Caro Roberto,
avevamo capito tutto quando a maggio non ti vedemmo svoltare l’angolo della piazza per venirci incontro con la tua inseparabile sigaretta accesa. Avevamo saputo che non stavi bene, per cui quest’anno non ti era stato possibile trascorrere i tuoi “soliti” cinque mesi a Sant’Eufemia.
Ci piaceva la tua vita da pensionato: sette mesi a New York e cinque a Sant’Eufemia. La tua simpatia, il tuo affetto e la tua educazione: sentimenti antichi che ti rendevano giovane tra i giovani. E noi a cercarti, contendendoti ad altre comitive, per proporti qualcosa di interessante. Una gara per avere la tua presenza: “Roberto, stasera non prendere impegni: si va per un gelato”. Oppure, improvvisamente, tutti sulle macchine e via verso l’Aspromonte, per una spaghettata alle due di notte in una casetta di campagna, bibite e companatico vario racimolati nelle dispense delle nostre cucine.
Dei tanti momenti trascorsi insieme ricordo quella volta che Salvatore organizzò una serata per salutarti prima della tua partenza, un paio di anni fa: eravamo una ventina e alla fine saltò fuori una torta in tuo onore che ti fece commuovere.
Ora sei tu a farci commuovere, con la notizia di oggi, che ci ha spiazzato nonostante fosse attesa. Non ci abitueremo mai alla morte, al suo mistero e ai crateri che lascia nell’anima.
Voglio ricordarti così, a capotavola col bicchiere alzato.
Addio, amico mio.