche detto che altri tecnici siano così propensi a smentire il parere di altri colleghi e una decisone che, nero su bianco, è nella risposta che Anas ha inviato alla prefettura di Reggio Calabria.
Il deputato D’Ippolito ha avuto l’onestà di ammettere che nel Contratto di Programma 2016-2020 lo svincolo non c’è. Per cui, in ogni caso, se ne potrebbe riparlare soltanto nella successiva programmazione.
Credo sia comprensibile la diffidenza dei cittadini, che condivido. Se ne sono viste talmente tante che ormai risulta difficile credere ad ulteriori promesse. Se poi i parlamentari oggi presenti a Sant’Eufemia saranno in grado di ribaltare la situazione cristallizzata nella lettera di Anas, noi saremo i primi a gioirne e ad applaudire. Ma prima vogliamo vedere i mezzi al lavoro per ripristinare ciò che ci è stato tolto, ingiustamente e con grave danno per la nostra comunità. Le rassicurazioni non bastano più.

Condividi

Palazzo Capoferro

La maggior parte della storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte è rimasta sepolta sotto le macerie delle scosse telluriche che nel corso dei secoli ne hanno più volte distrutto le abitazioni. In particolare, il terremoto del 1783 e quello del 1908 hanno pressoché cancellato le vestigia del suo passato. Sono ben poche le strutture architettoniche (o parti di esse) del XVIII e XIX secolo giunte ai nostri giorni, anche perché, laddove la natura non aveva completamente raso al suolo, l’uomo ha distrutto quel che era rimasto in piedi.
Palazzo Capoferro è tra i pochi ruderi in qualche modo sopravvissuti. “In qualche modo”, appunto. Un portale bellissimo ma interamente ricoperto dai rovi, che ha richiesto l’intervento della falce per scoprirlo fino al frontone. I muri esterni e le pareti interne rimasti in piedi, anch’essi conquistati dalle erbacce; i pavimenti inesistenti; le scale interne completamente coperte dalla terra; la scalinata esterna che conduceva all’ingresso principale e che in origine era ampia almeno il doppio, diroccata; nelle stanze dalle finestre con le inferriate adibite a deposito, ovunque cocci di giare; quasi inaccessibile il giardino interno.

Non è facile notare il rudere, i cui piani superiori sono crollati. Si trova infatti ubicato più o meno a metà della salita del “Calvario” (via Roma), la strada che collegava (e collega) il “Vecchio Abitato” con il “Petto del Principe”, un pianoro che si estendeva verso l’area, interamente edificata dopo il terremoto del 1908, degli ampi e fecondi terreni agricoli della “Pezzagrande”. Nascosto dalle abitazioni costruite nell’area nel corso del XX secolo, oggi si presenta agli occhi del visitatore all’improvviso: una sorta di apparizione in fondo a uno dei vicoli del “Calvario”.
Palazzo Capoferro è una costruzione ottocentesca situata in una posizione simbolicamente significativa: in alto, rispetto al centro urbano dell’epoca. In alto, da dove le famiglie facoltose (gli gnuri) dominavano sul popolino sovrastandone anche fisicamente i miseri tuguri. Accanto ai Capoferro abitavano i Fimmanò e i De Angelis Grimaldi, poco più distanti i Visalli.
Nel XIX secolo fu la dimora dell’avvocato e ricco proprietario terriero Paolo Capoferro (cl. 1823), che aveva sposato Maria Rosa Fimmanò (cl. 1827), sorella del commendatore Michele (cl. 1830), il deus ex machina della politica locale per sessant’anni a partire dalla seconda metà dell’800. Le famiglie Capoferro-Fimmanò, già protagoniste in epoca pre-liberale (entrambi i cognati, Paolo e Michele, erano stati membri del Decurionato e avevano ricoperto la carica di sindaco sotto i Borboni), continuarono a dominare la scena anche dopo l’unità d’Italia. Paolo Capoferro fu consigliere comunale, assessore, prosindaco e, per due trienni consecutivi (1870-72 e 1873-75), sindaco. Michele Fimmanò, più volte sindaco o prosindaco, fu inoltre consigliere provinciale ininterrottamente dal 1868 al 1913, anno della sua morte.
Palazzo Capoferro fu ereditato da Rosaria (cl. 1863) e portato in dote al medico chirurgo Saverio Greco di Delianuova (cl. 1857), dopo il matrimonio celebrato a Sant’Eufemia il 18 luglio 1889. Quindi passò al figlio Domenico (cl. 1891). E proprio nei pressi del palazzo (conosciuto per tale ragione anche come Palazzo Greco), Domenico, all’epoca podestà di Delianuova, fu assassinato il 12 settembre 1936.
Su un terreno posto più in alto rispetto al palazzo, anch’esso di proprietà dei Capoferro-Greco, sorge infine una costruzione che nella prima metà del Novecento ospitò una scuola elementare. Dotata di cucina, nell’immediato secondo dopoguerra funzionò da mensa non soltanto per gli alunni della scuola, ma anche per i tanti bambini poveri del paese.

Condividi

Qualche considerazione a margine dell’inaugurazione dell’aula consiliare

I relatori che ieri sono intervenuti nella cerimonia di inaugurazione della nuova aula consiliare, interessata da un pregevole lavoro di restyiling, hanno giustamente sottolineato l’importanza “storica” dell’evento. Ne convengo e non posso che unire i miei complimenti a quelli espressi nel corso della serata nei confronti di Nicola Dardano, che è riuscito con la sua arte a sintetizzare la storia della nostra comunità e a farla “vivere” nel luogo politicamente più simbolico del perseguimento del bene comune. Ed è stato emozionante ascoltare le parole di Antonio Crea, cittadino eufemiese emigrato da quasi mezzo secolo a Roma, che ha voluto finanziare i lavori per testimoniare l’amore per la propria terra d’origine.
Ho molto apprezzato le parole del moderatore della serata, Cosimo Petrolino, in particolare il passaggio nel quale ha sottolineato l’importanza di “unione”, pur nella diversità di ruoli e responsabilità tra maggioranza e opposizione. Sono d’accordo: su alcune questioni, su alcune tematiche di fondo, sui caratteri e sui valori del nostro essere eufemiesi non possiamo e non dobbiamo dividerci. Storia e memoria collettiva sono un patrimonio che non ha bisogno di essere messo ai voti: siamo la storia che si è sviluppata prima di noi e abbiamo il dovere di difendere e tramandare quella storia alle nuove generazioni.
Ieri non mi sono sentito un consigliere di opposizione, ma un semplice cittadino eufemiese, orgoglioso della storia della propria comunità ed emozionato per il gesto nobile e per le parole d’amore di Antonio Crea.
Lo svolgimento della serata non ha previsto interventi del pubblico. Avrei detto queste poche parole, che ho comunque espresso ai diretti interessati. Ma avrei anche aggiunto una piccola proposta, peraltro non nuova, considerato che per la prima volta la esposi in questo blog il 24 marzo 2014. La proposta è semplice e credo anche di facile realizzazione, considerato che i due riquadri realizzati alle spalle della presidenza del consiglio comunale si prestano perfettamente ad accogliere:
1) la riproduzione dell’epigrafe composta dallo storico Vittorio Visalli in occasione (5 luglio 1914) della posa della prima pietra del vecchio Palazzo municipale nell’attuale sede:
«Fin dagli oscuri tempi feudali/ madre di eletti ingegni e di forti lavoratori/ strenua ribelle contro la borbonica tirannia/ SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE/ sovvertita due volte dai moti convulsi della terra/ due volte risorse/ ed oggi/ per austera volontà di popolo/ per saviezza di amministratori/ per tenacia operosità del sindaco Pietro Pentimalli/ nel porre le fondamenta del suo civico palazzo/ celebra con sereni auspici un’aurora di vita novella/ e guarda fiduciosa a l’avvenire»;
2) la riproduzione della lapide in marmo dedicata al martire della rivoluzione partenopea Carlo Muscari a cent’anni dalla sua morte:
«Tradita la fede dei patti/ da bieca voluttà di tiranni/ CARLO MUSCARI/ milite della Repubblica Partenopea/ moriva strangolato a Napoli/ il 6 marzo 1800/ I cittadini eufemiesi dopo 100 anni/ a ricordo ed esempio».

Condividi

La chiesa delle Anime del Purgatorio a Sant’Eufemia d’Aspromonte

La chiesa delle Anime del Purgatorio (o “del Purgatorio”) di Sant’Eufemia è uno scrigno di tesori, purtroppo inaccessibile per la maggior parte dell’anno. La costruzione attuale risale agli anni Venti-Trenta del secolo scorso, ma le sue origini risalgono più indietro nel tempo. Viene infatti menzionata per la prima volta negli atti della visita pastorale che il vescovo di Mileto fece a Sant’Eufemia nel 1706. Ma va sottolineato che la documentazione vescovile presenta un vuoto di 120 anni, risalendo al 1586 la precedente visita pastorale registrata. In quella circostanza il vescovo Marco Antonio del Tufo aveva censito quattro chiese, dedicate rispettivamente a Sant’Eufemia, Santa Maria delle Grazie, San Rocco e San Giovanni. Per cui è ragionevole collocare la data dell’edificazione della chiesa del Purgatorio in un arco temporale che va dal 1586 al 1706.
Secondo lo studioso Vincenzo Francesco Luzzi, nel Settecento la chiesa delle Anime del Purgatorio era la più attiva. La congregazione omonima era aggregata alla chiesa di Sancta Maria de Suffragiis (Roma) per i suffragi e per le indulgenze: «I fratelli indossavano sacco e scapolare nero con pileo e bacolo “ad morem peregrinorum”; facevano la processione di San Tommaso Apostolo e intervenivano alle processioni generali; facevano il I° Lunedì con esposizione del Santissimo; avevano le funzioni delle XL Ore, che nel 1728 si celebravano “pro circulo”, cioè erano circolari nelle chiese di Sant’Eufemia».
Negli atti delle visite pastorali effettuate nel XVIII secolo, relativamente alla chiesa del Purgatorio vengono annotati gli altari di San Tommaso Apostolo, di Maria SS. del Suffragio, di San Francesco Saverio, di San Filippo Neri, del Crocifisso, di San Luigi Gonzaga e di San Carlo Borromeo; la confraternita di San Francesco Saverio e quella della Beata Vergine dei Sette Dolori, entrambe composte da soli ecclesiastici.
La chiesa fu rasa al suolo dal terremoto del 1783, quindi ricostruita e nuovamente crollata dopo il sisma del 1908; fu infine riedificata tra gli anni Venti e Trenta del Novecento.
Tra le opere d’arte che custodisce, oltre ad oggetti di arte sacra realizzati artigianalmente e di rara bellezza (ostensorio, paramenti della omonima confraternita, croci), un posto particolare nel sentimento popolare è occupato dai lavori di due grandi pittori eufemiesi: Rocco Visalli (deceduto a soli 23 anni, nel 1845) e Carmelo Tripodi, artista poliedrico e fecondo. Del primo è possibile ammirare “San Francesco” e “Santa Filomena”; del secondo, la “Deposizione dalla croce” e “San Rocco tra gli appestati”. Di particolare interesse è anche la statua della “Madonna del Suffragio” (1832) di Raffaele Reggio, artista proveniente da Serra San Bruno; così come il dipinto posto alle spalle dell’altare maggiore, raffigurante la “Madonna delle anime del Purgatorio”: una pala ottocentesca restaurata circa trent’anni fa da un altro grande artista eufemiese, Graziadei Tripodi (il “restauratore al servizio di Dio”), che ha riportato alla luce diversi soggetti incredibilmente coperti al termine di un precedente restauro.

Deposizione dalla Croce – Carmelo Tripodi
San Rocco tra gli appestati – Carmelo Tripodi
San Francesco – Rocco Visalli
Santa Filomena – Rocco Visalli

*Fonti:
– Carmela Cutrì – Eufemia Tripodi, Cosma e Damiano. Medici-Martiri-Santi nella storia del culto in S. Eufemia d’Aspromonte, Virgilio editore (1998).
– Luzzi, Vincenzo Francesco, La Comunità ecclesiale di Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età moderna, in: Sant’Eufemia d’Aspromonte, Atti del Convegno di studi per il bicentenario dell’autonomia, Rubbettino editore (1997).

Condividi

L’Alfiere della Repubblica Roman Moryak: la premiazione

Si è svolta ieri al Palazzo del Quirinale la cerimonia di consegna degli Attestati d’Onore ai 29 nuovi Alfieri della Repubblica, giovani nati tra il 1999 e il 2008 “che si sono distinti per la loro testimonianza, il loro impegno, le loro azioni coraggiose e solidali” e che rappresentano modelli positivi di cittadinanza, “esempi dei molti ragazzi meritevoli presenti nel nostro Paese”.
Tra i premiati anche Roman Moryak (14 anni il 30 maggio), nato a Reggio Calabria da genitori ucraini che risiedono da circa 15 anni a Sant’Eufemia d’Aspromonte, con la seguente motivazione: «Si è distinto per la passione e l’impegno dimostrati prima nello studio del sassofono, poi nell’attività di calciatore, e quindi in quella di scacchista. Nei tornei di scacchi il suo valore è molto apprezzato e già diversi trofei sono entrati nella sua personale bacheca, oltre a piazzamenti importanti a livello regionale e nazionale. Essendo figlio di immigrati ucraini, nella sua comunità è divenuto un simbolo positivo di integrazione».
Si tratta di un riconoscimento del quale andare fieri come comunità eufemiese per il suo alto valore simbolico, in un momento storico particolarmente difficile per le tematiche legate al concetto di integrazione.
Nel suo intervento il Presidente della Repubblica Mattarella, riferendosi allo stupore dei giovani premiati in virtù di comportamenti da essi stessi considerati “normali”, ha sottolineato l’importanza di “far vedere che questa è la normalità della vita, che aiutare gli altri, aiutare chi è in difficoltà, rende la vita migliore, fa vivere meglio se stessi e la comunità in cui si è inseriti”: «Ed è quel che avete fatto, in tanti modi diversi, ciascuno con un’iniziativa particolare, dimostrando che ogni persona è irripetibile, ma che tutte queste risorse individuali confluiscono nella vita comune, nella convivenza. Non siete i soli a fare cose così belle da sottolineare; tanti altri ragazzi come voi hanno fatto cose analoghe. Voi li rappresentate tutti, perché il nostro Paese è pieno di ragazzi che hanno la vostra stessa sensibilità. È importante però farla conoscere, far capire che questa è la regola della vita, la normalità, che dovrebbe essere sempre praticata da tutti».
«Vi ringrazio molto – ha concluso il capo dello Stato – perché avete dimostrato che questa è la vita del nostro Paese e che la solidarietà è l’impalcatura della convivenza. Nulla regge senza impalcatura. La nostra società, il nostro vivere insieme non starebbe in piedi senza la solidarietà. Voi l’avete praticata e dimostrata».
Complimenti a Roman e auguri anche ai genitori, Igor e Ivana.

*La fotografia e il video della consegna degli attestati sono condivisi dal sito istituzionale della Presidenza della Repubblica (www.quirinale.it)

Condividi

Oggi non è un bel giorno

Chi ha subito un attentato conosce bene la prostrante sensazione di amarezza e di incredulità che ti resta a lungo dentro. Vorresti capire perché ti è capitata una cosa tanto brutta e vile. Per mesi o anni, o per sempre, temi che possa riaccadere. Di notte, poi, ogni rumore che somigli a uno scoppio ti fa saltare dal letto.
Non è paura, i vigliacchi non fanno paura perché soltanto di quello sono capaci: agire nell’ombra, fare un “dispetto”. Però la serenità di una famiglia viene turbata.
Ho letto più volte la reazione “a caldo” di Ilaria: «Ho paura, non di voi e del vostro lurido gesto, mi fa paura la vostra mentalità, mi terrorizza il solo pensiero che mio fratello debba crescere in un ambiente così ostile e miserabile. Io sono “scappata” ma con la nostalgia nel cuore e la voglia di tornare per poter valorizzare i luoghi dove sono nata e cresciuta, ma ad oggi non vorrei mai più ritornare e se potessi farei fuggire le persone che porto nel mio cuore».
Sono parole che mettono tristezza, proprio perché pronunciate da una giovane. Chi resterà in questo paese? Che resterà di questo paese? Mi angoscia il pensiero di una buia direzione che intravedo, che ogni tanto provo a indicare, sconfortato, su questo blog. E che ha suscitato anche la reazione dei soliti tromboni ammantati dalla retorica del “viviamo in un posto bellissimo”.
Io odio la retorica. Non bisogna generalizzare, su questo concordo. E bisogna sottolineare, valorizzare le cose e le persone belle che pure ci sono. Credo di farlo in questo spazio virtuale e nella vita di tutti i giorni. Però non si fa un buon servizio al paese nascondendo la testa sotto la sabbia. Bisogna anche essere onesti, con la propria coscienza e nei confronti proprio della parte sana della nostra comunità. Sant’Eufemia non è il migliore dei posti possibili, così come la Calabria non è l’Eden per i suoi tramonti, il buon cibo, il mare e la montagna che sono così attaccati che sembrano fare l’amore.
È il secondo attentato, a distanza di poco tempo, che colpisce persone perbene di Sant’Eufemia. Qualche mese fa l’incendio del furgone da lavoro dell’idraulico Mimmo Cammarere, un uomo che nella sua vita ha solo e sempre lavorato, sin da quando era un ragazzino. Ora è toccato alle famiglie Papalia-Bagnato.
Tutto questo è vergognoso. Le persone perbene non si toccano. Bisogna avere rispetto per chi lavora dalla mattina alla sera, con garbo e con il sorriso sulle labbra. Per chi trasmette ai propri figli con l’esempio quotidiano il valore dell’unione familiare e la religione del lavoro, sottolineati da Maria: «Tutti insieme, sin dall’inizio, per toccare con mano ciò che nella vita non deve esser dato per scontato e capire che nulla si ottiene senza il sacrificio».
Riporto i commenti di Ilaria e Maria, nella speranza che siano letti da tanti altri giovani come loro. Che possano servire da monito. E faccio mie le parole postate da Francesca sul suo profilo Facebook, sotto una foto bellissima, per rispondere “con i nostri sorrisi” ad un gesto così vile, perché rappresentano la risposta dell’intelligenza alla barbarie: «Dovreste solo prendere esempio da una famiglia bella, unita, che lavora duramente e onestamente. È questo che vi auguro: essere come noi».

Condividi

Le medaglie di Giuseppe Silvani

Medaglia di bronzo al valore militare

Due anni fa scrissi di Giuseppe Silvani, soldato eufemiese nella prima guerra mondiale che alla fine del conflitto fa sostanzialmente perdere le proprie tracce negli Stati Uniti, da dove era rientrato in Italia per essere arruolato nell’esercito. Lo stesso foglio matricolare, conservato presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, si conclude con l’annotazione “non è stato possibile completarlo risultando l’interessato irreperibile”.
L’articolo ha navigato sulle onde del web fino ad arrivare, qualche giorno fa, davanti agli occhi di Margie Silvani, nipote dello “sconosciuto eroe di Sant’Eufemia”. Grazie a Margie, che vive a Cedar Knolls (New Jersey), possiamo aggiungere nuovi tasselli alla biografia del trovatello eufemiese medaglia di bronzo al valore militare e raccontare una piccola storia di emigrazione che si inserisce nella grande storia dell’emigrazione italiana nel secolo scorso.
Qualche vuoto rimane: ad esempio non sappiamo chi adottò il piccolo Giuseppe Silvani, che tra le altre cose ha lasciato in eredità a figli e nipoti le due fototessere che Pasquale e Domenico (il cognome non è specificato) gli spediscono da Sant’Eufemia nel luglio del 1962 firmandole sul retro, entrambi, “il tuo caro fratello”.

I due probabili fratelli di Silvani, da sinistra: Pasquale e Domenico

Apprendiamo invece che nel 1912 Silvani aveva sposato Giuseppa Carzo (nata a Sinopoli), poco tempo prima del suo primo viaggio negli Stati Uniti a bordo della nave “Madonna”, che sbarca a Ellis Island il 15 marzo 1913.
Le medaglie e gli attestati delle onorificenze custoditi da Margie confermano il dato della lacunosità delle fonti documentarie sulla grande guerra e completano l’elenco che era stato possibile stilare sulla base delle informazioni riportate sul foglio matricolare. L’onorificenza più prestigiosa conferita a Silvani è la medaglia di bronzo al valore militare, guadagnata in un’azione di guerra sul Monte San Marco il 23 maggio 1917, che gli vale anche l’assegnazione (“per le ferite di shrapnel riportate alla gamba destra”) del distintivo d’onore, un galloncino d’argento che i soldati feriti in combattimento applicavano alla divisa, sul braccio destro. Seguono le altre decorazioni: la medaglia commemorativa della guerra 1915-1918; la medaglia a ricordo della guerra europea (meglio conosciuta come medaglia interalleata della vittoria o medaglia della vittoria); la croce al merito di guerra.

Croce al merito di guerra
Distintivo d’onore
Medaglia interalleata della vittoria
Medaglia commemorativa della vittoria

Infine, l’attestato rilasciato dal ministero della guerra agli italiani rientrati dall’estero per servire l’esercito, che riporta la formula: «All’appello della Patria in armi, accorse sollecito da Oltre Oceano, sfidando le insidie delle navi e dei sommergibili nemici. Partecipò lodevolmente alla lotta per la difesa e il compimento dell’Unità nazionale, meritando la gratitudine della Patria».

Attestato ministero della guerra

A guerra finita Silvani parte nuovamente per gli Stati Uniti e, il 20 aprile 1920, sbarca dalla “Pannonia”. La moglie Giuseppa lo raggiunge con la nave “Taormina” più di un anno dopo, il 27 settembre 1921. In tutto saranno sei i figli nati dal matrimonio di Giuseppe e Giuseppa. I quattro maschi partecipano alla seconda guerra mondiale con l’esercito statunitense, quindi troveranno occupazioni dignitose: Rocco presso il dipartimento dei lavori pubblici, come il padre; Pasquale nei vigili del fuoco; James “Jimmy” Vincenzo nel porto di New York; Michael nella polizia.

Foto del matrimonio di Michael Silvani con Margaret. Da sinistra: Pasquale Silvani, Michael e Margaret, Giuseppa Carzo, Giuseppe Silvani, Rocco Silvani, James Silvani

Delle figlie, Grace e Mildred “Millie”, la prima muore giovanissima in un incidente d’auto, nel 1949.

Grace Silvani
Michael, James e Millie Silvani

Giuseppe Silvani si stabilisce a Pittsburgh (Pennsylvania) e lavora per circa nove anni nelle miniere di carbone. Naturalizzato il 7 gennaio 1926, tre anni dopo si trasferisce a West Orange (New Jersey), città nella quale risiederà per tutto il resto della sua vita (muore nel 1967), impiegato presso il dipartimento dei lavori pubblici, come operaio addetto alla manutenzione delle strade. Ed è proprio grazie al responsabile del dipartimento, Louis Falcone, che nel 1957 la comunità di West Orange viene a conoscenza degli atti di eroismo di Silvani durante la guerra dalle colonne del “West Orange Chronicle”: i tre giorni trascorsi senza mangiare per trarsi in salvo dopo un’incursione in territorio nemico; il ferimento alla coscia nella Decima battaglia dell’Isonzo e i 37 giorni di ricovero in ospedale; la cattura di diversi prigionieri nell’azione premiata con il conferimento della medaglia di bronzo al valore militare. Vicende incredibili commentate da Silvani con semplicità e umiltà disarmanti: «Ho fatto semplicemente il mio dovere, come tutti gli altri soldati».

West Orange Chronicle, 15 luglio 1957
*Margie Silvani è la figlia di Michael, il più piccolo dei fratelli Silvani, scomparso nel 2010 (gli altri erano deceduti in precedenza).

Condividi

Dona il sangue, salva una vita

Sempre con maggiore frequenza, purtroppo, leggiamo che negli ospedali c’è carenza di sangue. Ospito pertanto volentieri sul blog l’intervento di mio fratello Luis, che sottolinea quanto sia importante donare il sangue, al di là dell’associazione con la quale si sceglie di farlo, e di come basta poco (non “basterebbe”, precisa esortando all’azione concreta della donazione) per dare sostanza e vita al concetto di solidarietà. Al suo invito unisco il mio, quello di un ex ventiseienne salvato dalla trasfusione consecutiva di sette sacche di sangue. 

*Sono un donatore di sangue. A Sant’Eufemia sono attive due associazioni per la raccolta delle donazioni, Avis e Adspem; regolarmente, i giornali locali denunciano la cronica, drammatica carenza di sangue nelle strutture ospedaliere, esortando la popolazione a donare: eppure, sebbene nel nostro paese operino due realtà, la risposta eufemiese è scarsa. L’associazione di cui faccio parte vanta un gran numero di tesserati: tra questi, c’è chi riesce a donare assiduamente; c’è chi, per sopraggiunti limiti di età o di salute, non può donare, spendendosi comunque in maniera encomiabile per la causa; c’è chi, nonostante essere in condizioni ottimali per effettuare la donazione non sia agevole, ci prova sempre. E poi c’è chi alle donazioni non lo incontri mai. Ho più rispetto per chi non fa niente, che per chi finge di fare. Prima di continuare devo però confessare il mio peccato originale: per destare e spronare la mia attenzione, mi è stato necessario sentir fischiare le pallottole vicine, maledettamente vicine. Non voglio raccontare cosa mi ha scosso dal mio torpore e motivato, appartiene al mio vissuto più intimo, però è innegabile che per svegliarmi c’è voluto uno scappellotto ben assestato. Mai mi sarei fermato a riflettere sul fatto che spesso, molto più spesso di quanto si possa immaginare, un medico debba sostituirsi a Dio nello scegliere a chi dare una speranza di vita con il poco sangue a disposizione. Mi è stato detto che un dio cinico, seppur combattuto dentro un camice troppo stretto e che mai più sentirà candido, davanti alla scelta fatale salva il bambino e condanna il vecchio. E davanti a due bambini?
L’inspiegabile vola ad ali spiegate. Perdonate il banale gioco di parole ma personalmente ho sempre preferito la potenza disarmante dell’ironia al nichilismo dell’aggressività “di posizione”. Inutile scontrarsi frontalmente con l’ignavia e l’apatia di chi pensa di fare la sua parte pascolando compulsivamente sui vari social, salvo poi sparire all’atto pratico. Che, diciamocela tutta, se ti azzardi a muovere critica (una volta nobile presupposto, volano di miglioramento) al modus operandi imperante vieni prontamente tacciato di arroganza e mancanza di rispetto verso posizioni diverse dalla tua. Ma tant’è. Ci indigniamo sbigottiti per gli sconvolgenti risvolti dell’apertura di una lettera di Maria (no, non quella, l’altra, quella di canale 5…) ma non ci accorgiamo delle criticità attorno a noi. Palpitiamo per una noce di cocco sparita sull’isola dei famosi e sbuffiamo alterigia in attesa che al tg termini il servizio sui gommoni della disperazione. Eppure, basta poco. Non “basterebbe”, condizionale-alibi di fatalisti e disfattisti: “basta”, indicativo che non offre zone d’ombra di dubbia interpretazione. Purtroppo viviamo in un contesto storico basato sui punti esclamativi, sull’eclatante: se non fa notizia, audience, non interessa. È davvero così? Per conto mio, agli eroi da blockbusters cinematografici preferisco gli eroi invisibili di tutti i giorni, quelli che una cosa la fanno solo perché va fatta.
“Donare è ricevere”: questo lo slogan della mia associazione. Non ho detto quale sia delle due e non lo farò, non è importante. L’importante è donare, con chi è un dettaglio irrilevante.

*Luis Forgione, donatore

Condividi

Un paese dormitorio

Provate a fare un giro per le strade del paese anche soltanto dopo le 21.00, non a mezzanotte. Un deserto. Incrocerete qualche rara macchina, a volte neanche quella. A me mette tristezza questo lento spegnersi di candela. Nell’ultimo decennio Sant’Eufemia ha avuto un crollo, è inutile girarci attorno. Come una persona anziana che di colpo si sveglia pieno di acciacchi e, a un certo punto, si lascia andare. I segnali c’erano già, anche prima di dieci anni fa. Perché l’emorragia di giovani prima o poi la paghi in termini di vitalità, di voglia di cambiare le cose, di spirito combattivo. Di dire: «Ci provo, comunque vada ci provo».
Si vive rannicchiati sulle proprie piccole certezze, che danno un minimo di tranquillità a chi le possiede. Ma per lo più si sopravvive, in tutti i sensi. Non è soltanto questione di economia, anche se i soldi sono oggi purtroppo al vertice della scala dei valori. È proprio apatia, come se niente potesse avere importanza al di là del proprio superbo deretano. Un paese rassegnato al declino, che ha subito una sorta di mutazione genetica. Che si indigna poco o niente, che ha fatto del quieto vivere la propria filosofia di vita. E che aspetta a bocca aperta. «Chi me lo fa fare?»: tutto ruota attorno a queste cinque miserabili parole. Non eravamo così. No, non eravamo così. Timidi, impauriti, servili.
E mentre una sorta di mutazione genetica sta stravolgendo il nostro stesso carattere, la nave affonda. Non basta ordinare all’orchestra di continuare a suonare. La nave affonda e là sopra ci stiamo più o meno tutti.
A Sant’Eufemia c’erano due filiali di banca: chiuse entrambe. Il centro di riabilitazione “Chirico” dava lavoro e forniva un servizio di assistenza fondamentale per i disabili del comprensorio: chiuso. L’associazione turistica Pro loco, dopo vent’anni, ha chiuso i battenti, preceduta dall’associazione culturale Sant’Ambrogio. Non ci è rimasta nemmeno la squadra di calcio, sparita; mentre il tennis aveva tirato le cuoia già da tempo. Ogni tanto ne ricordano funzione e gloria qualche lavoro di ristrutturazione del campo sportivo o la ritinteggiatura di quello da tennis, dovesse un giorno succedere un miracolo. Per chi crede nei miracoli.
Ricordi di un passato che sembra lontanissimo, mentre dietro gli scuri di questo moderno e triste dormitorio ognuno coltiva la propria solitudine.

Condividi