Il cavallo di Chiuminatto. La recensione di Antonio Ligato (Gazzetta del Sud)

È raccontata ne “Il cavallo di Chiuminatto” di Domenico Forgione
Una storia che sottrae all’oblio i nomi di tanti eufemiesi illustri 
– di Antonio Ligato  (“Gazzetta del Sud”, 20 giugno 2013 – Pag. 23)

Si deve ad Aurelio Rigoli, etnologo dell’Università di Palermo, la definizione, che è esplicativa di un nuovo modo di fare storia: «etnostoria» come metodo d’indagine storica che utilizza tutte le fonti a disposizione dello studioso, non soltanto quelle “ufficiali”, ma anche quelle sommerse degli archivi comunali e delle chiese, delle carte private delle famiglie illustri, senza trascurare le fonti orali, la cultura e la sapienza popolare. Anche Cesare Pavese, aveva scritto che un paese senza la provincia non ha nerbo. Queste considerazioni ci vengono in mente leggendo il volume di Domenico Forgione, dottore di ricerca, giornalista pubblicista, fresco di stampa: Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte (Nuove Edizioni Barbaro di Caterina Di Pietro, Delianuova (RC) Aprile 2013). Partendo dall’espressione «Poti quantu o cavaddu i Chiuminati» riferito ai cavalli impiegati, negli anni Venti, per i lavori di costruzione del ponte della ferrovia e della galleria, nel tratto eufemiese delle linee Taurensi, eseguiti dalla ditta genovese di Giacomo Chiuminatto, il testo di Forgione dimostra che accanto agli storici di professione c’è un esercito di storici locali. Costoro, con pazienza, scavano negli archivi dimenticati dei paesi e delle parrocchie, inseguono indizi, e rispolverano pagine dimenticate di storia. Non si tratta soltanto di storia locale, di «microstoria», perché essa si intreccia con la «macrostoria», la integra e spesso la corregge. Così Forgione non si limita a pubblicare uno stradario di Sant’Eufemia. Attraverso i nomi delle strade ricostruisce, innanzitutto, la storia di una comunità, che gli stessi abitanti del luogo non conoscono. A tutti è capitato di imbattersi nel nome di una strada e di non saper risalire al riferimento storico ch’esso senz’altro contiene. Così emergono dall’oblio i nomi di tanti eufemiesi illustri con le loro vicende: Carlo Muscari, uno dei quindici calabresi giustiziati a piazza Mercato dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 e la caduta della Repubblica Partenopea; Ferdinando De Angelis Grimaldi, graduato dell’esercito borbonico, napoleonico e nuovamente borbonico ai primi dell’Ottocento, guardia urbana e sindaco di Sant’Eufemia, comandante dell’esercito della Terza Divisione calabro-sicula durante i moti del 1848 e in quanto tale condannato a morte in contumacia; Michele Fimmanò, protagonista assoluto della storia politica e amministrativa del Comune di Sant’Eufemia per sessant’anni; Luigi Cutrì, maggiore dell’esercito ed eroe della prima guerra mondiale; Bruno Gioffrè, medico condotto, poeta, e testimone diretto del terremoto del 1908; Vittorio Visalli, lo storico più autorevole del Risorgimento in Calabria. Agli avvenimenti storici si alternano gli aneddoti particolari, le piccole curiosità, che consentono di ricostruire il costume di un tempo e fanno “rivedere” il paese così com’era cinquanta, cento, centocinquanta anni fa, con il suo mercato, i suoi artigiani, i suoi cinema, la sua vita economica, culturale, sociale. Dalla rivisitazione compiuta da Domenico Forgione emergono pure pagine semisconosciute di letteratura eufemiese. La sua opera, già per tutto questo, sarebbe encomiabile. Ma essa va oltre, perché attraverso le vicende dei vari personaggi locali evocati con maestria si risale ai grandi avvenimenti storici del Risorgimento, della prima guerra mondiale, dei decenni successivi, ai quali la Calabria ha senz’altro dato un notevole contributo. Il volume di Domenico Forgione rappresenta, in conclusione, un valido esempio di quel metodo «etnostorico» ben delineato da Aurelio Rigoli.

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Il cavallo di Chiuminatto sul mensile La Piana

Presentato a S. Eufemia d’Aspromonte un pregevole libro di Domenico Forgione 

L’aula consiliare del municipio di Sant’Eufemia d’Aspromonte ha ospitato il quinto appuntamento di “Pagine di storia”, attività culturale fortemente voluta dall’amministrazione comunale guidata da Domenico Creazzo, che nell’occasione ha promosso la presentazione del libro scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito ad aprile dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova: “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”.
Ha aperto l’incontro il moderatore della manifestazione Cosimo Petrolino, che ha sottolineato la caratteristica più importante del volume, lo studio della toponomastica come strumento per fare opera di memoria, utile per conservare e tramandare alle future generazioni un patrimonio culturale e sociale che altrimenti andrebbe disperso. Subito dopo, i saluti del primo cittadino eufemiese, che ha assicurato il pieno appoggio a tutte quelle iniziative che mirano alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità locali.
Un’attitudine che di recente l’Amministrazione comunale ha in un certo senso “istituzionalizzato” con la creazione della Consulta comunale, che entro l’estate dovrebbe essere pienamente operativa.
L’editore Raffaele Leuzzi si è invece soffermato sul valore didattico delle pubblicazioni di carattere regionale, provinciale e comunale, dato che i libri di scuola “ufficiali” ignorano completamente la dimensione locale della storia e, per alcuni versi, anche della letteratura: un settore nel quale si è ormai da tempo specializzato Nuove edizioni Barbaro, con le ristampe anastatiche di pregevoli e introvabili opere di autori calabresi del Novecento.
E’ seguita poi la presentazione vera e propria del volume, curata dal professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu” e dal professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria, che ha sottolineato il valore scientifico del volume, realizzato sulla base di una corposa documentazione archivistica e bibliografica e l’importanza storica dell’evento. “Il libro – ha detto Arillotta – è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese; ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva”. Un concetto che Arillotta aveva già sottolineato nella stessa prefazione del libro: “Troviamo la dimostrazione che ‘toponomastica’ non è solo ‘nomi di strade’. Dietro quelle scritte, spesso modeste, in nerofumo, o appena leggibili, ci sono sempre storie importanti, che ‘devono’ essere raccontate, perché ‘devono’ essere ricordate”.
In conclusione, l’intervento dell’autore, commosso quando ha voluto dedicare la manifestazione alla memoria del professore Rosario Monterosso, suo docente ai tempi del liceo, scomparso nel novembre del 2012.
Forgione ha ripercorso la “marcia di avvicinamento” alla pubblicazione del libro, dall’elaborazione dell’idea, allo sviluppo della ricerca, alla stesura finale, sottolineandone gli aspetti “curiosi” ma anche le difficoltà che non sono poche quando si tratta della individuazione e della fruizione del materiale documentario locale. Infine il senso della pubblicazione: “Il libro – ha detto – è la tessera di un mosaico più grande che è la storia di Sant’Eufemia. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) è per me motivo di grande orgoglio”.

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Apnea

Ho visto uomini distrutti dalle convenzioni. Ne ho visti altri smascherati nelle loro granitiche convinzioni. Donne capaci di amare oltre ogni ragione. Come solo una donna può fare. O odiare con tutta la forza, l’amarezza, il dolore e il disprezzo. Come solo una donna sa fare.
Ho visto uomini e donne aspettare Godot e morire aspettando. Annientati dai propri fantasmi.
Confondere il ricordo con la realtà è una colpa. A volte, un alibi.
Ma che cos’è la realtà? E dov’è, se non dentro ogni pianto, scoppio di risa, gesto di ribellione? Se non dentro ogni singola testa? A forza di inseguire l’oggettività abbiamo perso la nostra qualità migliore. Quella di essere originali, unici, sfacciati nel respingere ogni pensiero dominante e conformista. Sovrastrutture mentali che altri vorrebbero imporci. Con l’inganno. Violentandoci.

Ci sospinge la forza che abbiamo dentro, il mantra “ce la farò; ce la devo fare”; il pensare che altra scelta non c’è per contendere al destino i brandelli di un sogno. Il nostro sogno.
Non è poi tanto diverso dall’apnea.
Vivi trattenendo il fiato, nella speranza che presto o tardi riuscirai a tirare la testa fuori dal secchio e finalmente respirerai a pieni polmoni.
E invece passa tutta una vita: giorni, anni scanditi da una furibonda lotta per divincolarsi dalla mano che ti tiene giù.
“Chi sono? Cosa voglio?”. Il punto è sempre quello. “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”: gli occhi del Poeta sono traccianti di fuoco nel buio delle coscienze.
È sempre complicato ragionare per addizione (“sono questo, questo e quest’altro; voglio questo, questo e quest’altro”). Perché si rischia di non arrivare da nessuna parte, di rimanere delusi. Intrappolati.
Non è più vita, ma il suo surrogato: un karkadè di merda. Che lascia cicatrici.

Ogni cicatrice ha una firma e una data.
Potrei fare nomi e cognomi: io so.
So chi mi ha schiacciato al suolo.

So chi mi ha ingannato, circuito; chi ha tentato di comprare la mia dignità.
So chi mi ha detto che bisogna sapere aspettare il proprio turno.
So chi mi ha umiliato.
So chi si è vendicato perché ho osato entrare in un giardino che non era il mio.

Non mi hanno fatto del male. Senza presunzione, vivo al piano di sopra. Mi hanno reso la vita difficile, questo sì.
Ho tentato pure di spiegarlo a uno di loro, ma questa è gente che non sa affrontare, né accettare con dignità le sconfitte. E allora piagnucolano, come un bambino privato del suo giocattolo preferito.
Ma si può, alla tua età? Credevi davvero di avere il fascino dell’intellettuale?
Coglione.
Vecchio e coglione. Penoso.
Peccato.
Anzi, no.
Te lo sei meritato.
E per favore, togli la testa dalla mia spalla: mi stai inzuppando la camicia.

Non parlarmi di perdono. Perdono è una parola senza senso. Vuota. Ognuno gli dà il significato che vuole: un vestito per più occasioni. Da indossare, riciclare, chiudere in un baule. A piacimento. Con sufficienza. Per quello che vale.
Posso perdonare o meno, in circostanze analoghe. Strano, no?
Il perdono dipende dalla pancia più che dalla testa. Dipende dalla fame, dal desiderio di sopravvivere ai propri incubi.
Bisognerebbe riuscire ad andare oltre.
Il passato è passato. Non può essere cancellato. Ma non deve diventare una gabbia, una camicia di forza che impedisce ogni movimento.
Che pietrifica.
Tutti hanno diritto di volare. Senza zavorre.
O almeno di provarci.

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In una foto, il mio omaggio a Little Tony

A essere sinceri, sarebbe più corretto definirlo l’omaggio di mia mamma, visto che i 45 giri della foto sono suoi. Io e miei fratelli ce ne siamo appropriati molti anni dopo, griffandoli con gli adesivi di Goldrake e Superman.
Sono stati i dischi della mia infanzia, ascoltati e riascoltati per pomeriggi interi, gracchianti per l’età e per l’uso, oltre che per la testina da sostituire, ma valla a trovare: sarebbe stato necessario andare fino a Palmi. Non proprio semplice per un bambino. La littorina l’avremmo presa anni dopo, per andare al cinema “Sciarrone”, ma già si era sui 14 anni: degli ometti.
Le canzoni del “ragazzo col ciuffo” mi hanno accompagnato fino ai 12-13 anni, insieme ai vinili di molti altri: su tutti, Don Backy, Celentano, Adamo (collezione completa), Johnny Hallyday ed Elvis Presley.
In concomitanza con il passaggio al liceo i miei gusti mutarono decisamente, però ricordo a memoria (e ogni tanto ancora canticchio) tutti i successi di Little Tony: “Cuore matto”, “Riderà”, “Un uomo piange solo per amore”, “T’amo e t’amerò”, “La spada nel cuore”, “La donna di picche”, “Bada bambina”, “Profumo di mare” (negli anni Ottanta sigla della serie tv di grande successo “Love Boat”).
Chissà, magari sta già duettando con Elvis (il suo grande mito), al ritmo di “Tutti frutti”, con entrambi addosso uno degli inconfondibili abiti da scena della star di Memphis.

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Il cavallo di Chiuminatto su Calabria Ora

“Il cavallo di Chiuminatto”

«Restituito un pezzo di storia»

Presentato il libro di Forgione sulle antiche strade di Sant’Eufemia

SANT’EUFEMIA – Quinto appuntamento di “Pagine di storia”, attività culturale fortemente voluta dall’amministrazione comunale guidata da Domenico Creazzo, che nell’occasione ha promosso la presentazione del libro “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”, scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova.
«La caratteristica più importante del volume – ha esordito il moderatore Cosimo Petrolino – è lo studio della toponomastica come strumento per fare opera di memoria, utile per conservare e tramandare alle future generazioni un patrimonio culturale e sociale che altrimenti andrebbe disperso».
Il primo cittadino eufemiese, Domenico Creazzo, nell’assicurare pieno appoggio a tutte quelle iniziative che mirano alla valorizzazione delle competenze e delle professionalità locali, ha ricordato la creazione della Consulta comunale, che entro l’estate dovrebbe essere pienamente operativa.

L’editore Raffaele Leuzzi si è invece soffermato sul valore didattico delle pubblicazioni di carattere regionale, provinciale e comunale, «dato che i libri di scuola “ufficiali” ignorano completamente la dimensione locale della storia e, per alcuni versi, anche della letteratura».
E’ seguita poi la presentazione del volume, curata dal professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu” e dal professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria: «il libro è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese; ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità, che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva».

In conclusione, l’intervento dell’autore, che ha dedicato la manifestazione alla memoria del professore Rosario Monterosso, suo docente ai tempi del liceo, ha affermato: «Il libro è la tessera di un mosaico più grande, che è la storia di Sant’Eufemia. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) è per me motivo di grande orgoglio».

[Calabria Ora, 25 maggio 2013, pagina 22 dell’edizione della provincia di Reggio Calabria]

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Il cavallo di Chiuminatto: la presentazione

[Il mio intervento alla presentazione del libro – Sala consiliare del palazzo municipale, 18 maggio 2013]

Rivolgo un saluto particolare, innanzitutto, ai ragazzi del nostro liceo scientifico. In questi ultimi anni si è creato tra di noi un rapporto speciale, del quale vado fiero, per due motivi: perché il liceo “Enrico Fermi” a me ha dato molto quando ero studente e quindi credo sia giusto, per quello che posso, restituire qualcosa.
E poi perché ritengo che il futuro del nostro paese passa dalle aule delle sue scuole, da quella primaria al liceo, e non può che farmi piacere dare un piccolo contributo per la sua crescita.

Proprio per questo motivo, prima di iniziare, ci tengo a dire una cosa. Tra i relatori, a questo tavolo, oggi ci sarebbe stato certamente il professore Rosario Monterosso, così come era stato presente alla presentazione dell’altro mio libro su Sant’Eufemia. Purtroppo mancherà la sua relazione; a me mancano i suoi consigli e la sua vicinanza, perché con lui, mio professore di storia e filosofia al liceo, ho avuto un rapporto bellissimo, da studente prima e da amico dopo. Il destino ha deciso diversamente, ma consentitemi di dedicare alla memoria del professore Monterosso questa bella manifestazione.

Ringrazio il sindaco Mimmo Creazzo per l’ospitalità di oggi e per l’impegno e la sensibilità verso i temi culturali che stanno contraddistinguendo l’attività dell’amministrazione comunale. Investire nella cultura è sempre un investimento utile, che produce risultati nel presente ma soprattutto nel futuro.

Ringrazio Cosimo Petrolino, che si sta impegnando molto per la crescita culturale del nostro paese, facendosi promotore di iniziative di grande qualità. L’ho definito “la goccia che scava la roccia” e spero che gli abbia fatto piacere. Al di là di tutto, anche della simpatia e della stima reciproche, abbiamo già avuto modo di collaborare in diverse iniziative e mi sembra che qualche risultato l’abbiamo ottenuto.
Ringrazio la casa editrice Nuove Edizioni Barbaro, perché non è frequente trovare professionalità del genere nel mondo dell’editoria locale. Parlare degli altri non è mai carino, pertanto dirò soltanto del mio editore, che si è comportato da editore e non da stampatore. Chi ha avuto a che fare con qualche casa editrice sa a cosa mi riferisco. La pubblicazione di questo libro è un’operazione editoriale, voluta da una casa editrice che ha già dimostrato di essere molto attenta al discorso territoriale, alla scoperta e alla valorizzazione dei patrimoni culturali locali. Un’attività che è editoriale, ma è anche culturale e sociale, ad esempio quando produce la ristampa anastatica di opere introvabili, com’è avvenuto in passato con il saggio storico Aspromonte, di Vittorio Visalli, e più di recente con la raccolta di poesie Poco suono di Lorenzo Calogero.
Ringrazio il professore Giuseppe Pentimalli, del quale due anni fa ho presentato, proprio in questa sala, il Vocabolario del dialetto femijotu. Potremmo dire che ci presentiamo i libri a vicenda, ma la verità è più profonda e nasce da un sentimento di stima reciproca e solida, testimoniato dalla partecipazione con la quale l’uno ha seguito il percorso dell’altro.

Ringrazio infine il professore Francesco Arillotta, che molto prima di me si è cimentato in un’opera del genere: la prima edizione di Reggio e le sue strade. Briciole di storia nella toponomastica cittadina, dedicato alla città di Reggio Calabria, risale infatti al 1967. Lo ringrazio per l’intervento di oggi e per la sua prefazione al libro, che costituisce certamente un valore aggiunto perché scritta da uno tra i più autorevoli storici calabresi.

Veniamo ai motivi che mi hanno spinto a scrivere un libro sulla storia e sulle storie delle strade di Sant’Eufemia.
L’idea mi è venuta dopo il convegno organizzato dall’Associazione “Terzo Millennio” e dal liceo scientifico “Enrico Fermi” in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Mi ero reso conto che, per la maggior parte degli eufemiesi, i protagonisti della storia locale non sono nient’altro che un nome stampato agli incroci delle vie. Pensai che poteva essere interessante approfondire l’argomento e cercare di realizzare qualcosa di utile per tutti.

Perché “Il cavallo di Chiuminatto”?

Sul foglio di mappa del 1959 pubblicato nell’appendice del libro, l’attuale via XXV luglio reca la denominazione “via Giacomo Chiuminatto”. Inizialmente ho avuto grosse difficoltà a capire di chi si trattasse, poiché l’unico indizio in mio possesso erano gli estremi di alcuni finanziamenti assegnati dalla Banca Commerciale Italiana alla ditta “Chiuminatto” tra il 1923 e il 1927.

Ho conosciuto il professore Arillotta in occasione del convegno organizzato dal Comune per il centocinquantesimo anniversario del ferimento di Garibaldi sull’Aspromonte, l’estate scorsa. Quale migliore occasione per chiedere qualche consiglio, sia sulla vicenda di Chiuminatto che su altri nodi che ancora non ero riuscito a sciogliere? Mi suggerì di contattare l’archivio storico della Banca Commerciale Italiana e così scoprì che Chiuminatto era originario di Genova (Bolzaneto per l’esattezza, al cui ufficio dello Stato civile mi sono poi rivolto per i dati anagrafici) e che era il titolare della ditta che negli anni Venti del secolo scorso costruì il ponte sulla ferrovia e la galleria nel tratto eufemiese delle linee taurensi. Da questi primi indizi sono poi riuscito ad acquisire altre notizie e, infine, a collegare il dato storico con l’aneddoto sul modo di dire che ha ispirato il titolo del libro (“poti quantu o cavaddu i Chiuminati”, in riferimento a persona prestante e vigorosa: come i cavalli da tiro utilizzati per il trasporto del breccio e del materiale di costruzione necessario per effettuare i lavori della ferrovia).

Devo ammettere che mi sono molto divertito a scrivere questo libro, che è anche il pretesto per parlare d’altro, non soltanto dei profili biografici delle illustri personalità eufemiesi.
A volte il nome di una strada mi è servito per ricostruire le vicende storiche di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Penso, ad esempio, a via Milano, che rievoca il dramma del terremoto del 1908 e consente di mettere un punto fermo sul numero delle vittime (537), al di là delle cifre spesso sparate senza cognizione di causa (1000, addirittura 2000). Di questi morti conosciamo anche i nomi, uno per uno, visto che esiste l’elenco completo, redatto dall’allora arciprete Luigi Bagnato, che è conservato presso l’Archivio parrocchiale della chiesa di Maria SS. delle Grazie. Via Milano significa soprattutto solidarietà, perché porta con sé la bellissima storia degli aiuti del Comitato milanese, che ha determinato anche il gemellaggio tra le due città.
Penso a via Borgo, che identifica un intero rione e che rimanda alle dolorose pagine del dopo terremoto del 1783 (“u fracellu”). “Borgo” significa “quartiere sorto al di fuori delle antiche mura di una città”: infatti, originariamente Sant’Eufemia corrispondeva all’attuale “Paese Vecchio”. Il “Petto” fu edificato dopo il 1783; la “Pezzagrande” dopo il sisma del 1908. L’antico assetto urbano viene confermato dall’etimologia di via Scatropoli, che chiarisce ulteriormente quali erano gli antichi confini: “eschaton” (“ciò che sta al termine”) e “polis” (“città”). Al rione Borgo è legato un episodio drammatico ma un tempo frequente. Mi riferisco all’incendio che nel 1902 lo distrusse completamente, sia perché le case erano sì in muratura ma contenevano tramezzi e impalcature in legname, sia perché spegnere le fiamme alimentate dallo scirocco (cento anni fa, ma anche in seguito) era praticamente impossibile. Per cui, sviluppatesi accidentalmente in un fienile, dove un bimbo si era recato con una lampada ad olio per cercare un gattino, le fiamme in poco tempo incenerirono 125 case e ne resero inabitabili altre undici.
Penso a Via Duomo, con il suo significato di “chiesa principale di una città”, che ci offre uno spaccato della comunità religiosa eufemiese raccolta attorno all’attuale chiesa di Maria SS. delle Grazie (un tempo Santa Maria delle Grazie), a partire dal dopo 1783, quando l’antica chiesa Matrice fu rasa al suolo, e fino al 1856, anno in cui anche la chiesa al Petto fu elevata a parrocchia.
Penso poi a piazza Mercato (l’attuale piazza Purgatorio), di recente rievocata da Mimmo Gangemi nel suo romanzo di grande successo La signora di Ellis Island, laddove il protagonista, da Santa Cristina, giunge ai primi del Novecento al mercato di Sant’Eufemia e acquista due “cartate” di pasta da 5 kg, aringhe sotto sale e una “pinna” di pesce stocco.

La toponomastica offre la possibilità di ricordare aneddoti particolari o semplici curiosità, utili per ricostruire il costume di un tempo perché fanno “rivedere” il paese così com’era cinquanta, cento, centocinquant’anni fa: sia dal punto di vista urbanistico che da quello “quotidiano”, con il suo mercato appunto, i suoi artigiani, i suoi cinema, il suo sviluppo economico, culturale e sociale.
Un episodio curioso riguarda via Sergente Crea, che oggi attraversa la pineta comunale nel tratto compreso tra via Fimmanò e via De Nava. Se appena varcato il cancello si volge lo sguardo al muro di cinta della scuola elementare, è possibile addirittura vedere ancora affissa la targa, all’interno della pineta! Questo perché dopo l’edificazione della scuola, a metà degli anni Cinquanta, la pineta comunale fu evidentemente recintata, per cui una porzione della strada che prima la lambiva ricadde al suo interno.

Ma la toponomastica diventa anche una scusa per riscoprire pagine semisconosciute di letteratura eufemiese: i discorsi di Bruno Gioffrè, i racconti di Nino Zucco, le poesie di Domenico Cutrì, le ricostruzioni storiche di Luigi e Vittorio Visalli, Pietro Pentimalli, Michele Fimmanò, Vincenzo Tripodi.
Basti pensare, a proposito di via Peras, alla bellissima poesia di Domenico Cutrì (Contrada Peras del mio paese natio), che ci fa comprendere qual era la vita del contadino eufemiese. Lavoro, lavoro e ancora lavoro. Oppure riflettere sulla forza evocativa di via Ferrai, che rimanda a tutta una tradizione di artigianato locale che aveva una sua grandezza e notorietà nel circondario. I “mastri” eufemiesi erano bravissimi: lavoratori del ferro, ebanisti, falegnami, cestai, orafi, sarti, calzolai, tornitori, calderai (fabbricatori di recipienti), ottonieri (artigiani dell’ottone, utilizzato in genere per la realizzazione di oggetti artistici: ad esempio, candelabri). Suggestione che Nino Zucco ci restituisce intatta in un brano del suo racconto Fuoco a Diambra.

Ho impiegato un anno per effettuare la ricerca e per procedere poi alla sistemazione del materiale documentario e bibliografico, all’elaborazione e alla stesura definitiva del libro, che è composto da 106 voci, il totale cioè delle vie presenti sullo stradario attuale e sui fogli di mappa esistenti e risalenti al 1880, 1903, 1955 e 1959.

Recuperare alcune notizie è stata una vera e propria caccia la tesoro: ad esempio, la data di nascita di Ferdinando De Angelis, che ho trovato dopo avere spulciato per qualche ora un registro in latino di fine ’700 custodito presso l’Archivio parrocchiale della Chiesa di Santa Maria delle Grazie; oppure le informazioni su Giacomo Chiuminatto; o, ancora, l’individuazione del luogo e della data di morte di Giovanni Lupini, ai quali sono arrivato soltanto dopo avere visitato il cimitero di Palmi per trovare la tomba che sospettavo lì si trovasse, visto che né l’ufficio dello Stato civile di Sant’Eufemia, né quello di Palmi avevano saputo rispondere al mio quesito.

Altre volte è stato il caso e la generosità degli uomini a farmi scoprire elementi inediti della storia locale. L’ostacolo maggiore per chi conduce una ricerca è spesso l’inaccessibilità degli archivi comunali. Sant’Eufemia, purtroppo, non fa eccezione. Molte informazioni le ho recuperate presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, che conserva le copie dei registri dell’anagrafe. La stessa cosa mi era capitata, anni fa, con i verbali dei consigli e delle giunte comunali tra il 1861 e il 1922. Eppure quelle stesse fonti si trovano anche nel nostro municipio, negli scantinati, ma non sono consultabili dalla collettività e soprattutto corrono il rischio di deteriorarsi irrimediabilmente, provocando un danno gravissimo alla ricostruzione della memoria storica di Sant’Eufemia.
Si tratta di veri e propri tesori nascosti. Penso all’atto di matrimonio di Francesco Cilea, nonno del celebre compositore di Palmi: un medico originario di Pentidattilo che il 2 giugno 1822 sposò a Sant’Eufemia una giovane del luogo, Rachele Parisi. Un documento che rivela l’origine eufemiese di uno dei più grandi musicisti del Novecento, del quale io mai sarei potuto venire a conoscenza senza la generosità di Totò Orlando, che ringrazio.

Dal 1861 ad oggi i nomi di alcune strade sono cambiati, nuove vie sono state aggiunte, di altre addirittura non si ha più notizia. Scomparsi i nomi, cancellate – fisicamente – anche le vie: vico Spersi, via Giardini, vico Orso, vico Innocenti, via dell’Annunziata, vico Miceli, via Cairoli, via Oddone. Vie inghiottite da un’urbanizzazione selvaggia, oppure semplicemente diventate – per “comodità” – vichi o traverse di qualche strada più grande.

Come in tutte le città d’Italia, la toponomastica fascista è stata invece cancellata dopo l’avvento della democrazia, nel secondo dopoguerra: via XXI aprile (il Natale di Roma), via XXIII marzo (giorno di fondazione dei fasci di combattimento), piazza XXVIII ottobre (marcia su Roma), via Nicola Bonservizi, via Maurizio Maraviglia.

Va da sé che per personaggi come Dante o Cavour c’era poco da aggiungere a quanto già non sia noto. In questi casi mi sono quindi limitato a una sintesi di quanto è possibile trovare altrove, in maniera certamente più approfondita. A meno che la via in questione non avesse qualche “storia” particolare da raccontare, come ad esempio via Roma, con la vicenda della costruzione del monumento del Calvario; o via Maurizio Maraviglia, il gerarca fascista che fu ospite d’onore all’inaugurazione del nuovo palazzo municipale e alla cerimonia d’apertura del nuovo acquedotto comunale, nel 1926; o via Giuseppe De Nava, il politico reggino più volte ministro che dopo il terremoto del 1908 fu il vero artefice della pacificazione tra la fazione che spingeva per edificare nel nuovo sito della Pezzagrande (e che era capeggiata da Michele Fimmanò e dall’allora sindaco, il notaio Pietro Pentimalli) e quella che invece non aveva alcuna intenzione di spostarsi dal Paese Vecchio (con in testa gli ex sindaci Antonino Condina Occhiuto e Francesco Capoferro, il medico Bruno Gioffré, il maestro Francescantonio Cutrì). Contrasto superato proprio grazie alla mediazione di De Nava, che si fece garante della revisione della legge sulla definizione delle aree edificabili. Ciò comportò l’edificazione in Pezzagrande, ma anche la deroga al divieto di ricostruire nell’area del Vecchio Abitato.

L’interesse maggiore della ricerca è rivolto ovviamente agli eufemiesi illustri. Carlo Muscari, uno dei quindici calabresi giustiziati a piazza Mercato a Napoli, dopo il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 e la caduta della Repubblica Partenopea. Ferdinando De Angelis Grimaldi, graduato dell’esercito borbonico, poi di quello napoleonico e nuovamente di quello borbonico ai primi dell’Ottocento; guardia urbana e sindaco di Sant’Eufemia negli anni Quaranta, comandante dell’esercito della Terza Divisione calabro-siculo durante i moti del 1848 e in quanto tale condannato a morte in contumacia. Un personaggio romantico e affascinante, la cui biografia meriterebbe un maggiore approfondimento. Così come meriterebbe uno studio ad hoc la biografia di Michele Fimmanò, protagonista assoluto della storia politica e amministrativa del comune di Sant’Eufemia per sessant’anni, tra il 1854 e il 1913. E ancora: Luigi Cutrì, maggiore dell’esercito ed eroe della prima guerra mondiale; Bruno Gioffrè, medico condotto, poeta e testimone diretto del terremoto del 1908; Vittorio Visalli, lo storico più autorevole del Risorgimento in Calabria.

La riflessione sul passato richiede però qualche considerazione sul presente. Non possiamo infatti nascondere che la toponomastica attuale è molto datata e andrebbe aggiornata. Non per cancellare nomi e storie che ci appartengono, come è stato incautamente fatto nel passato. Da questo punto di vista concordo pienamente con la linea della Deputazione di Storia Patria che è per il mantenimento della toponomastica originaria delle strade, anche quando essa ci dice poco o niente.

Accanto a Cavour, Garibaldi, Cavallotti ci sono o c’erano nomi di personaggi oggi sconosciuti o quasi, ma che sarebbe stato bene comunque mantenere. Se non altro, questi nomi ci dicono che centocinquanta o cento anni fa i nostri amministratori erano molto attenti alle dinamiche politiche nazionali: penso alle vie dedicate a Francesco Anzani, compagno d’avventura di Garibaldi; a Carlo Poerio, patriota più volte arrestato e condannato dal Borbone a 24 anni di lavori forzati, poi deportato insieme a Luigi Settembrini, con il quale fu protagonista di una fuga rocambolesca dalla nave che li doveva portare negli Stati Uniti e che dopo l’Unità fu vicepresidente della Camera; a Pier Carlo Boggio, morto nella battaglia di Lissa nel 1866; ad Angelo Brofferio, carbonaro, poi avversario politico di Cavour, ma soprattutto storico di grande valore.

La toponomastica di Sant’Eufemia, salvo qualche sporadica eccezione (ad esempio: largo Giovanni Paolo II), è rimasta ferma al secondo dopoguerra; ma nel frattempo il mondo, l’Italia, la Calabria e la stessa Sant’Eufemia hanno prodotto personalità che meriterebbero di essere ricordate, nel campo dell’arte, della scienza, della cultura, del sociale e, perché no, della tanto vituperata politica. Non è mai simpatico fare il giochino dei nomi e non lo farò; dico soltanto che è inconcepibile che a Sant’Eufemia vi sia una sola strada dedicata a una donna, via regina Margherita: e c’è perché si trattava della regina d’Italia e perché il mito della moglie del sovrano Umberto I è stato fortissimo tra Ottocento e Novecento.

Allo stesso tempo, non posso fare a meno di evidenziare alcuni errori imperdonabili, che non sono solo quelli di confondere il cognome Settimo (via Ruggiero Settimo, dedicata al primo presidente della Camera dei Deputati dopo l’Unità d’Italia) con l’ordine di una improbabile successione dinastica.

Trovo infatti discutibili alcune decisioni prese nel passato. Su tutte, la cancellazione di piazza Aid Committee (Comitato di aiuti composto da italiani residenti negli Stati Uniti e presieduto dal commendatore Vincenzo Ascrizzi), che rappresenta una pagina importante della nostra storia: quella dell’emigrazione eufemiese, del sacrificio e della generosità, di un amore nei confronti della propria terra che non viene per niente scalfito dalla lontananza. Una storia che la crisi economica attuale ripropone in maniera drammatica e che noi eufemiesi sentiamo sulla nostra pelle, perché sono tantissime le famiglie smembrate dall’emigrazione.

Non ho la presunzione di pensare di avere scritto qualcosa di definitivo. Chi fa ricerca sa bene che la storia non è mai scritta per sempre, una volta per tutte. Basta un’informazione inedita, un dato storico, una semplice curiosità per vedersi spalancare nuovi scenari.
Revisionismo non vuol dire ribaltare o negare ciò che altri storici hanno accertato: significa, semplicemente, aggiornare quei dati con i nuovi spunti che la ricerca offre di continuo.

Ognuno di noi scrive (o dovrebbe scrivere) con umiltà la “propria” storia, sulla base delle proprie conoscenze e della propria sensibilità. È questo il senso ultimo delle pagine del libro, che poi è uguale al senso del lavoro sulla storia amministrativa e politica di Sant’Eufemia, al senso dei libri scritti da chi mi ha preceduto e da quelli che – mi auguro – scriveranno coloro che verranno dopo di me.
Il libro è la tessera di un mosaico più grande: in questo caso, la storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Dare il mio contributo per ricostruirla e restituirla agli eufemiesi (uso volutamente il verbo “restituire”, perché la storia è di tutti, non di chi la scrive) mi gratifica ed è per me motivo di grande orgoglio.

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Il cavallo di Chiuminatto sul Quotidiano della Calabria





Pagine di storia con il libro di Domenico Forgione

SANT’EUFEMIA D’ASPROMONTE – Continua il ciclo di conferenze dedicato al mondo della cultura, voluto dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Domenico Creazzo. L’aula consiliare del Municipio di Sant’Eufemia ha ospitato sabato il quinto appuntamento di “Pagine di storia”, che ha promosso la presentazione del libro scritto dallo storico eufemiese Domenico Forgione, edito ad aprile dalla casa editrice Nuove edizioni Barbaro di Delianuova: “Il cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant’Eufemia d’Aspromonte”. A moderare l’incontro è stato Cosimo Petrolino. Presente anche l’editore Raffaele Leuzzi. Sono seguiti poi gli interventi del professore Giuseppe Pentimalli, autore del “Vocabolario del dialetto femijotu”, e del professore Francesco Arillotta, deputato di storia patria per la Calabria, il quale ha posto l’accento sul valore scientifico del volume. “Il libro – ha affermato – è un atto d’amore che Forgione manifesta nei confronti del suo paese, ma è soprattutto un regalo fatto all’intera comunità, che fa riscoprire il senso di identità, l’orgoglio di sentirsi eufemiesi e l’importanza di coltivare la memoria collettiva”.

[di a.t.
– Il Quotidiano della Calabria, 20 maggio 2013, pagina 19 dell’edizione della provincia di Reggio Calabria]

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19 maggio: una data, una donna di nome Silvia Baraldini

Associo la data del 19 maggio a Silvia Baraldini, l’attivista condannata nel 1983, negli Stati Uniti d’America, a 43 anni di carcere senza avere mai partecipato a fatti di sangue. Una pena sproporzionata per il reato di “sovversione”, ottenuta sommando diverse condanne, dal concorso in evasione, alla progettazione di due rapine (mai effettuate), all’ingiuria contro la corte.

Silvia Baraldini si era formata nel movimento sessantottino fiorito nei campus universitari americani ed era stata protagonista delle marce per i diritti dei neri statunitensi, contro la guerra del Vietnam e per i diritti delle donne.

Divenne poi leader dell’organizzazione comunista “movimento 19 maggio” (“May 19th”), che rievocava la data di nascita di Malcom X e di Ho Chi Minh, un gruppo appartenente alla galassia della sinistra radicale, fiancheggiatore del “Black Panther Parthy”.

Un vasto movimento di sostegno per il rimpatrio in Italia si sviluppò dopo l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, dovuto a un doppio intervento per l’asportazione di un tumore cui Silvia Baraldini dovette sottoporsi mentre era in carcere. Risale a questo periodo la bellissima Canzone per Silvia, di Francesco Guccini (1993).

La richiesta di applicazione della Convenzione di Strasburgo per il trasferimento in Italia della condannata non ebbe seguito fino al 1999, quando l’allora Guardasigilli Oliverio Diliberto riuscì ad ottenere l’estradizione, in cambio della garanzia che la condannata avrebbe scontato per intero (fino al 2008) la pena. In realtà, dopo la concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute, nel 2001, Silvia Baraldini beneficiò dell’indulto del 2006 e, da allora, vive a Roma da cittadina libera.

Il mio ricordo personale non è legato tanto all’adesione alla campagna di sostegno per la sua liberazione (conservo ancora la t-shirt acquistata alla Festa di Liberazione a Reggio Calabria, con la scritta “I run for Silvia”), quanto a un prezioso (almeno per me) biglietto che mi inviò da Rebibbia non appena ricevette il libro che le avevo spedito (“Il ’68 a Messina”: in pratica, la pubblicazione della mia tesi di laurea):

Roma, 27 febbraio 2000

Caro Domenico,
ti ringrazio per il libro che ho sfogliato ma non ancora letto. L’impatto delle lotte di quegli anni ha cambiato tantissime persone, me inclusa. È importante continuare a sottolineare la vasta partecipazione e le motivazioni anti-imperialistiche che l’hanno alimentata.

Silvia Baraldini

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