Costituito a Sant’Eufemia il circolo Pd “Sandro Pertini”

Di recente (qui) ho anticipato, seppure non esplicitamente, un’ipotesi sulla quale stavo da tempo meditando. La cautela era dettata dall’esperienza del passato, dagli avvenimenti che per ben due volte (al tempo dei Ds prima e del Pd dopo) avevano portato alla mia repentina fuoruscita dal partito. Ho riflettuto su quelle vicende, sulla politica in generale, sui suoi valori calpestati dall’esercizio quotidiano del potere. Ho sempre condiviso le mie considerazioni sul mio blog, per cui tutto è scritto, nero su bianco; e scritto resterà. Non ritengo infatti che la decisione di impegnarmi nuovamente nel partito democratico contraddica le critiche durissime che ho negli ultimi due anni espresso e che tutt’ora reputo valide.

Perché, dunque, questa svolta? E perché proprio ora, nel momento in cui l’antipolitica sembra vincere a mani basse e i partiti tradizionali pagano lo scotto di una montante quanto comprensibile impopolarità? Per un paio di semplici motivi.
Perché credo nella validità dell’articolo 49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”), nonostante l’importanza e l’indispensabilità dei movimenti e delle associazioni impegnate anch’esse sul piano concreto dell’azione politica. Anzi, è proprio a quelle esperienze (che ben conosco per una frequentazione ultraventennale) che bisogna rifarsi, per coinvolgere “la meglio gioventù” nella gigantesca opera di distruzione di un modus operandi che non ci soddisfa affatto. Con un gruppo di amici abbiamo deciso di aderire al partito democratico per trasformarlo radicalmente, perché esso non sia più ciò che è stato fino ad ora. Nel nostro piccolo, ovviamente. Non siamo così presuntuosi o sprovveduti da pensare che a Sant’Eufemia possa avere inizio una rivoluzione. Anche perché non è più tempo di rivoluzioni che si concludono con la conquista del Palazzo d’Inverno. La vera rivoluzione è lottare giorno per giorno per cambiare le cose nel luogo in cui viviamo, lavoriamo, studiamo, ci incazziamo, sorridiamo, sogniamo. Si realizza nell’esempio che si riesce a dare agli altri e nel contributo al miglioramento di quel posto, fedeli all’insegnamento della cofondatrice di Emergency, Teresa Sarti: “se ciascuno di noi facesse il suo pezzettino, ci troveremmo in un mondo più bello senza neanche accorgercene”.

Stare fuori, guardare, indignarsi e imprecare non porta a niente. Soltanto all’irrilevanza. Mentre si finisce per lasciare campo libero a coloro che nella palude ci sguazzano da sempre. Tanto per fare un esempio: l’8 dicembre si terranno le primarie per eleggere il segretario nazionale. Ogni volta che il partito democratico ha utilizzato lo straordinario strumento delle primarie ne sono successe e se ne sono sentite di tutti i colori. Ora, può darsi che da qualche parte i signori delle tessere abbiano già predisposto la farsa e che in alcuni comuni accadrà che i votanti alle primarie siano superiori al numero di coloro che alle prossime elezioni voteranno Pd. È già successo, anche a Sant’Eufemia.

Noi sentiamo il dovere di testimoniare la possibilità di un’altra strada: forse non ci sarà un’affluenza di 300, 400 o 500 elettori. Ma chi verrà, l’avrà fatto consapevolmente. E se nessuno dei candidati dovesse prendere il 100% dei voti, per noi sarà un motivo di soddisfazione. I plebisciti sono propri delle dittature, o delle elezioni taroccate.

Bisogna cominciare a proporre modelli positivi dal basso, senza perdersi in sterili discussioni sui massimi sistemi. Il resto verrà da sé. In questa fase era importante ripartire. Proprio per non offrire il destro a possibili illazioni, si è deciso di rimandare il tesseramento vero e proprio alla prossima riapertura delle iscrizioni. In quella circostanza verrà inoltre rieletto il direttivo del circolo, del quale in via provvisoria sono segretario, con Giuseppe Gentiluomo vicesegretario e Enzo Fedele tesoriere.
L’elezione di Seby Romeo a segretario provinciale del Pd ci fa ben sperare sulla possibilità di trovare a Reggio Calabria una sponda credibile e un reale interesse per l’avvio di un nuovo, trasparente e partecipato percorso politico.

Abbiamo voluto dedicare il circolo a Sandro Pertini. Al socialista e all’antifascista, all’esule e al recluso politico, al partigiano e al combattente per la libertà, al primo presidente della Repubblica veramente popolare, non più semplice notaio e grigio custode delle regole del gioco. Per avere chiara la strada che si intende imboccare, occorre sapere da dove si proviene: le nostre radici e i valori che professiamo. Noi non crediamo al qualunquismo di chi sostiene che i politici “sono tutti uguali” e che niente distingue la destra dalla sinistra. Per noi, la lezione di Norberto Bobbio è ancora valida: inclusione, integrazione, riduzione dei fattori di diseguaglianza, uguaglianza delle opportunità. I governi delle larghe intese costituiscono un’eccezione, soluzioni d’emergenza che non sbiadiscono la nostra identità, fondata sull’antifascismo, sulla Resistenza e sulla Costituzione repubblicana. Da qui bisogna partire e dalla lezione di don Lorenzo Milani: “Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

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Più politica, meno antipolitica

È l’eterno conflitto tra impegno e disimpegno, in uno scenario per niente incoraggiante e con le spie dell’antipolitica che lampeggiano impietosamente. Da troppi anni ormai. Percentuali dell’astensionismo in crescita, movimenti di protesta come Cinque Stelle capaci di exploit imprevedibili. Anche se l’impressione è che Grillo e Casaleggio abbiano “scartato” la chiusura. Un po’ ciò che successe a Mariotto Segni dopo il trionfo nel referendum per l’abolizione della preferenza plurima alla Camera, in barba a Bettino Craxi e al suo “andate al mare”, rivolto agli elettori nel giugno del 1991.

Ci siamo passati in molti dalla scelta della diserzione dalle urne. Nell’attesa di segnali che non sono arrivati e con l’unico risultato di esserci ritrovati con un governo che non voleva nessuno e che, dicono, non ha alternative. Intanto, i morsi della crisi economica si fanno ogni giorno più laceranti sul corpo martoriato di un Paese che ha da tempo smesso di camminare. Impallato come un vecchio computer che non riesce a caricare nemmeno una foto. E la foto è sempre la stessa, quella di una transizione infinita, dalla Prima Repubblica a non si sa bene cosa: sullo sfondo, l’ombra ingombrante e decadente di Silvio Berlusconi. Ferito e braccato, incerto tra il “tanto peggio, tanto meglio” e un’uscita di scena non troppo umiliante.

E poi una crisi morale drammatica, della quale i “rimborsopoli” che si susseguono a scadenza regolare quasi ovunque rappresentano soltanto la punta dell’iceberg. Una vergogna infinita e insopportabile, al pensiero di quanti perdono la dignità rovistando nei cassonetti della spazzatura, alla ricerca di un pomodoro o di una patata, marci ma ancora commestibili.

Viene voglia di riprovarci. Forse per l’ultima volta. E non perché non ci siano al di fuori della politica energie e opportunità per incidere concretamente sui drammi quotidiani. Il meglio questo Paese lo dà nel no-profit, nell’impegno taciturno di cittadini privati, associazioni, organizzazioni di volontariato. Si tratta quindi di trasferire dalla casa, dalla scuola, dal posto di lavoro e dai luoghi di aggregazione al “livello” della politica l’impegno profuso quotidianamente per rendere migliore la società in cui viviamo.

Non è semplice e la storia insegna che i fallimenti sono in prevalenza. Ma abbaiare alla luna è fatica sprecata e l’antipolitica non riuscirà mai a risolvere i guasti della politica, che va redenta dal suo interno. Ecco perché c’è bisogno di più politica, nel suo significato più nobile di strumento volto alla realizzazione del bene comune.

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Inoccupabili e in fuga

Non trovo offensivo il commento del ministro del Lavoro Enrico Giovannini ai dati diffusi dall’Ocse, che confinano gli italiani tra le ultime posizioni nel mondo per competenze necessarie a collocarsi e a muoversi nel mondo del lavoro. “Inoccupabili”, nella versione strong delle sintesi giornalistiche; “poco occupabili”, in quella ufficiale. Ad ogni modo, cambia poco.

Sbagliano coloro che tentano di metterla sul piano della rissa, come se fossimo al “bamboccioni” di Tommaso Padoa-Schioppa: “quelli che non crescono mai, non si sposano, non si rendono autonomi”, gentaglia che il ministro dell’Economia del secondo governo Prodi suggeriva di mandare “fuori di casa”. Non si tratta neanche dei giovani “choosy” (schizzinosi), incapaci di accontentarsi di un posto di lavoro qualsiasi, secondo l’accusa di Elsa Fornero, ministro del Lavoro del governo Monti in gara con il vice Michel Martone (quello dei fuoricorso “sfigati”) nella particolare competizione tra coloro che dai salotti di esclusivissimi circoli guardano i comuni mortali con schifato senso di superiorità.
La “monotonia” del posto fisso (Mario Monti); i ragazzi da fare uscire di casa a diciotto anni, “per legge” (Renato Brunetta); i lavoratori precari “Italia peggiore” (ancora l’attuale capogruppo Pdl alla camera dei deputati). In questi casi sì che c’era l’offesa, perché chi ha pronunciato quelle frasi fa parte di un sistema fondato sulla disparità delle opportunità. Non a caso, si trattava di fustigatori da cattedra universitaria. Non bisogna essere dei segugi per fiutare l’odore di casta: basta scorrere gli elenchi di associati, ordinari, ricercatori, ma anche amministrativi delle università italiane per scoprire (si fa per dire) la frequenza di certi cognomi. Alla Sapienza di Roma, tanto per ripetere una celebre battuta, c’è un vero e proprio “convento di Frati”: e non sono monaci. D’altronde, qualche “figlio di” ha dato anche una interpretazione genetica: “i figli dei professori universitari vincono i concorsi perché sono più portati a quel tipo di lavoro”. Così come, completerei il concetto, i figli dei generali sono più portati ad avere una carriera nell’esercito e i figli dei medici o dei notai seguono quasi naturalmente le orme dei genitori. Sono più portati. Facciamocene una ragione.

Ecco, queste avventate dichiarazioni al tempo sollevarono, a ragione, un vespaio di polemiche per l’arroganza che trasudavano. Ma sul rapporto dell’Ocse c’è poco da argomentare. La verità non è mai offensiva. E la verità è che, in Italia, istruzione, università e formazione non facilitano per niente l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Perché istruzione e lavoro, da noi, sono due mondi che non si parlano. Scuola e università sono per lo più parcheggi che alla fine rilasciano un inutile pezzo di carta. Non spendibile, perché il mercato del lavoro non sa che farsene (tanto per dirne una) di un esercito di laureati in discipline umanistiche. L’Italia è ormai un paese di laureati, addottorati, pluripossessori di attestati di corsi di formazione professionale. E di disoccupati incazzati.

Il sistema è bloccato e chiuso dall’interno, dove pochi privilegiati cercano di resistere all’assalto congiunto del padronato e delle orde di disoccupati o lavoratori senza alcuna tutela che premono dall’esterno. Per entrarvi bisogna conoscere chi detiene la chiave. Avere un gancio all’interno, fare la fila dietro la porta del politico giusto, scendere a compromessi con la criminalità organizzata. Di certo, la chiave, non ce l’hanno i centri per l’impiego: gli ultimi dati disponibili (relativi al 2011) assegnano infatti ai Cpi la miseria del 3,9% delle intermediazioni tra domande e offerte di lavoro. Né regge la mezza balla del “bisogna osare”: trovate una banca disposta a sostenere l’iniziativa di chi non ha garanzie da offrire in cambio di un mutuo o di un prestito, e poi ne riparliamo.

La disputa sugli “inoccupabili” è fuorviante, sposta l’attenzione dai fatti alle parole. Parole come un disco rotto. Quando condannano, quando giustificano, quando interpretano, quando addirittura esaltano. Soprattutto al Sud. Soprattutto da noi. Gli spot sul paradiso calabrese lasciamoli agli uffici stampa. Un paradiso talmente accattivante da provocare un esodo biblico, un’emorragia di freschezza e competenze ogni giorno più drammatica. Riscattata appena dalla lotta quotidiana di chi si ostina a cercare un motivo qualsiasi per non scappare. Una battaglia sempre più dura, sempre più amara. Fino a quando la misura non sarà colma. Fino a quando non si alzeranno le vele.

Allora saranno lacrime di dispetto. Asciutte. E orecchie tappate per respingere il canto delle sirene: “non partire, resta qua”. Sarà strapparsi il cuore e interrarlo in qualche sperduto rittano dell’Aspromonte.

Questo sarà.

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Finale di partita

Quando, mille anni fa, Gianfranco Fini (chi era costui?) pronunciò il memorabile “siamo alle comiche finali”, lo fece da inguaribile ottimista. E per la sua vicenda personale, marchiata dalla condanna all’irrilevanza politica che si abbatte su chiunque nel centrodestra entra in rotta di collisione con Berlusconi; e per la situazione politica generale, slittata pericolosamente in uno scenario da tragedia greca.

Non per i morsi della crisi economica, ogni giorno più forti, come attesta il drammatico dato della disoccupazione giovanile, che ad agosto per la prima volta ha sfondato il muro del 40%. La tragedia cui si fa riferimento è quella di un uomo asserragliato nel bunker di Arcore, ostaggio dei falchi del partito, costretto nel vicolo cieco della logica del “tanto peggio, tanto meglio”, o del “muoia Sansone con tutti i filistei”. Attorno, soltanto nemici: l’ultimo, in ordine di tempo, il presidente della Repubblica, al quale non più tardi di cinque mesi fa il centrodestra chiese in ginocchio di restare al Quirinale per un secondo mandato. O traditori, secondo l’antico schema applicato a Casini, Follini e Fini. Un vestito che oggi a fatica e soltanto ricorrendo a una buona dose di fantasia si riesce a fare indossare a un Cicchitto o ad un Alfano.

Ma tant’è: risultato scontato se a passare è la linea dura di Verdini, Bondi, Santanchè e Ghedini, sposata e imposta senza alcun dibattito a un esercito di nominati. E fa sorridere l’uscita di Cicchitto sulla mancanza di democrazia interna in Forza Italia (“Berlusconi avrebbe bisogno di un partito democratico nella sua vita interna”), come se in vent’anni, da quelle parti, vi sia mai stata collegialità nelle decisioni e non, piuttosto, un pedissequo allineamento ai desiderata del capo.
Un gioco al massacro, quindi, per spingere il Paese nel gorgo e che non inciderà per niente sull’epilogo – ormai segnato – della vicenda giudiziaria di Berlusconi.
Chi può mai credere alla favoletta del governo caduto sui provvedimenti economici, nonostante il refrain intonato dalle televisioni e dai giornali di Berlusconi? Al solito, sono i guai con la giustizia il vero problema. La questione della decadenza da parlamentare, non appena diventerà esecutiva la sentenza che ridefinirà i termini dell’interdizione dai pubblici uffici. E che Berlusconi vorrebbe scongiurare facendo saltare il banco per portare gli italiani ad elezioni entro la fine di novembre. Con tempi talmente stretti da fare indovinare una strada difficilmente percorribile.
Ma a destare ulteriore preoccupazione sono le nubi minacciose in arrivo dagli altri fronti giudiziari, con condanne e richieste di arresto che Ghedini dà per scontate e che sarebbero all’origine della disperata e istintiva reazione dell’ex premier.

Indro Montanelli, che lo conosceva bene, predisse che l’Italia di Berlusconi sarebbe finita “male, malissimo: nella vergogna e nella corruzione”, aggiungendo che, a quel punto, sarebbe stato “inutile avere ragione”. La sensazione è che andrà a finire proprio così.

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Il diritto alla difesa di Berlusconi

Una considerazione sull’uscita di Violante a proposito del diritto alla difesa che “dovrebbe” essere garantito a Berlusconi. Perché credo che Berlusconi si è difeso, eccome se si è difeso. “Nel” processo e soprattutto “dal” processo. Nei tribunali, certo. Ma ancor più in Parlamento, dove gli avvocati dell’ex premier hanno dimostrato di sudarsi la pagnotta spendendosi senza tregua in favore del loro assistito.
Un lavoro da sarti del diritto: allunga di qua, accorcia di là. Ma anche abili giochi di prestigio che hanno trasformato in condotta specchiata ciò che fino a qualche tempo prima rappresentava una violazione del codice penale.

Ora si è di nuovo nella fase estensiva, per così dire. Prendere tempo, per evitare che la Giunta per le elezioni del Senato debba esprimersi sulla decadenza di Berlusconi prima che la Corte d’Appello di Milano quantifichi nuovamente la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
La storia del diritto alla difesa, ovvero del diritto alla difesa “ad oltranza”, in barba a qualsiasi condanna definitiva, mi ricorda le partite di calcio che da ragazzini disputavamo in piazza. A volte, non c’era un orario prestabilito, né veniva definito “a quanto” si dovesse arrivare: a cinque, a dieci reti, e così via.

No, niente di tutto ciò. Se la mia squadra era sotto, si giocava fino a remuntada completata. Anche a costo di fare notte.

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Per qualche spicciolo in più

Comodo, per voi indivanados, saltare da un canale all’altro e sparare sentenze a destra e a manca brandendo il telecomando come un machete, lo sguardo schifato di chi non ne può più del letame che sale, una voglia irresistibile di Mojito per non pensarci. Non questa sera almeno, ché l’happening mi aspetta. Domani, forse.
Facile, anche per voi indignados, sventagliare a raffica sui social, o fare caciara davanti a parlamenti, sedi di partiti e sindacati, aziende che licenziano: per strada o sui tetti, incazzati bestia per il lavoro che non c’è, la benzina che aumenta, le bollette da rateizzare, lo Stato che s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità.

La fate semplice, voi col sopracciglio alzato e il ditino puntato, per quattro spiccioli spesi dai gruppi politici della Regione Calabria in attività istituzionali. Sono i costi della politica, bellezza. Perché la democrazia non è star sopra un albero, giusto? Bisogna darsi da fare, battere le strade, andare tra la gente: tutte attività che non sono a costo zero. Sono soldi spesi per la collettività: perché ciascuno di voi, rientrando a casa, possa rilassarsi, consapevole che qualcuno si sta occupando del bene comune.
Voi, invece, no: non riuscite a comprendere un’evidenza lapalissiana. Tutti a correre appresso alle rivelazioni a puntate di Giuseppe Baldessarro sul “Quotidiano della Calabria”. Tutti con la monetina in mano, come davanti al Raphael. O col cappio già pronto, roteante come un lazo della Pampa. Tricoteuses sferruzzanti sotto il palco della ghigliottina.

E giù con “Rimborsopoli” e l’ennesima vergogna dei nostri politici. Ogni nome uno scontrino, una fattura, un buono acquisto. Una solerzia che andrebbe premiata, altroché. Non c’è scandalo: venghino, signori venghino.

Viaggi, pernottamenti, pranzi al ristorante per 30, 40, 90 ospiti. Crepi l’avarizia. Set di valigie da mille e passa euro, perché partire è un po’ morire, se non ti porti appresso il necessario e se quel necessario non viene sistemato in trolley top class. Biglietti di auguri, argenteria varia e regalini perché – vivaddio – non siamo bifolchi cresciuti nelle caverne, ma persone a modo, che sanno fare “i doveri” come ogni cristiano degno di questo nome. Giornali, perché va bene la rassegna stampa, ma vuoi mettere l’odore dell’inchiostro delle rotative ancora fresco?

Prime colazioni. Certo. Anche i settanta centesimi di un caffè. Da quando in quando è diventato osceno tutto questo? Non so voi, ma io senza caffè al mattino non riesco a mettere a moto il cervello. Mentine e caramelle sono indispensabili: la gente ti perdona l’ignoranza della Costituzione; mai e poi mai ti perdonerebbe un alito agghiacciante tipo fogna di Calcutta.
Le multe per eccesso di velocità, cari i miei Savonarola, sono la prova inconfutabile del lavoro di un politico in favore dei cittadini che rappresenta. Si va di corsa per non perdere tempo nella soluzione dei tanti problemi che affliggono la nostra martoriata terra. Se non è attività politica e istituzionale questa, ditemi voi quale possa esserlo.

E per favore, basta con questa storia del gratta e vinci: bisogna rischiare qualche investimento se si vuole rilanciare l’economia. Vi ha dato fastidio anche l’acquisto di film o partite su Sky: ma avete idea della noia degli alberghi a cinque stelle? Suvvia, finiamola con questo grillismo a buon mercato; basta con la questione morale, buona soltanto per rimediare sul piano etico al fallimento di tante inchieste giudiziarie. La politica è l’arte del possibile, non la scala per il cielo.

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L’exploit di Gino Trematerra

Soddisfazioni. Per esempio, sentirsi degnamente rappresentati. Nel consiglio regionale, al Parlamento italiano, a quello europeo. Perché i nostri politici sanno sempre distinguersi. Hai voglia a pensare che, in fondo, gli altri ci sopportano a stento, con la tipica puzza sotto il naso di chi avverte un evidente senso di superiorità per quattro “straccioni” che contano quanto il due di coppe quando cade a bastoni.
E invece no. Arriva Gino Trematerra e riscatta un’intera classe politica. Di più. Un’intera regione.
Fresco incoronato “assenteista d’oro” (solo il 35% di presenze alle sedute del Parlamento europeo, secondo la classifica pubblicata da Andrea D’Ambra), l’europarlamentare dell’Udc si è trovato suo malgrado coinvolto nell’edificante vicenda che ha visto protagonista il collega Raffaele Baldessarre (Pdl), beccato con le mani dentro il vasetto della marmellata da un giornalista “ienista” di una televisione olandese.
Baldessarre stava “soltanto” certificando la propria presenza ai lavori del Parlamento, alle 18.30 (!), in modo da poter riscuotere i 300 euro di diaria che altrimenti non gli sarebbero stati corrisposti.
Non sia mai.
Nella baruffa che ne è seguita (“I don’t understand” e “non capisco”, l’arrogante arrampicata sugli specchi di Baldassarre), con tanto di tentativo di aggressione al giornalista, il “calmi, calmi” di Trematerra ci ha rassicurati. Davvero.
I nostri politici sanno sempre da che parte stare. Scopelliti difende a spada tratta uno condannato per reati che dovrebbero fare cadere la faccia. L’ex ministro Fabrizio Barca scaglia un siluro contro il Pd regionale, commissariato da tempo immemorabile e in mano a pochi “capibastone”. Sel (la vicenda della federazione provinciale reggina è emblematica) non ha dubbi nello scegliere vecchi arnesi e vecchi metodi, spingendo fuori dal partito, di fatto, una nuova classe politica ancorata ai bisogni del territorio e proiettata nel futuro. Tutto il resto è noia.

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La giustizia secondo Gelmini

Maria Stella Gelmini, in riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale che ha respinto il legittimo impedimento chiesto dai difensori di Berlusconi nel processo Mediaset, ha pavloviamente dichiarato: “La giustizia va amministrata in nome del popolo, non contro il popolo o per correggere il popolo”.
L’illuminata dichiarazione è stata quindi integrata da un pippone sulla gravità di una decisione che mina il principio costituzionale della separazione dei poteri: la consueta solfa sulla magistratura che interviene a gamba tesa per sovvertire il risultato delle elezioni e della volontà popolare.
Due considerazioni.
La prima. Come si dice dalle nostre parti, “non ci vuole la zingara” (né, tanto meno, una sentenza della Corte Costituzionale) per capire che per Berlusconi, da 20 anni, l’impegno prioritario è la ricerca di un modo per sfuggire alla giustizia, processando a sua volta i processi o facendoli processare dai suoi giornali e dalle sue televisioni: il “metodo Boffo” sulle pagine del quotidiano di famiglia, La guerra dei venti anni in prima serata sulla rete ammiraglia dei canali Mediaset o l’intervista di Alfonso Signorini alla “nipote di Mubarak” nel programma Kalispera andrebbero studiati in tutte le scuole di giornalismo, come esempio negativo su cosa “non fare” se si vuole essere un buon giornalista e non un killer al soldo del proprio datore di lavoro.
Un’attività dispendiosa sotto ogni profilo, che ha coinvolto i ministri fatti accomodare, di volta in volta, sulla poltrona più scottante di via Arenula e gli onorevoli “nominati” nei due rami del Parlamento. Spesso con esiti apprezzabili per il Cavaliere, come testimoniano le leggi ad personam che hanno determinato la depenalizzazione o la prescrizione di qualche reato.
Seconda osservazione. Trovo semplicemente aberrante l’idea – ancor più perché espressa da una parlamentare ex ministro della Repubblica – che consenso possa essere sinonimo di impunità. Utilizzare il voto come una clava è uno sport molto praticato dalle parti di via dell’Umiltà, dove non si perde occasione per sostenere l’argomento specioso che gli “italiani vogliono Berlusconi”, al di là del merito dei suoi guai giudiziari: in fondo – si argomenta – “i problemi sono altri”; e poi, contro il voto popolare non c’è sentenza di tribunale che tenga.
La stagione politica di Berlusconi volge al tramonto. Su questo si è abbastanza concordi anche nel centrodestra. Il guaio sarà smaltire le tossine di venti anni di berlusconismo.

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19 maggio: una data, una donna di nome Silvia Baraldini

Associo la data del 19 maggio a Silvia Baraldini, l’attivista condannata nel 1983, negli Stati Uniti d’America, a 43 anni di carcere senza avere mai partecipato a fatti di sangue. Una pena sproporzionata per il reato di “sovversione”, ottenuta sommando diverse condanne, dal concorso in evasione, alla progettazione di due rapine (mai effettuate), all’ingiuria contro la corte.

Silvia Baraldini si era formata nel movimento sessantottino fiorito nei campus universitari americani ed era stata protagonista delle marce per i diritti dei neri statunitensi, contro la guerra del Vietnam e per i diritti delle donne.

Divenne poi leader dell’organizzazione comunista “movimento 19 maggio” (“May 19th”), che rievocava la data di nascita di Malcom X e di Ho Chi Minh, un gruppo appartenente alla galassia della sinistra radicale, fiancheggiatore del “Black Panther Parthy”.

Un vasto movimento di sostegno per il rimpatrio in Italia si sviluppò dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, dovuto a un doppio intervento per l’asportazione di un tumore cui Silvia Baraldini dovette sottoporsi mentre era in carcere. Risale a questo periodo la bellissima Canzone per Silvia, di Francesco Guccini (1993).

La richiesta di applicazione della Convenzione di Strasburgo per il trasferimento in Italia della condannata non ebbe seguito fino al 1999, quando l’allora Guardasigilli Oliverio Diliberto riuscì ad ottenere l’estradizione, in cambio della garanzia che la condannata avrebbe scontato per intero (fino al 2008) la pena. In realtà, dopo la concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute, nel 2001, Silvia Baraldini beneficiò dell’indulto del 2006 e, da allora, vive a Roma da cittadina libera.

Il mio ricordo personale non è legato tanto all’adesione alla campagna di sostegno per la sua liberazione (conservo ancora la t-shirt acquistata alla Festa di Liberazione a Reggio Calabria, con la scritta “I run for Silvia”), quanto a un prezioso (almeno per me) biglietto che mi inviò da Rebibbia non appena ricevette il libro che le avevo spedito (“Il ’68 a Messina”: in pratica, la pubblicazione della mia tesi di laurea):

Roma, 27 febbraio 2000

Caro Domenico,
ti ringrazio per il libro che ho sfogliato ma non ancora letto. L’impatto delle lotte di quegli anni ha cambiato tantissime persone, me inclusa. È importante continuare a sottolineare la vasta partecipazione e le motivazioni anti-imperialistiche che l’hanno alimentata.

Silvia Baraldini

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Bilancio di un anno: intervista al sindaco Domenico Creazzo

Il 7 maggio 2012 la lista “LeAli al Paese” vinceva le elezioni comunali e Domenico Creazzo diventava sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte. A un anno di distanza, incontriamo il sindaco nel suo ufficio al primo piano del Palazzo municipale per stilare il bilancio di un anno di attività amministrativa.

Un anno dopo, a che punto è l’amministrazione comunale con la realizzazione del programma con il quale la lista “LeAli al Paese” si è presentata alle elezioni?

Le linee programmatiche sulla base delle quali siamo stati votati dai nostri concittadini rappresentano la nostra stella polare. Quei punti orientano le nostre scelte amministrative e della loro realizzazione dobbiamo prioritariamente rendere conto agli eufemiesi.

Abbiamo iniziato con l’istituzione della De.C.O. (denominazione comunale di origine) per la patata di Sant’Eufemia, un prodotto tipico del nostro territorio sul quale stiamo puntando molto. Sant’Eufemia è un paese a vocazione agricola: la chance più importante di sviluppo economico può venire soltanto dall’agricoltura. Studiare il territorio e proporre politiche adeguate a quel territorio. Questo deve essere il compito di amministratori seri. Sembra semplice, ma non lo è nel concreto. Anche perché l’amministrazione comunale può impegnarsi per favorire condizioni migliori di sviluppo, ma i protagonisti ultimi devono essere i cittadini, in questo caso gli imprenditori agricoli. La chiave di tutto è la sinergia, la collaborazione tra amministrati e amministratori.

Un altro concetto sul quale avete molto insistito è quello della partecipazione.

Certo, e credo che stiamo rispettando la promessa. Va in questa direzione l’istituzione della Consulta, uno dei punti qualificanti del nostro programma, che abbiamo fortemente voluto e sul quale ci siamo impegnati sin dal primo giorno di insediamento. Il processo è ora avviato: abbiamo approvato il regolamento e invitato i cittadini a presentare la domanda di partecipazione, i cui termini scadono il 16 maggio. Le domande stanno arrivando: il nostro auspicio è che siano numerose. L’abbiamo detto in campagna elettorale e lo ribadiamo oggi: la democrazia senza partecipazione è un guscio vuoto.

Partecipazione è la Commissione “mensa” che abbiamo istituito e che sarà operativa dal prossimo anno scolastico, al fine di evitare disguidi o incresciose dispute sulla qualità del servizio.

Partecipazione significa consigli comunali aperti per questioni che interessano la società eufemiese, come è accaduto di recente dopo il danneggiamento dell’automobile del dirigente scolastico Giovanni Geresia.

Partecipazione è la grande adesione riscontrata presso gli esercenti commerciali e i privati cittadini per l’iniziativa “adotta un’aiuola”. Segno che la comunità, se sollecitata, sa dare risposte positive e costruttive.

L’amministrazione comunale cerca il confronto con la società civile per riuscire a trovare una sintesi tra teoria e pratica. Il futuro di Sant’Eufemia passa dalla consapevolezza che occorre individuare, sempre, le vie praticabili per riuscire a raggiungere ciò che vogliamo raggiungere.

Nel primo anno avete realizzato diverse iniziative culturali.

Sì, stiamo investendo molto sulla cultura e abbiamo già realizzato iniziative molto interessanti: “Pagine risorgimentali”, con la commemorazione del 150° anniversario dei fatti d’Aspromonte; “Pagine di democrazia”, con la presentazione del libro dell’assessore regionale Mario Caligiuri (La formazione dell’élite); “Pagine di memoria”, sulla tragedia della Shoah; “Pagine di storia eufemiese”, con il convegno su Nino Zucco e l’inaugurazione della pinacoteca comunale. Grazie a un contributo dell’Ente Parco è stato possibile bonificare l’area archeologica di Serro di Tavola, a costo zero per il comune. Ciò ha determinato inoltre l’instaurazione di proficui rapporti con la Sovrintendenza per i beni culturali e con la Regione Calabria, che ha riconosciuto Serro di Tavola zona di interesse archeologico.

La cultura è alla base di tutto. Anche se non dovessimo avere riscontri immediati, siamo certi che a lungo termine una parte rilevante della comunità eufemiese sarà sensibile ai temi culturali e ciò avrà risvolti positivi, per esempio per quanto riguarda i temi della legalità.

A questo proposito, sottolineo la nomina del responsabile della Polizia municipale: per fare rispettare le regole non bastano vuote parole o la demagogia delle occasioni più o meno ufficiali; servono gesti concreti come la nomina del comandante Emilio Paturzo. Anche se a qualcuno è potuto sembrare impopolare, questo provvedimento sarà invece occasione di crescita per la comunità. Anche l’arrivo di un mezzo antincendio che, su mia espressa richiesta, la Protezione civile ha assegnato al nostro comune (in tutto, sedici a livello regionale) e la brillante simulazione di intervento realizzata nei giorni scorsi, spiegano meglio delle parole l’impegno di questa amministrazione sul tema dell’educazione civica.

Come sta affrontando l’amministrazione il crescente disagio economico di un consistente numero di famiglie?

La crisi economica diventa ogni giorno più grave e spesso ci si trova disarmati e non attrezzati a dare risposte adeguate. Ci stiamo impegnando con i progetti realizzati in collaborazione con l’Agape e con l’oratorio parrocchiale, ma abbiamo anche impiegato somme del bilancio per buoni spesa e contributi economici ai nuclei familiari più disagiati. Ci rendiamo conto che a volte si tratta di una goccia nell’oceano, ma spesso quella goccia è un’àncora alla quale aggrapparsi.

Abbiamo regolamentato e incrementato il servizio scuolabus, che è passato da 66 a 120 cartellini, e abbiamo sensibilmente abbassato la tariffa della mensa scolastica, che a seconda della tipologia delle famiglie può comportare fino a 300 euro annui di risparmio.

Sant’Eufemia è tra i comuni che meno hanno sofferto l’emergenza rifiuti. Tuttavia, il problema non è stato risolto e, prima o poi, il rischio del collasso per il sistema regionale di smaltimento si ripresenterà. Come pensa di muoversi la tua amministrazione per il futuro?

Preliminarmente, credo sia bene illustrare la situazione che abbiamo trovato al nostro arrivo. Sant’Eufemia faceva parte del Consorzio di Piana Ambiente: appena insediati ci siamo ritrovati con il paese invaso dalla spazzatura e con cinque discariche a cielo aperto: contrada Peras; via De Nava, nei pressi del 118; contrada Badia; nei pressi della Stazione; fontana Pirina. Pagavamo 25.000 euro al mese per il servizio di raccolta dei rifiuti, ma quando – dopo dieci giorni – ci siamo resi conto che Piana Ambiente non era più in grado di svolgere il servizio, l’abbiamo diffidata e successivamente abbiamo rescisso il contratto. Data la situazione di emergenza, la legge ci permetteva di affidare il servizio a un’altra ditta, a patto di non superare il costo di 25.000 euro. Da un calcolo effettuato dall’ufficio tecnico abbiamo accertato che sarebbero stati sufficienti 18.000 euro.

Abbiamo quindi preparato un bando di gara che la Sear Srl si è aggiudicato e che ci ha pertanto consentito un notevole risparmio.

Il sistema però va completamente riformato. Dopo diverse riunioni sul tema, ci siamo impegnati per la differenziata porta a porta. Sappiamo bene che la raccolta differenziata è il futuro, ma sappiamo anche che per farla funzionare bene il territorio necessita di supporti esterni adeguati: isole ecologiche e strutture in grado di retribuire i comuni che conferiscono i rifiuti differenziati. Paradossalmente, se dovessimo passare ora al porta a porta, sarebbe il comune a dovere pagare 36.000 euro mensili per lo smaltimento dei rifiuti. Per tale motivo, a breve sigleremo una convenzione per l’istituzione di un consorzio tra i comuni di Sant’Eufemia, Sinopoli, San Procopio, Melicuccà e Seminara. Quindi, grazie al contributo della Provincia e al suo supporto tecnico, sarà realizzata un’isola ecologica. Si potrà così arrivare al quantitativo di materiale differenziato necessario per accedere al contributo ambientale del Conai (Consorzio nazionale imballaggi), garantendo così ai comuni una retribuzione sulla base del differenziato singolarmente prodotto. In questo modo la raccolta differenziata sarà sostenibile. Al fine di educare i cittadini alla differenziata, nell’immediato contiamo di riuscire a fare appaltare l’avvio della raccolta porta a porta, in via del tutto sperimentale, soltanto per alcune zone del comune.

Voglio inoltre sottolineare un altro aspetto importante. Il comune si è infatti richiamato alla normativa che obbliga la società aggiudicataria alla riassunzione degli operai di Piana Ambiente che svolgevano il servizio nel nostro comune, per cui saranno mantenuti anche i posti di lavoro del passato.

Il taglio dei trasferimenti statali ha provocato la dura presa di posizione degli enti locali, che da tempo hanno denunciato il rischio di dovere chiudere. Qual è la situazione economica del nostro comune?

Il Comune di Sant’Eufemia è abbastanza solido e non corre rischi economici di rilievo. Abbiamo avuto sì dei tagli, come tutti gli enti locali, ma va detto che abbiamo ereditato una situazione di cassa positiva, certificata da un avanzo di amministrazione pari a 409.000 euro nel consuntivo 2012.

Voglio sottolineare che, nonostante i tagli dei trasferimenti statali, nel conto consuntivo 2013 l’avanzo sale a circa 419.000 euro, anche se l’esistenza di vincoli di spesa non ci consente di spendere per come vorremmo.

Consentimi però di dire qualcosa sul funzionamento della macchina amministrativa.

Prego.

Viviamo in un momento di ristrettezze economiche e di cambiamenti legislativi, per cui siamo spesso chiamati ad adeguarci a ciò che ci viene imposto a livello centrale. Da un lato, non tutto quello che vorremmo fare si può fare; dall’altro, siamo come un’automobile di piccola cilindrata che non può avere le prestazioni di una berlina. Però i dipendenti comunali stanno tutti dando il massimo e voglio qui ringraziarli pubblicamente per la disponibilità che hanno dimostrato sin dal primo giorno del mio insediamento. Dire che i nostri operai non fanno niente, è quanto di più falso si possa sostenere. Carte alla mano, rispetto al passato gli operai comunali hanno raddoppiato gli interventi.

Nel contempo, occorre però ribadire che l’amministrazione comunale farà di tutto per salvaguardare i diritti di tutti e non del singolo: nel caso in cui ciò non dovesse avvenire, non avremo alcun problema ad adottare provvedimenti conseguenti. Che nessuno si senta intoccabile: il fine ultimo deve essere l’interesse dei cittadini. Non abbiamo bisogno di grigi burocrati, ma di protagonisti attivi per la crescita del paese ispirati da un’unica finalità: quella di essere al servizio della collettività.

Alcuni giudicano l’operato di un’amministrazione comunale dai lavori pubblici che riesce ad appaltare. Qual è la situazione attuale?

Quando si parla di lavori pubblici, bisogna considerare anche l’aspetto burocratico, che non è affatto secondario. Difatti, spesso i risultati si vedono nel lungo termine, perché ci sono dei tempi burocratici inevitabili.

Sulla viabilità comunale abbiamo ad esempio beneficiato l’anno scorso di un finanziamento di 200.000 euro ed entro il 19 giugno dovremo fornire alla regione il progetto definitivo. Per quanto riguarda l’isola ecologica, al nostro insediamento abbiamo incontrato ostacoli burocratici che hanno rallentato l’iter per mandare in appalto il lavoro e che poi siamo riusciti a superare.

Abbiamo inoltre reperito 75.000 euro di economie che andranno ad ultimare la strada Peras, mentre dovremmo finalmente essere riusciti a risolvere l’annosa questione relativa alla sede del liceo scientifico, grazie all’approvazione (all’unanimità) di una convenzione con la Provincia: il comune dà in concessione la struttura dell’ex scuola elementare situata al rione “Purgatorio” e la Provincia si impegna a costruire il nuovo liceo scientifico.

Per la scuola materna, un bando di gara di 1.250.000 euro finalizzato alla prosecuzione dei lavori si trova alla Suap, dove a breve invieremo anche il progetto definitivo per il completamento del centro polisportivo, per un importo di 900.000 euro. Progetto che non è stato ancora possibile mandare in appalto perché prima occorre risolvere alcune questioni legali, relative ai terreni espropriati, dovute a una non ottimale precedente gestione burocratica e che comporteranno delle spese per il comune.

Abbiamo inoltre approvato e inviato all’Ente Parco un progetto per la costruzione di un nuovo serbatoio in contrada Lanzo e, entro l’11 luglio, presenteremo il progetto che realizzerà il completamento della palestra della scuola elementare.

Purtroppo, qualche eredità negativa l’abbiamo avuta. Tralasciando il fatto che, appena insediato, mi sono ritrovato con il comune soccombente in una causa civile, che ha comportato un esborso di 60.000 euro, è bene che i cittadini sappiano che il comune entro agosto dovrà impegnare dei fondi per accatastare tutti gli immobili comunali costruiti negli anni passati. Ad oggi nessun immobile, Palazzo municipale compreso, è infatti accatastato. Ritardi incomprensibili, come quello dell’assegnazione del piano di sicurezza sul lavoro, obbligatorio del 2001.

Per fare un altro esempio, il 18 maggio si potrà finalmente disputare una partita di calcio a cinque nel campetto situato nei pressi della stazione, a sette anni dalla sua inaugurazione ufficiale!

Hai mai pensato “chi me l’ha fatto fare? ”. O rifaresti tutto?

L’ho ribadito di recente, nell’intervento svolto in occasione del convegno su Nino Zucco. Da un punto di vista razionale, per l’interesse della mia famiglia e della mia professione, a me non “converrebbe” (per usare un termine crudo) fare il sindaco. Tuttavia, il pensiero che questa mia scelta possa essere utile per il bene del mio paese mi spinge ad essere certo che, così come l’ho fatto, lo rifarei e se necessario lo rifarò.

Chiudi gli occhi e riaprili tra quattro anni. Cosa vorresti vedere?

Mi auguro di riuscire a completare il programma e di mantenere l’impegno assunto nei confronti degli eufemiesi. Spero di avere ancora, nell’ultimo giorno di mandato, la stessa identica attestazione di affetto che mi è stata rivolta nel momento in cui sono stato eletto. Sarebbe questa per me la migliore gratificazione e la certificazione che ho bene operato.

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