Al voto, al voto

È stata una campagna elettorale dai toni eccessivi, a tratti violenti, nei quali in molti non possono riconoscersi. Ma i tempi sono questi. Tempi di gente incazzata perché non ha lavoro, sempre di più neanche da mangiare, e perché i segnali che arrivano dal mondo politico sono spesso quelli di una casta autoreferenziale che vive sul suo personalissimo pianeta, incurante dei problemi che stanno bruciando generazioni di italiani. Convinti che “niente cambierà”, da diverse votazioni sono in tanti a rifugiarsi nell’astensionismo o nel voto in favore di chi promette che manderà tutti a casa, magari con un cartello attaccato al collo, come in ogni guerra civile che si rispetti. Ma la politica non può essere solo rabbia, con quella non si riuscirà mai a governare processi complessi che la semplificazione del “dovete sparire tutti” riduce a tumori da estirpare. Non mi affascinano i tribunali rivoluzionari di giacobina memoria, l’idea di processi di piazza, gogne mediatiche e sputi “virtuali”.

Si è così finito per parlare poco di Europa, mentre invece è solo dentro questa istituzione che possiamo avere un futuro e sperare in una ripresa agganciata, ad esempio, alle molte opportunità garantite dall’utilizzo dei fondi europei. Per cui la questione è riuscire a sfruttare queste occasioni, non uscire dall’Euro. Il processo di unione europea ha visto l’Italia protagonista assoluta e non c’è proprio niente da vergognarsi nel ricordare che questa Istituzione ha garantito pace e libertà laddove c’era una guerra ogni trent’anni. Sbaglia chi pensa che la storia non potrebbe ripetersi.

Certo, l’Unione Europea va cambiata. Proprio per questo è importante andare a votare e cercare di mandare a Bruxelles rappresentanti competenti. Serve un voto contro gli avversari più insidiosi: l’astensionismo e il populismo. Serve innanzitutto partecipare, che è il sale della democrazia.

Ovviamente confido in una buona affermazione del Partito Democratico, che con tutti i suoi difetti (sui quali a volte piace indugiare, anche troppo, in primis ai suoi elettori), si sta dimostrando forza politica affidabile e responsabile. In questo difficile e convulso tornante della vita politica italiana, il Pd ha garantito stabilità e impedito pericolosi salti nel buio. Questo gli va riconosciuto, insieme allo sforzo concreto per realizzare le riforme strutturali da decenni auspicate.

Un’ultima considerazione, in chiave prettamente locale e senza alcuno spirito polemico, per i promotori del Comitato per il mantenimento dello svincolo. Anche alle elezioni politiche dell’anno scorso, l’idea di chi organizzò il ritiro delle tessere elettorali era far sì che il prefetto si chiedesse il perché della scarsa affluenza alle urne. Per l’elezione della Camera dei Deputati votarono 1.156 elettori su 3.075 aventi diritto, ma non mi risulta che i sonni del prefetto o di altri siano stati da ciò minimamente turbati.

Buon voto a tutti.

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Un cinghiale ferito non può far cambiare verso all’Italia

È successo che Renzi ha pensato bene di cominciare a “cambiare verso” all’Italia nominando sottosegretario alle Infrastrutture il senatore Tonino Gentile, da giorni nell’occhio del ciclone per la storiaccia delle pressioni al quotidiano “L’Ora della Calabria” per silenziare la notizia dell’inchiesta sugli incarichi legali all’Asp di Cosenza, che coinvolge il figlio Andrea.
È successo che, con sprezzo del ridicolo, esponenti di primo piano del Ncd calabrese hanno fatto a gara nell’esprimere soddisfazione e giubilo per la nomina del “cinghiale che se ferito ammazza tutti”: da Luigi Fedele a Nazzareno Salerno, da Daniele Romeo a Giuseppe Scopelliti. Senza imbarazzo alcuno.

È successo, questo ormai è evidente a tutti, che esiste un rapporto perverso tra stampa e politica che andrebbe spezzato. Perché un giornalismo sotto ricatto non potrà mai svolgere il ruolo di cane da guardia della democrazia. E alla fine di questa nauseabonda vicenda, a pagare potrebbero essere soltanto i tanti ragazzi che tra mille difficoltà si fanno il mazzo per inseguire un sogno.
È successo che ci saremmo aspettata una reazione feroce da parte degli esponenti del partito democratico, il quale (salvo rarissime eccezioni) risulta “non pervenuto” sulla registrazione della telefonata tra lo stampatore, nonché presidente di Fincalabra, Umberto De Rose e l’editore di “L’Ora della Calabria” Alfredo Citrigno. Imbarazzato ma taciturno, invece, sulla nomina di Gentile.

È successo che è impossibile che Renzi non sia stato informato su quel che è accaduto in Calabria nell’ultima settimana. Se, nonostante tutto, ha preferito piegarsi al diktat del suo alleato di governo, vuol dire che siamo di fronte all’ennesimo bluff. Ma sulle questioni di principio non si può esitare: la libertà di stampa è un principio costituzionale da difendere senza se e senza ma. Ad ogni costo. Punto.

Non ci sono altre strade per rimediare allo sdegno, all’imbarazzo, al disorientamento provocati da una scelta così spudorata: Gentile deve andare a casa perché, al di là degli eventuali risvolti giudiziari della vicenda che lo vede coinvolto, la sua presenza in un esecutivo che si definisce di rottura rispetto al passato non è opportuna. E i rappresentanti democratici calabresi in Parlamento, senza distinzione di corrente, devono assumere una netta posizione di intransigenza. Fino a quando non ci saranno le dimissioni o non verrà ritirata la delega a Gentile, dovranno togliere il sostegno al governo Renzi.
Se proprio non si riesce a cambiare verso, almeno si cominci a cambiare andazzo.

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Ricognizione sulla fiducia

Sul suo blog, Pippo Civati invita gli elettori del partito democratico ad esprimersi sul cambio di governo, attraverso un “questionario-ricognizione” e intervenendo “virtualmente” all’assemblea di democratici che si terrà a Bologna: non più di mille battute per motivare un sì o un no all’esecutivo guidato da Renzi (“Ricognizione sulla fiducia. Cosa ne pensate?”). Di seguito, le ragioni del mio sì alla fiducia al nuovo governo. Con i limiti che la sintesi comporta.

La fiducia va votata. Turandosi il naso e mordendosi la lingua. Nell’attuale situazione non c’è alternativa: questione di responsabilità, serietà, maturità. Ma anche per dare una risposta, prima di tutto a se stessi, su come si intende agire per incidere nelle scelte di partito e di governo, e non fare solo testimonianza.
Esiste un dato, imprescindibile: il gruppo Civati è minoranza. E in politica i numeri contano. Oltretutto, siamo nell’arte del possibile, non dimentichiamolo, non tra i vicoli di Utopia. Per cui, mettiamoli e mettiamoci alla prova, con spirito propositivo, tentando di spostare a sinistra la barra del governo con gli strumenti parlamentari di cui disponiamo.
La fuoriuscita dal partito non è scelta lungimirante. Si farebbe la figura del bimbo sconfitto che, per ripicca, abbandona il campo portandosi dietro il pallone. Ovviamente, la nostra non deve essere una cambiale in bianco, ma una verifica quotidiana. Se tra sei mesi o un anno dovessimo ritenere negativo il saldo, allora ne trarremo le necessarie conseguenze. Dopo, però. Prima occorre andare a vedere la mano di carte di Renzi e giocarsi bene le proprie.

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Prima la politica

Come spesso accade per le cose del partito democratico, le primarie che avrebbero dovuto eleggere il nuovo segretario regionale in Calabria hanno registrato una coda inattesa. Neanche tanto, a dire il vero, considerato che già alla vigilia era data come altamente probabile l’eventualità che nessuno dei quattro candidati raggiungesse la maggioranza assoluta dei delegati. Cosa che puntualmente si è verificata. A norma di regolamento, la palla passa all’Assemblea. Non senza qualche coda polemica. Magorno contro Canale. Con il primo che si è fermato a soli due delegati dai 151 necessari per avere la maggioranza. E con il secondo che può a ragione ritenersi soddisfatto. Checché se ne dica, dall’altra parte c’era schierata la stragrande maggioranza dell’establishment dei vecchi democrats, politici di lungo corso ritrovatisi incidentalmente renziani a braccetto, anche fuori dalle insegne di partito, con coloro che più hanno da temere dall’affermazione di uomini e metodi nuovi: Sandro Principe, Marco Minniti, Mario Pirillo, Agazio Loiero, Luigi Incarnato, Peppe Bova, Antonio Borrello, truppe cammellate delle più svariate fogge. Avere impedito a Magorno una vittoria al primo turno, nonostante l’impari lotta contro questi vecchi volponi, per Canale è già una vittoria. L’altro dato a mio avviso confortante riguarda la provincia di Reggio Calabria, dove Canale (54%) ha stracciato l’avversario (45%) nonostante lo sforzo collettivo compiuto da tutti i big (esclusi Nino De Gaetano e Sebi Romeo) per contrastarne l’affermazione. Merito della novità della proposta, colta in particolare da quei giovani che hanno permesso gli exploit di Rosarno, Palmi, Bagnara, Siderno e, a leggere bene le situazioni, anche Gioia Tauro. Il futuro è segnato. Ritorni al passato, almeno in provincia di Reggio, non ce ne saranno. E questa è una prospettiva davvero interessante. Una prima, vera, vittoria.

Ora occorrerà ricomporre i cocci della campagna elettorale, stemperare i veleni di situazioni non limpidissime (Diamante e Belvedere Marittimo), ricercare un’unità di intenti che è indispensabile per affrontare con fiducia le prossime sfide: Europee, Comunali, Regionali.

Il 22 febbraio alle 16.30 Canale riunirà presso l’Hotel Euro Lido di Falerna i delegati, gli amministratori, i segretari di circolo e i sostenitori della sua lista per elaborare la proposta politica da presentare all’Assemblea. Un’altra storia deve necessariamente iniziare dai contenuti, non dalla conta congressuale. Da qui lo slogan #primalapolitica con il quale Canale ha lanciato l’evento.

Come circolo “Sandro Pertini” di Sant’Eufemia, cercheremo di dare il nostro piccolo contributo anche in questa occasione. L’abbiamo fatto giorno 16 con i 130 voti attribuiti a Canale, per i quali grande merito va ai compagni e amici Mario Surace, Enzo Fedele, Peppe Gentiluomo e Pasquale Napoli. E speriamo di continuare a farlo nelle sedi deputate, a partire dal coordinamento della Piana. Perché o la politica parte dal basso, o è altro.

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Con Massimo il Pd cambia Canale

Alle primarie per l’elezione del segretario regionale del partito democratico, domenica 16 febbraio, voterò per Massimo Canale. Una decisione, va detto, non influenzata da logiche geografiche o di campanile. Voto Canale non perché dei quattro in lizza è l’unico candidato proveniente dalla provincia di Reggio Calabria. Se così fosse, una banale scelta di opportunità e non di merito, si ricadrebbe negli errori del passato, nel localismo e nel personalismo che hanno determinato quattro devastanti anni di commissariamento. La ragione fondamentale è un’altra ed è serissima, perché ha a che fare con il futuro del Pd in Calabria, con il progetto di una nuova visione del rapporto tra partito e società.

La candidatura di Canale archivia antichi steccati correntizi e di campanile, non soltanto perché sostenuta trasversalmente da renziani, cuperliani e civatiani. Ciò che la distingue dalle altre proposte è l’apertura a tutta un’area storicamente di sinistra ma non iscritta al Pd, spesso molto critica nei confronti dei democrats, che in Canale vede il riferimento alto e rappresentativo dei movimenti, dell’impegno civico, della contrapposizione frontale al “modello Reggio”. D’altro canto, Canale ha già ampiamente dimostrato di riuscire ad intercettare consensi fuori dal recinto partitico, come attesta quel 10% in più ottenuto rispetto alle liste che sostenevano la sua candidatura a sindaco contro Arena. Non un grigio burocrate di partito, bensì l’espressione più avanzata della lotta politica e culturale contro la gestione scopellitiana del potere, che nelle primarie “aperte” (alle quali, cioè, potranno partecipare anche i non iscritti al partito) può ritrovare una buona occasione per manifestarsi.

Canale rappresenta ciò che fino ad ora il Pd non è mai stato. L’entusiasmo e la spinta di una massiccia componente giovanile nascono proprio dall’aspettativa di un partito aperto a quanto di meglio offre il territorio. Nascono dalla sensazione di avere finalmente aperto le finestre delle segreterie per farvi entrare aria fresca. Nascono dalla promessa di un nuovo protagonismo agli amministratori locali, perché un partito che si ricorda di esistere solo quando c’è da racimolare qualche voto per questo o per quel candidato non ha ragione di esistere.

Infine, non va sottovalutato un aspetto solo apparentemente secondario. Il partito democratico calabrese, lacerato dai veti incrociati e dalle primarie fasulle del passato, umiliato dalla lotta fratricida per lo strapuntino personale a costo della mortificazione delle energie locali, per chiudere con quella stagione e rilanciarsi ha bisogno di un segretario a tempo pieno. Come Massimo Canale, che ha escluso una sua candidatura nei prossimi appuntamenti elettorali ed ha assicurato l’impegno esclusivo per la cura del rapporto con il territorio e l’ascolto delle sollecitazioni della base, nell’ottica di un partito che sia realmente cinghia di trasmissione tra società e istituzioni, periferie e centro.

Domenica 16 febbraio, dalle ore 8.00 alle ore 20.00, il circolo di Sant’Eufemia “Sandro Pertini” allestirà il seggio elettorale “Sant’Eufemia-Sinopoli-San Procopio” nella sala della biblioteca comunale, all’interno del palazzo municipale.

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Hooligans a cinque stelle

Non è moralismo condannare senza equivoche strizzatine d’occhio la violenza verbale dei grillini e il loro determinante e sistematico contributo all’imbarbarimento del dibattito politico. “Napolitano boia”, “boia chi molla”, tagliole e fischietti, il tentativo di aggredire fisicamente Laura Boldrini, “non torneremo in Aula pacificamente”, il Parlamento trasformato nella peggiore curva da stadio. Atteggiamenti irresponsabili e pericolosi. Perché nel “gioco” democratico, la forma diventa sostanza, specialmente nelle sedi istituzionali, luoghi “sacri” che non conoscono stanche liturgie, per usare una terminologia storicamente cara a chi, qui o altrove, ha sempre puntato a fare saltare il banco.

Nella House of Commons ai parlamentari inglesi non è consentito oltrepassare la linea tracciata sul tappeto di fronte ai propri banchi, né parlare direttamente ai colleghi, ai quali occorre invece rivolgersi in terza persona. Stranezze d’Oltremanica? No, regole della più antica democrazia parlamentare del mondo, solida anche per questi “dettagli” apparentemente formali.
Ancora: impedire di rilasciare dichiarazioni al capogruppo del partito democratico Roberto Speranza è squadrismo. Chi minimizza la violenza dell’azione dei cinquestelle si assume la responsabilità di avallare pericolosamente lo spostamento in avanti del limite oltre il quale la convivenza civile viene messa a repentaglio. E spostando spostando, per dirla alla Calamandrei, ci si ritrova senz’aria.
Sul piano concreto dell’azione politica, è bastato un anno di Parlamento per svelare il trucco della protesta grillina, che è essenzialmente una pratica onanistica.
Non è un caso che la tensione abbia raggiunto l’acme proprio nei giorni in cui si va profilando l’accordo su legge elettorale e riforma dello Stato. Che personalmente non apprezzo: ma il poco, alla fine, è meglio del niente, soprattutto quando la contrapposizione ha come esito la paralisi. All’ordine dato dall’approvazione di norme condivise dalla maggioranza delle forze politiche, i pentastellati contrappongo il disordine della bagarre. Perché sono stati costretti ad inseguire e perché sono in difficoltà quando gli altri “fanno”, pur con i limiti da molti evidenziati.
Respinto al mittente ogni invito a collaborare nella stesura delle riforme, per il movimento di Grillo e Casaleggio diventa strada obbligata il disco rotto “VE NE DOVETE ANDARE!”. Più che una linea politica, l’alibi per nascondere la propria inconcludenza.

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Piccoli comuni e rappresentanza nel ddl Delrio

L’atmosfera da guerra santa contro gli sprechi dei partiti e delle istituzioni rende impopolari considerazioni che non si concludano con il sacro richiamo alla cesoia. D’altronde, il vaso di Pandora scoperchiato da giornali e magistratura giustifica il crucifige urlato quotidianamente dalle Alpi alla Trinacria. La parola d’ordine è “tagliare i costi”. Un mantra, salvo poche eccezioni.

Massimo Acquaro osserva su Zoomsud che “l’assottigliamento della rappresentanza politica non è un bene in sé, al di là della facile demagogia contro la casta ed i suoi costi”. Il tema dell’articolo, spinosissimo, è quello della riduzione del numero dei consiglieri regionali in Calabria, che il governo Monti ha fissato a trenta e che il consiglio regionale, con un gesto di sfida, ha elevato a quaranta. Sulla questione, per l’11 febbraio è attesa la decisione della Corte Costituzionale.

Altra panacea di tutti i mali, l’abolizione delle province: per ragioni storico-politiche, preferirei l’abolizione delle regioni e il mantenimento delle province (ma questo è altro discorso). Sul disegno di legge “Delrio” (“Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni”), approvato dalla Camera il 21 dicembre 2013 (AC 1542) e attualmente in corso di esame nella Commissione “Affari costituzionali” del Senato (AS 1212) pende il parere negativo della Corte dei Conti, in quanto la riforma non rispetterebbe i criteri della “spending review”. Un giudizio accolto con favore dai sostenitori del mantenimento dell’ente intermedio, che però non dovrebbe impedire l’approvazione di un provvedimento per la verità poco chiaro proprio per quanto riguarda abolizione delle province, istituzione delle città metropolitane e ripartizione delle funzioni. Il ddl approvato dalla Camera assorbe infatti tre distinti atti: l’AC 1408, “disposizioni concernenti la composizione dei consigli provinciali e disciplina dell’elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale”; l’AC 1737, “modifiche al testo delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (…) e altre disposizioni concernenti i comuni di minore dimensione demografica, l’esercizio associato delle loro funzioni, nonché le unioni di comuni e la funzione dei medesimi”; l’AC 1854, “disposizioni transitorie in materia di province e città metropolitane”.

A mio avviso è invece una buona notizia, non un cedimento a interessi di parte, l’accoglimento delle proposte avanzate dall’Uncem in ordine alla rappresentanza dei piccoli comuni sintetizzate dall’emendamento “ripristina democrazia” confluito nell’articolo 21 del ddl, che stabilisce l’ampliamento dei consigli comunali: oltre al sindaco, dodici consiglieri e quattro assessori nei comuni compresi tra 3.000 e 10.000 abitanti; dieci consiglieri e due assessori nei comuni fino a 3.000 abitanti. Una sconfessione della furia iconoclasta dei governi Berlusconi (legge 42 del 26 marzo 2010) e Monti (dl 138 del 13 agosto 2011) che produsse il taglio o l’eliminazione degli assessori (abolizione delle giunte comunali nei comuni inferiori a 1.000 abitanti) e profonde sforbiciate alla composizione dei consigli comunali. Per citare l’esempio che riguarda Sant’Eufemia e i comuni con popolazione compresa tra 3.000 e 5.000 abitanti, la riduzione (da sedici) prima a dodici, poi a sette, del numero dei consiglieri comunali.

Il sale della democrazia è la partecipazione. Il male, la compressione della rappresentanza di persone, interessi e territori. Compito della politica è impedire che nel lavandino finiscano il bambino (rappresentatività) e l’acqua sporca (sprechi e privilegi).

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E Renzi sia

Prima di ogni analisi, consentitemi di esprimere un ringraziamento particolare. Anzi, 102 volte grazie. Che poi sarebbero di più, perché ai 102 votanti bisogna aggiungere chi ha espresso simpatia per quello che stiamo facendo, pur non potendo o non volendo ancora aderire. Va bene anche l’appoggio morale, il riconoscimento che si è fatto qualcosa di diverso rispetto al passato.

Ci eravamo posti come obiettivo 100 partecipanti alle primarie. La risposta c’è stata e ci induce all’ottimismo. È un punto di partenza, attorno al quale speriamo di riuscire a creare ulteriore consenso. Il seme piantato che, se annaffiato con cura, diventerà pianta.
Era importante ripartire, dato che da anni a Sant’Eufemia – di fatto – non ci sono più partiti, ma soltanto comitati elettorali a sostegno di questo o quel candidato che scompaiono il giorno dopo le votazioni. Nel farlo, circa un mese fa, avevamo fatto riferimento proprio alla gestione delle primarie per spiegare quella che è la nostra idea di partito e di politica: “Noi sentiamo il dovere di testimoniare la possibilità di un’altra strada: forse non ci sarà un’affluenza di 300, 400 o 500 elettori. Ma chi verrà, l’avrà fatto consapevolmente. E se nessuno dei candidati dovesse prendere il 100% dei voti, per noi sarà un motivo di soddisfazione” (qui l’articolo completo). Questo ci premeva maggiormente, ancor più dell’esito delle primarie.

Personalmente, non ho votato Renzi, che è stato il primatista anche a Sant’Eufemia con 79 preferenze. Ho scelto Civati, che considero più vicino alla mia idea di sinistra, al quale sono andati 15 voti (insomma, come segretario sono già in minoranza!). Ultimo classificato Cuperlo (8).

La chiave di lettura è molto semplice. L’uomo d’apparato (Cuperlo) per quanto persona seria e credibile aveva poche possibilità di affermazione. Per ciò che rappresenta, più che per quello che è. Intuisco facilmente che tra i sostenitori di Renzi c’è gente che forse non ha mai votato Pd e una buona fetta di vecchia nomenclatura saltata tempestivamente sul carro del vincitore, nel momento in cui si è capito da che parte tirava il vento. Ma non credo sia un buon esercizio per la democrazia snobbare i circa tre milioni di elettori che si sono recati ai seggi.

Il tiro al Pd è uno sport nazionale, anche perché i suoi dirigenti posseggono una notoria propensione alla rissa e al tafazzismo spinto. Però, nel panorama nazionale, è il partito con il più alto grado di democrazia interna. Per cui, non si affannino i facili e interessati censori di destra e di sinistra: quelli per cui prima il Pd era un partito di comunisti e ora è diventato un convento di democristiani; quelli che parlano di democrazia dei partiti e da due decenni stanno al guinzaglio del padrone di Arcore; quelli che non trovano nulla da eccepire nelle “purghe” di Grillo.

Non ho votato Renzi, ma da ieri sera Renzi è il mio segretario, la guida di un partito che mi auguro faccia della pluralità il suo punto di forza. Senza lacerazioni, né scissioni. Un partito inclusivo, nel quale vi sia spazio per Cuperlo, Civati e per la sinistra dei movimenti. Poiché sarebbe esiziale disperdere questo patrimonio, non posso che sottoscrivere l’appello di Romano Prodi, il quale con generosità e senso di responsabilità ha rivisto la decisione di non partecipare alle primarie (e ne avrebbe avuto tutto il diritto, dopo le 101 coltellate dell’aprile scorso): “Le primarie sono il momento dello scontro democratico, ma dopo lo scontro un partito deve mettersi insieme. Quello che io raccomando è che sia il vincitore sia quelli che perderanno abbiano l’obiettivo di fare una squadra, ovviamente diretta da chi ha vinto, ma con gli equilibri e le mediazioni che rendono forte un partito politico”.

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Le primarie del partito democratico a Sant’Eufemia d’Aspromonte

Domenica 8 dicembre, dalle ore 8.00 alle ore 20.00, si vota per scegliere il segretario e i componenti dell’Assemblea nazionale del Partito Democratico.

Il circolo “Sandro Pertini” di Sant’Eufemia d’Aspromonte allestirà il seggio elettorale all’interno del Palazzo Municipale.

Per partecipare al voto occorre presentarsi al seggio muniti di un documento d’identità valido e della tessera elettorale.
Votano sia gli iscritti che i non iscritti al partito: ai secondi, come partecipazione alle spese organizzative, verrà chiesto un contributo di 2 euro.

Previa registrazione, da effettuare online entro le ore 12.00 del 6 dicembre, possono inoltre votare: cittadini/e di età compresa tra 16 e 18 anni, cittadini/e fuori sede per motivi di lavoro o di studio, immigrati/e in possesso del permesso di soggiorno.

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Decadenza sì, ma senza ola

Non sono tra quelli che stanno facendo il trenino per la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore della Repubblica. E non perché il leader della rinata Forza Italia mi ispiri alcuna simpatia. In quasi quattro anni di blog, non ho mai perso occasione per manifestare la mia avversione politica, oltre che la condanna etica del berlusconismo, il virus che ha infestato la società italiana nell’ultimo ventennio.

Non esulto perché le macerie sono evidenti ovunque e occorreranno parecchio olio di gomito e pazienza infinita per ricostruire il tessuto morale di questo Paese.
Non esulto perché la contrapposizione tra tifoserie ci ha portato al lutto esibito da rappresentanti delle istituzioni privi di alcun pudore. Come se il Senato fosse stato chiamato a giudicare sulla colpevolezza o sull’innocenza di Berlusconi, un pregiudicato condannato in via definitiva, e non ad applicare una legge, la Monti-Severino, che gli stessi parlamentari forzisti avevano sollecitato e approvato. Feroce contrappasso per chi ha utilizzato il potere per sfornare leggi ad personam senza ritegno, certo. Ma tant’è: la legge, questa volta, è stata uguale per tutti.

Non esulto perché stamattina, da Londra, Mario mi ha inviato un articolo apparso su “Metro”, giornale che viene distribuito gratuitamente su metropolitana, tram e bus, dal titolo eloquente: “Nonostante l’espulsione dal Senato Silvio continua a lottare, senza vergogna”. Nel solco di ciò che prima delle elezioni del 2001 l’Economist sparò in copertina: “Why Silvio Berlusconi is unfit to lead Italy”.

Non esulto perché in qualsiasi parte del mondo un Berlusconi sarebbe stato incandidabile sin dal 1994 e perché la sinistra non ha mai fatto nulla di concreto per risolvere il nodo del conflitto d’interessi, pur avendone avuta la possibilità già nel 1996. Anche se, in effetti, ci sarebbe finalmente da rallegrarsi, considerato che in questi due decenni Berlusconi, prima ancora che avversario politico, è stato il formidabile alibi di una sinistra spesso inconcludente, a volte complice (più o meno volontaria), di certo deludente.

Non esulto perché il mio pensiero va anche agli amici che hanno creduto sinceramente alla “rivoluzione liberale” promessa da Berlusconi nel 1994, a chi ha compromesso relazioni personali nell’assurda guerra tra il bene e il male che ci hanno fatto combattere, per poi ritrovarci, tutti, con le pezze al culo. Più poveri e più sfiduciati.

Non esulto perché ripenso alla profezia di Indro Montanelli: “Tutto finirà male, malissimo, nella vergogna e nella corruzione. E sarà stato inutile avere ragione”.

E quindi, rimbocchiamoci tutti le maniche e ripartiamo. Senza più giustificazioni, né capri espiatori. Da qui. Dal disastro di questi venti anni.

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