È di questi giorni il risultato di una ricerca sulle abitudini dei bambini fino a dodici anni (per l’esattezza, undici anni e tre quarti) realizzata per conto del National Trust, ente senza fini di lucro, costituito nel 1895, che ha come mission la tutela e la promozione di alcuni tra i più belli e storici paesaggi inglesi. In Inghilterra, come in gran parte del mondo “civilizzato”, è ormai una rarità incontrare ragazzini che giocano all’aperto, salvo che non siano portati dai genitori o dai nonni in qualche spazio chiuso (pineta, parchi, piazze). Chi ha i capelli bianchi, ma anche soltanto sale e pepe, ha invece avuto un’infanzia e un’adolescenza vissute “on the road”. Interminabili partite di pallone per strada (altro che supplementari: un unico tempo fino al calar del sole); un genere di nascondino (“a tola”) per il quale i limiti territoriali erano dati dai confini geografici dell’intero paese; l’attraversamento del ponte e della galleria ferroviaria a piedi o con le biciclette, tenendo le orecchie ben aperte per correre a perdifiato e rifugiarsi nella “nicchia” appena si sentiva in lontananza la sbuffata della Littorina.
Le cause di questo mutamento sono molteplici, in primo luogo l’eccessiva apprensione di alcuni genitori, che a volte è terrore ingiustificato, visto che, più o meno, ce la siamo cavata tutti. Ma anche i nuovi passatempi, svolti dentro le mura di casa, con una connessione internet o una consolle. La “Playstation Generation” esce pochissimo: neanche uno su dieci gioca frequentemente in spazi aperti, addirittura il 30% non sa andare in bici. Il National Trust ha lanciato la campagna delle “50 cose da fare prima di avere undici anni e tre quarti”, selezionandole da una lista di 400 compilata da una commissione di esperti composta da volontari del proprio staff:
1. Arrampicarsi su un albero
2. Rotolare giù da una grande collina
3. Accamparsi all’aperto
4. Costruire un rifugio
5. Far rimbalzare i sassi sull’acqua
6. Correre sotto la pioggia
7. Far volare un aquilone
8. Pescare con il retino
9. Mangiare una mela appena colta dall’albero
10. Giocare a conker (un gioco tradizionale inglese)
11. Lanciare palle di neve
12. Partecipare a una caccia al tesoro sulla spiaggia
13. Fare una torta di fango
14. Costruire una diga su un ruscello
15. Andare sullo slittino
16. Seppellire qualcuno sotto la sabbia
17. Organizzare una gara di lumache
18. Stare in equilibrio su un albero caduto
19. Dondolarsi da una corda
20. Giocare a scivolare nel fango
21. Mangiare more raccolte dai rovi
22. Guardare dentro un albero
23. Esplorare un’isola
24. Correre a braccia aperte facendo l’aeroplano
25. Fischiare usando un filo d’erba
26. Andare in cerca di fossili e ossa
27. Guardare l’alba
28. Scalare un’enorme collina
29. Visitare una cascata
30. Dar da mangiare a un uccello dalla mano
31. Andare a caccia di insetti
32. Cercare uova di rana
33. Catturare una farfalla con il retino
34. Inseguire animali selvatici
35. Scoprire cosa c’è in uno stagno
36. Richiamare un gufo imitando il suo verso
37. Osservare le strane creature tra le rocce di un lago
38. Allevare una farfalla
39. Dare la caccia a un granchio
40. Fare una passeggiata nel bosco di notte
41. Piantare qualcosa, coltivarla e mangiarla
42. Nuotare in mare, in un fiume, insomma, non in piscina
43. Fare rafting
44. Accendere un fuoco senza fiammiferi
45. Trovare la strada servendosi solo di mappa e bussola
46. Arrampicarsi sui massi
47. Cucinare in campeggio
48. Fare discesa in corda doppia
49. Giocare a geocaching (una caccia al tesoro con il GPS)
50. Andare in canoa su un fiume
Esclusi i giochi tipicamente inglesi, le attività stravaganti (caccia al tesoro con il GPS), quelle obiettivamente improbabili, soprattutto per un dodicenne (accendere il fuoco senza fiammiferi, cucinare in campeggio) e altre abbastanza pericolose (rafting, scendere in corda doppia, pagaiare sul fiume), c’è poco di clamoroso: nuotare, correre, osservare la natura e interagire con essa. Cose del tutto normali, fino a qualche decennio fa. Per molti di noi, gli alberi della vecchia piazza Matteotti erano una seconda casa. Ci trascorrevamo ore e ore, ognuno sul proprio ramo, personalizzato dalla firma incisa sulla corteccia. Senza contare le scorribande su quelli da frutto, qualche volta concluse con fughe spericolate per sfuggire al cane che il proprietario ci sguinzagliava contro, quando non ci rincorreva ascia in pugno.
Nella mia adolescenza ho partecipato alla costruzione di due rifugi. Il nostro mondo in due metri per tre di tavole e lamiere sottratte da qualche cantiere e inchiodate in un posto sicuro: un rifugio, appunto. Ci è capitato spesso di correre sotto la pioggia, non per scelta, ma perché, essendo sempre in giro, il temporale ci poteva sorprendere per strada. Pulcini da spogliare e asciugare col phon. La gioia dell’aquilone (“a pianeta”), realizzato con le canne e la carta dell’uovo di Pasqua, che facevamo volare al campo sportivo, e quella della gara a chi faceva rimbalzare più a lungo i sassi sul mare di Favazzina, quando le labbra viola e le mani rattrappite ammonivano che non si poteva più stare in acqua. È un’età in cui basta poco per divertirsi. Ma forse un tempo bastava ancor meno.