Tornano Santoro, Vauro e il baffone di Ruotolo

Manca oramai pochissimo all’esordio televisivo della squadra di Santoro, fissato al 3 novembre, ore 21.00. Il giovedì di Rai Due è intanto naufragato con i pessimi ascolti di Star Academy, soppresso prima che sul palco arrivassero i pomodori. A conferma delle politiche suicide della Rai dove, pur di fare favori al premier, si sta affossando la televisione pubblica. Pare che ora si voglia puntare su Giuliano Ferrara per un Annozero di destra, nello stesso canale e nello stesso orario. Un premio per il successo di Qui Radio Londra, programma rivelatosi di nicchia e per il quale, “stranamente”, nessuno ha chiesto la chiusura, causa ascolti nettamente al di sotto delle aspettative. Si potrà seguire Servizio pubblico (titolo del nuovo programma, inizialmente Comizi d’amore) su Sky, ma anche su diverse emittenti locali, oltre che in streaming sul sito di Repubblica, Il Fatto Quotidiano e Il Corriere della Sera.
A fare pubblicità al programma, nello spot che sta girando in rete, il premier in persona.

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Ti saluto così

Tra i tanti ricordi, mi piace associarti alla tua grande passione: il volo degli uccelli. Chissà, forse più in là dirò altro. Ora mi piace pensarti con gli occhiali da sole dalle lenti spesse per potere meglio osservare senza rimanere accecato dalla luce, e il binocolo che tenevi sempre sulla macchina, pronto ad accostare appena scorgevi un punto sull’orizzonte. Spesso non riuscivi a capacitarti di come non riuscissimo a vederlo pure noi, che non avevamo l’occhio allenato come il tuo.
“Guarda quanto è bello l’adorno in volo!”, esclamavi innamorato.
Ciao, “zio” Pino

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Una bandiera di vittoria piantata sulla pancia di un morto

Sono state spese fin troppe parole su Gheddafi, sulla sua parabola politica e umana, su quelli che nel giro di pochi giorni si sono accorti che a Tripoli regnava un dittatore e sono passati da un deferente baciamano alla condanna del regime e alla guerra. Per giustificare l’imbarazzo, si è anche parlato di logiche di realpolitik, attribuendo implicitamente una statura da grande attore internazionale a chi non ce l’ha, tanto da essere di recente sbeffeggiato pubblicamente da Sarkozy e Merkel. Invece era soltanto l’albertosordismo della politica estera italiana che ogni tanto riemerge: orecchie calate con i forti, volto truce con i deboli.
La logica preponderante nei rapporti internazionali è il cinismo, il “sic transit gloria mundi” con cui Berlusconi ha liquidato l’amicizia con Gheddafi. La fine che spesso tocca in sorte ai dittatori rappresenta plasticamente i termini della questione. Sostenuti, tollerati, foraggiati, vezzeggiati fino a quando sono funzionali a interessi politici ed economici prevalenti; scaricati senza troppi scrupoli quando non servono più o diventano ingestibili. Il colpo di grazia alla testa del dittatore libico ha levato dall’imbarazzo quanti, tra i protagonisti della politica internazionale, sarebbero stati chiamati da Gheddafi a testimoniare in un regolare processo. La furia giustizialista che da più parti si è levata puzza di sospiro di sollievo per lo scampato pericolo e nasconde un intento autoassolutorio.
Ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti. Il tentativo della Nato di giustificare il bombardamento del convoglio sul quale viaggiava Gheddafi è goffo. Come ha sostenuto il ministro degli esteri russo, non vi era “alcun collegamento tra la no-fly zone e un attacco a un bersaglio a terra”. Infine, il rais è stato catturato in una buca, ferito ma ancora vivo, ed è stato giustiziato sul posto. C’è qualcosa di intollerabile nella caccia all’uomo, nella furia che si scatena quando la belva annusa il sangue della preda: “e gli occhi dei soldati cani arrabbiati/ con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli” (Sidun, Fabrizio De André).
Non è in discussione il giudizio su Gheddafi, per niente ammorbidito dalla fine tragica. Era e rimane un criminale, un aguzzino del popolo libico. Però, anche lui, aveva diritto ad un regolare processo. La giustizia sommaria è sempre una giustizia barbara, violenza che si aggiunge a violenza, in una vertigine di sangue che rievoca i versi di Ignazio Buttitta: “scippari l’occhi l’unu cu l’autru,/ scurciari l’unu cu l’autru, ammazzarinni/ e chiantari banneri di vittoria/ nte panze di morti” (Ncuntravu u Signuri).

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Saluti da Londra/ bis

Anche l’ammiraglio Nelson ci teneva a salutare. A proposito, dice Mario che un suo amico, arrivato a Trafalgar Square abbia esclamato: “ma quello e’ Napoleone?”

Da Piccadilly Circus, invece, il saluto di Cupido. Domanda: secondo voi, il buontempone che ha “lasciato” una mano dentro le mutande del dio dell’amore e’ londinese?!

Oscar Wilde ci ricorda che “siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi stanno guardando le stelle”.

“Mentre attraversavo London Bridge”, non ho potuto fare a meno di canticchiare “Geordie”.

Ancora: Tower Bridge…

… e London Tower.

Possibile che ci sia tutto questo vento?!

Ma no, va tutto bene. Garantisce Mr “cool” Britannia!

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Saluti da Londra

Pronto? Mi sentite? La “perfida Albione” non e’ come dicono. Per esempio, non e’ vero che a Londra piove sempre. E’ un luogo comune messo in giro dai francesi…

… pero’ e’ vero che mangiano da cani! Il cornetto farcito con il salame piccante non l’avevo mai visto…

… e neanche la seppia fluorescente! Dall’espressione perplessa di mio fratello Mario riflessa sul vetro, suppongo si tratti di una novita’ della cucina cinese a Soho.

Il Big Ben non ha detto stop…

… purtroppo, neanche i cannoni, come si evince dal presidio pacifista davanti alla House of Commons.

Se ti scappa e ti trovi da “Costa”, serve lo scontrino della consumazione, su cui si trova stampato il codice da digitare per aprire la porta della toilette. Se non paghi, te la puoi fare addosso…

… anche se ti chiami Elisabetta!!

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Rai. Di pochi, sempre di meno

Diventa sempre più arduo ricacciare indietro il pensiero sgradevole che tra le motivazioni che spinsero Silvio Berlusconi a “scendere in campo” vi fosse lo smantellamento della televisione pubblica. Nel caso contrario, qualcuno dei dirigenti Rai succedutisi in questi anni di pseudo-concorrenza dovrebbe spiegare quale sia stata e sia la linea editoriale di Viale Mazzini. Dall’esterno, sembra la cronaca di un suicido annunciato, la declassazione e lo svilimento di un patrimonio, economico e culturale, che altrove avrebbe fatto alzare le barricate.
In Italia, invece, soltanto qualche polemica, peraltro vagamente strumentale, visto che il rapporto tra informazione e politica, pur con accenti diversi, è sempre stato problematico, al di là dell’inquilino di Palazzo Chigi. Le vette raggiunte durante l’epopea berlusconiana sono però inarrivabili. A partire dal tristemente celebre editto bulgaro che anticipò l’epurazione di Michele Santoro, Daniele Luttazzi ed Enzo Biagi, accusati di fare “un uso criminogeno della televisione di Stato”. Per proseguire con la direzione di Augusto Minzolini al tg1 e i casi eclatanti di Piero Damosso, Paolo Di Giannantonio, Tiziana Ferrario, Maria Luisa Busi. Mi è capitato, due o tre volte, di assistere a trenta secondi di Qui Radio Londra (andare oltre è umanamente impossibile), programma di Giuliano Ferrara – tra i più influenti consiglieri di Berlusconi – collocato proprio nell’orario che fu di una della trasmissioni di maggiore successo di Rai Uno, Il fatto, condotto da Biagi. Se quello di Biagi è stato un uso criminogeno, per questo di Ferrara urge un neologismo. Perché è complicato fare rientrare nella categoria del giornalismo l’apologia e la propaganda più smaccate, un pulpito dal quale si pronunciano omelie e si scagliano anatemi. Se poi si vuole ragionare in termini di ascolti, il paragone è imbarazzante. E desolante. Quando gli va bene, Ferrara racimola la metà degli spettatori che furono di Biagi. Per comprendere il gradimento di cui gode l’Elefantino, è sufficiente considerare che quasi un milione di spettatori, finito il tg1, abbandona la rete per 5 minuti (la durata del suo programma) e ci ritorna subito dopo, per vedere I soliti ignoti.
Che il gradimento e i soldi degli sponsor non stiano alla base delle scelte dei vertici Rai è evidente. Altrimenti, sulla base dei pessimi ascolti del suo telegiornale, Minzolini avrebbe fatto la valigia già da un pezzo. E per la squadra di Santoro, capace di garantire i maggiori ascolti ed incassi per Rai Due, sarebbe stato srotolato un tappeto rosso. La sostituzione di Annozero con Star Academy, già chiuso per fallimento, dice tutto sulle logiche di allestimento dei palinsesti. È facilmente prevedibile, invece, il successo di Comizi d’amore, il nuovo programma della Santoro band, in onda dal 3 novembre su una ventina di emittenti locali (tra cui Videocalabria) e sul canale 504 Sky che, al grido di “10 euro di tivvù”, ha già raccolto sottoscrizioni per 600.000 euro.
Sul cadavere della Rai svolazzano gli avvoltoi. Quello di La7, che si sta portando via tutto: l’ex direttore di Rai Tre Paolo Ruffini, Corrado Formigli, Roberto Saviano, Serena Dandini, gli spettatori. E, ovviamente, quello di Mediaset, al quale, come in una nota pubblicità, “piace vincere facile”, contro una concorrenza che, di fatto, concorrenza non è.

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A colpi di maggioranza

Anche questa volta, come altre cinquanta volte dal 2008, la maggioranza l’ha sfangata. Ma sfangare non è sinonimo di governare, né significa essere capaci di farlo. Questo ormai lo intuiscono anche i quadri e le piante di Montecitorio. Lo si è visto, martedì, nella votazione dell’articolo 1 del rendiconto del bilancio statale, la novantunesima volta in cui il governo è andato sotto. E, più in generale, è evidente dalle lotte fratricide nel Pdl e tra i membri stessi del governo: una nemesi beffarda per chi ha giustamente rinfacciato ai governi Prodi una rissosità al limite del ridicolo. A meno che non si intenda porre la fiducia ad ogni seduta. L’unico orizzonte comune per la maggioranza è il terrore di ritrovarsi nel bel mezzo di uno scontro tribale, un regolamento di conti sulle ceneri del dopo Berlusconi (e del dopo Bossi). Il potere è l’unico collante. Venuto meno quello, sarà una guerra di tutti contro tutti. In questa fase, ogni parlamentare gioca le proprie carte perché consapevole che la conclusione del ciclo berlusconiano comporterà la fine di molte carriere politiche. E sa anche che questo è il momento di monetizzare. Pare che Denis Verdini sia diventato il filtro delle richieste dei malpancisti e delle generose quanto interessate offerte di chi non aspetta neanche di essere contattato per dichiararsi a disposizione.
Però non possono bastare 316 voti, se è stato dilapidato il capitale della più vasta maggioranza della storia del Parlamento italiano. Il baco che sta divorando il governo è al suo interno. Sardelli, Versace, Gava, Destro, ma anche Scajola e Nucara – che hanno votato sì tra mille distinguo e l’ennesima richiesta di un cambio di marcia – sono le facce di uno sgretolamento inarrestabile. Né possono bastare le poltrone da saldi di fine stagione: due nuovi viceministri, Catia Polidori allo sviluppo economico e Aurelio Misiti alle Infrastrutture, e due sottosegretari, Pino Galati all’Istruzione e Guido Viceconte (già all’Istruzione) all’Interno.
Nella prima dichiarazione dopo il voto, Angelino Alfano ha rivendicato l’esistenza di una maggioranza sia numerica che politica. Un atto quasi dovuto da parte del segretario del maggiore partito di governo, comprensibile ma poco convincente. Le richieste al premier di farsi da parte sono talmente tante e pressanti (da ultimi, anche Roberto Formigoni e Gianni Alemanno) che neanche il più ottimista dei berlusconiani può pensare di riuscire ad arrivare a fine legislatura. Semmai, la questione è un’altra, quella della preparazione delle liste. Perché andare al voto in primavera significherebbe farlo con l’attuale legge elettorale, salvo uno scatto di responsabilità e generosità che al momento non si intravedono. In barba al milione e passa di firme raccolte dal comitato referendario per l’abolizione del Porcellum. Anche il prossimo sarà un Parlamento di nominati. Molti parlamentari utilizzeranno gli ultimi giorni di Pompei per scansare macerie, dare prove di fedeltà, non fare gli schizzinosi se servirà una buona dose di cinismo per assicurarsi la ricandidatura.

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Il ministro della difesa

“Che gli devo dire? Questo è il problema”.
Infatti: il problema non è tanto che il ministro della Difesa italiana, in conferenza stampa, si incarti sull’inglese, rimediando una figura colossale. Il problema è che La Russa non sa cosa deve dire sul blitz delle forze speciali inglesi, concordato tra i ministri della Difesa di Gran Bretagna e Italia – cioé da se medesimo – che ha portato alla liberazione della nave italiana Montecristo, attaccata dai pirati al largo delle coste somale…
Ma si può?! E soprattutto, quando finirà tutto questo scempio?
“Faccio come dico io e se volete posso dare al mio capo di gabinetto il compito di descrivere nei dettagli come si è svolta l’operazione”. Ecco, bravo, dagli la parola…

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Una genialata: il “safety tutor” tra Bagnara e Scilla

Siamo dei privilegiati e non lo sappiamo, circondati da gente impegnata da mattina a sera a sfornare provvedimenti utili per la nostra salute. Una vera fortuna. Eppure, ci sono persone, di quelle proprio cattive, che malignano e alimentano polemiche pretestuose e infondate, avanzando perfino il sospetto (sacrilegio!) che dietro quelle buone azioni, pensate e attuate a nostro esclusivo beneficio, ci siano inconfessabili ragioni, dettate dall’atavico bisogno di liquidità, dalla prosaica esigenza di fare cassa in tempi di magra assoluta. “Io mi sacrifico per voi e questo è il vostro ringraziamento” urlava Capitan Uncino alla sua ciurma. Sì, il mondo si divide in “gente per bene e gente per male”, secondo il manicheismo del ministro Brunetta, che tanto deve alla filosofia di Tuco (Eli Wallach, nel film di Sergio Leone Il buono, il brutto e il cattivo) quando considerava che “gli speroni si dividono in due categorie: qualcuno passa dalla porta e qualcuno dalla finestra”.
Pochi, di quelli che contano, passano però dal tratto autostradale Bagnara-Scilla, altrimenti non si spiegherebbe la decisione di installare, nientemeno, il “safety tutor” nel macrolotto più disgraziato dell’intera Salerno-Reggio Calabria. Siccome già si procede a passo di lumaca, quando non si rimane bloccati a causa di qualche incidente o guasto che impedisce anche alle autoambulanze di farsi largo nel doppio senso intasato di vetture, si è pensato bene di ridurre ulteriormente i tempi di percorrenza. Come se, in condizioni “normali”, fosse un susseguirsi continuo di prestazioni record. Per non incorrere nelle prevedibili salatissime multe, non bisogna superare i 40 km/h di velocità media. Buona fortuna, è proprio il caso di augurarlo, a tutti i pendolari da e per Reggio Calabria.
In un paese serio, i cittadini penalizzati – e quelli che quotidianamente devono incrociare le dita e pregare San Cristoforo prima di immettersi sull’autostrada lo sono – andrebbero ricompensati per i disagi patiti. Da noi, invece, cornuti e mazziati. Come quando, sempre tra Bagnara e Scilla, era stato collocato l’autovelox in un rettilineo in discesa, un tratto in cui era praticamente impossibile andare a 40 km/h. Ovviamente, l’avevano fatto per la nostra incolumità, salvo toglierlo definitivamente dopo che qualcuno aveva pensato di risolvere la questione con le cattive, spaccandolo. Anche sulla vicenda del tutor si sono già levate voci di protesta, comprese quelle istituzionali del sottosegretario all’Ambiente Elio Belcastro (una decisione “offensiva per tutti coloro i quali, con indicibili disagi, sono obbligati a percorrere l’autostrada”) e del consigliere regionale Luigi Fedele. Tanto che la prefettura si è sentita in dovere di precisare che il “safety tutor” non è ancora in funzione, nonostante sia stato installato. Non è detto, però, che non lo sarà e, in ogni caso, il danno è già stato fatto. File lunghissime, causate da automobilisti convinti che il sistema sia in funzione, frenate improvvise e tamponamenti.
Catilina sta davvero abusando della nostra pazienza. Non sarebbe male se lanciasse un segnale di distensione, decidendo di smontare il tutor e, nel frattempo, segnalando con appositi cartelli che non è in funzione.

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La notte più bella della mia vita

La notte più bella della mia vita era dicembre, ma non era ancora Natale. L’aria era gelida, la sentivo sul naso e sulle orecchie mentre aspettavo di potere andare da Lei. Un lettino da dividere in due, in una stanza che da letto non era.
La colonna sonora del nostro incontro la intonò Patti Smith: Because the night, la sigla di Fuori orario che ci sorprese sotto le lenzuola. L’ascoltammo fino all’ultima parola, perché “l’amore è un banchetto sul quale ci sfamiamo” e perché “la notte appartiene agli amanti”.
Ci sussurrammo le nostre vite passate, quasi volessimo azzerare la storia e fare ripartire il cronometro da noi, con il racconto del tempo che non avevamo vissuto insieme.
Ci separammo all’alba. Percorsi a piedi la strada deserta del ritorno, in un’aria di vetro. Ero il re del mondo e, mentre una luna pallida e infreddolita mi scrutava, camminavo in pace, sotto le ultime stelle mute. Non avevo bisogno di niente.
La notte più bella della mia vita è stata un battito d’ali.

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