Emergenza rifiuti, inceneritori, raccolta differenziata, Piana Ambiente, discariche, isole ecologiche, campane per la plastica e per il vetro, raccolta della carta, dell’alluminio, dei medicinali scaduti, delle pile esaurite e dei materiali ingombranti. A volere affrontare la questione dello smaltimento dei rifiuti, c’è soltanto da scegliere l’argomento dal quale cominciare. La cosa più sensata, invece, è partire da noi stessi, dall’avere noi “comunità” il dovere di rendere e mantenere pulito il paese. Allora diventa questione di educazione civica, un problema “nostro”. Se non facciamo nulla per facilitare il compito a chi gestisce la raccolta della spazzatura e siamo soltanto bravi a lamentarci perché il paese è sporco, come se noi non avessimo in questo alcuna responsabilità, “loro” diventano il comodo alibi per la nostra inciviltà. Se piazza Matteotti, tanto per fare un esempio, è un tappeto di cartacce e lattine nonostante sia disseminata di cestini, principalmente di chi è la colpa?
Dentro ai cassonetti si può trovare di tutto: materassi, biciclette, sedie, materiale ferroso, scatoloni più grandi del cassonetto stesso, che li riempiono completamente. I sacchetti dell’immondizia finiscono così fuori, dato che in pochi – tra l’altro – si prendono la briga di fare un giro per trovare quello meno pieno o fanno lo sforzo di aprire il lato posteriore, dove in genere rimane dello spazio anche quando davanti non entra più uno spillo. Cominciamo quindi con il seguire qualche utile accorgimento.
Tredici anni dopo, la stessa sensazione di vuoto
Tredici anni fa se ne andava il più grande cantautore italiano, lasciando un senso di vuoto che il tempo non ha lenito. Un dolore dentro al petto, come quelli che proprio Fabrizio De André aveva sempre cantato, regalandoci ritratti umanissimi di personaggi derelitti, abbandonati ai margini della società, sui quali posava il suo sguardo sensibile e comprensivo, rendendoli visibili a tutti. Uno sguardo che non voleva certo esprimere un giudizio, visto che è sempre difficile stabilire cosa sia giusto e cosa sbagliato. Ladri, prostitute, travestiti, drogati, assassini, umanità pescata nei bassifondi, che “viaggia in direzione ostinata e contraria” tra il piscio e il vomito dei suburbi, ai quali va però riconosciuto – con maggiore forza rispetto a chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in un contesto migliore – il diritto a cercare di “consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”.
Considerare Faber un cantautore è riduttivo. I suoi testi sono ormai nelle antologie di letteratura e anche se non amava essere definito un “intellettuale”, è stato un influentissimo maître a penser, per generazioni di musicisti e non solo. Certificato dal fatto che c’è un “prima” e un “dopo” De André. Basta confrontare i suoi testi con quelli dei suoi colleghi contemporanei. Mentre quelli erano ancora fermi, più o meno, alla rima “cuore/amore”, il cantautore genovese aveva già raccontato il suicidio in carcere di Miché, assassino per amore, e aveva pubblicato quel gancio allo stomaco che è, ancora oggi, l’album Tutti morimmo a stento.
Mi sono spesso chiesto cosa avrebbe detto oggi De André. E come l’avrebbe detto. Perché la sua discografia è studio e ricerca continua, non si accomoda mai sulla poltrona per godersi il successo, ma va sempre alla ricerca del nuovo, nei contenuti e nello stile. Echi di culture che Faber raccoglie e rimodella. Georges Brassens, la contestazione, i Vangeli apocrifi, Edgar Lee Masters, le collaborazioni con Giuseppe Bentivoglio, Francesco De Gregori, Massimo Bubola, la Premiata Forneria Marconi, Ivano Fossati. Una ricerca che raggiunge la sua summa in Crêuza de mä, un capolavoro che, in sette tracce, racchiude tutta la cultura e le sonorità del Mediterraneo.
Fare una graduatoria tra le sue canzoni sarebbe blasfemo. Ci sono giorni in cui La domenica delle salme è un martello in testa, altri in cui ci lasciamo abbracciare dalla malinconia di Se ti tagliassero a pezzetti. Oggi non possiamo che respirare la nostalgia di Amico fragile, nella versione realizzata dal vivo con la PFM. Gli arrangiamenti della band di Franz Di Cioccio, in particolare la chitarra di Franco Mussida, fanno venire la pelle d’oca. Buon ascolto.
Con o senza referendum, il Porcellum andrà in soffitta
Riunita in camera di consiglio dalle 9.30 di oggi, al massimo entro domani la Corte costituzionale emetterà il responso sull’ammissibilità dei quesiti referendari. Rispetto a settembre, quando si concluse la raccolta delle firme, viviamo in un’altra era geologica. A Palazzo Chigi, non c’è più Berlusconi e, sospinto dalla crisi economica e da Napolitano, vi alloggia ora Mario Monti, coadiuvato da un governo di tecnici. Barzellette non ne racconta più nessuno, anche perché pochi hanno ancora la forza per ridere, dopo la manovra lacrime e sangue impostaci dall’Europa e dai mercati finanziari. Le alleanze politiche sono saltate, creando un rimescolamento delle forze in campo, con Pdl, Pd e Terzo polo a sostegno, più o meno convintamente, del governo, e Lega e Idv all’opposizione.
Inutile girarci attorno. La riforma della legge elettorale non è mai stato il primo pensiero per i partiti che compongono l’attuale maggioranza. Certo, fiutata la possibilità di utilizzare il referendum come un grimaldello per scardinare il bunker berlusconiano e per dare l’ennesima spallata al traballante governo uscito dalle urne nel 2008, alla fine Bersani e il Pd si sono accodati, dando anche un contributo rilevante nella raccolta delle firme, con i banchetti ospitati alle feste dell’Unità. Ma non è un mistero la simpatia, anche tra i maggiorenti democratici, per una legge elettorale che consente la nomina in Parlamento di rappresentanti docili e riconoscenti per la grazia ricevuta.
Da giorni, giornalisti e politici avanzano ipotesi sui possibili scenari. Alcuni pronosticano una bocciatura “politica”, che consentirebbe di andare al voto con l’attuale legge se improvvisamente dovesse cadere il governo. Ma anche, da un’altra prospettiva, per dare al Parlamento il tempo di mettere mano alla materia elettorale con calma se, nonostante le fibrillazioni, Monti dovesse durare fino al 2013. Ha ragione Di Pietro quando avverte che “qualcuno tenta di buttare in politica una valutazione che deve essere solo tecnica e di costituzionalità”. Ma la Corte costituzionale può assumere una decisione “politica” senza compromettere il funzionamento stesso della nostra democrazia?
Il parere positivo dei giudici costituzionali aprirebbe la strada alla consultazione referendaria e l’eventuale abrogazione del Porcellum, comportando il ritorno in vigore del Mattarelum – sistema elettorale non particolarmente gradito dalle forze politiche – costringerebbe il Parlamento ad approvare al più presto una nuova legge. Se la Consulta dovesse invece bocciare i quesiti, rimarrebbe tutto com’è. Le firme raccolte (un milione e duecentomila) sono però un segnale che i partiti non possono ignorare. Ammissibilità o meno, l’attuale legge andrà cambiata e i partiti saranno costretti al confronto parlamentare, anche se non sarà semplice raggiungere una sintesi. Il Pdl punta a non stravolgere l’attuale sistema elettorale e a preservare il bipolarismo. Il Pd preferirebbe l’uninominale a doppio turno, soluzione invisa a Pdl e centristi. Un compromesso si potrebbe ottenere con il sistema elettorale tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento) o una sua variante, ma indipendentemente dal sistema che si sceglierà, sarebbe intollerabile non riconoscere ai cittadini la facoltà di scegliersi i propri rappresentanti in Parlamento.
Non c’è due senza tre
“Alla vostra destra, per la trecentocinquantesima volta, potete ammirare la Sagrada Familia”! Appena ho saputo che Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea avrebbero nuovamente fatto tappa a Sant’Eufemia, mi sono tornate in mente le parole di Tonino, il mio compagno di liceo più simpatico, perennemente in ritardo – minimo un quarto d’ora tutte le mattine – e dedito ai passatempi più incredibili durante le ore di lezione. Su tutti, l’incisione artistica del banco con il coltellino. Si era alla gita del quinto liceo e dopo un viaggio epico in treno fino a Genova e in autobus fino a Lloret de Mar, dove alloggiavamo, ci toccò visitare Barcellona. Purtroppo per noi, Jim Morrison (l’autista del pullman, che indossava una giacca in pelle nera molto Doors) si incartò nel traffico della capitale della Catalogna e, per quasi un’ora, ci fece girare attorno alla basilica ideata da Gaudì, prima di riuscire ad imboccare una via d’uscita.
Sì, lo so che Cavallaro e Papandrea sono il fenomeno musicale calabrese degli ultimi due anni. Citula d’argentu mi piace pure. Ma tre volte in sei mesi è troppo. E pensare che quando furono portati ad agosto, in occasione della sagra della patata, più d’uno all’interno dell’amministrazione comunale arricciò il naso e commentò che non sarebbe andato nessuno a vederli. Ma nella vita c’è sempre tempo per rivedere le proprie opinioni, anche se quelli disposti ad ammettere un errore di valutazione sono merce rara. In genere, prevale la sindrome di Fonzie, che non riusciva mai a pronunciare per intero la frase “mi sono sbagliato”. Un mese dopo, a grande richiesta, tornarono per festeggiare la patrona del paese. Ieri, hanno chiuso le festività natalizie. Al solito, si passa da un eccesso all’altro.
Tornando al Natale, bisogna ammettere che si è festeggiato poco. Anche perché non c’era granché da fare baldoria, visti i tempi. Il cartellone delle iniziative è stato comunque abbastanza nutrito. L’inaugurazione della sezione locale dell’Avis, intitolata al medico Pasquale Gioffrè; il concerto natalizio del coro parrocchiale polifonico “Cosma Passalacqua”; l’interpretazione di poesie e canzoni sulla natività, a cura dell’associazione Terzo Millennio; la Tombolata organizzata dall’Agape; il Premio Sant’Omobono, a cura dell’associazione dei sarti; la Giornata della Famiglia (Comitato feste); la partita di calcio tra il Sant’Eufemia e la squadra dell’oratorio parrocchiale “Don Bosco”; l’esibizione del gruppo folcloristico locale presso la Rsa “Antonino Messina”; la visita ai presepi di Tropea e alla chiesetta di Piedigrotta (Pizzo) per gli anziani (amministrazione comunale e Agape).
Mancava la ciliegina sulla torta, per chiudere col botto. In una serata spartiacque tra la tournée del 2011 e quella del 2012. Una sorta di dylaniano Never Ending Tour in salsa taranta. Per cui, non è detto che sia finita qua. Potrebbero tornare per Carnevale, poi per festeggiare l’inizio della primavera, a Pasqua e così via. Anche se sarebbe preferibile che gli artisti “girassero”, come disse l’ex premier riferendosi ad altri generi di intrattenimento.
La “morte” di Fidel su Twitter
Il meccanismo è sempre lo stesso. Al tempo di Twitter, l’informazione viaggia alla velocità di un cinguettio. Quello che serve per dare fiato ad una bufala e farla correre il più veloce possibile. Tweet. Retweet. E il gioco è fatto. Cambio di consonante e una notizia, invece di essere propagata, viene propalata. È toccato a Fidel Castro. Per la seconda volta in sei mesi. Evidentemente, al popolo di Twitter il “Lìder Maxìmo” sta poco simpatico. Tanto che, svelata la fandonia, i giornali di lingua spagnola hanno prontamente titolato: “Twitter mata a Fidel” (“Twitter uccide Fidel”). Tutto è iniziato con un messaggio apparso a notte fonda: “Attenzione, Cuba Press ha verificato la morte di Fidel Castro. Stasera la comunicazione ufficiale dal governo del Paese”. Ripresa e rilanciata dagli utenti del social network, in breve tempo la notizia è balzata in testa ai TT (trending topics, gli argomenti più discussi): commenti degli utenti, richieste di conferme, dubbi dei giornalisti di mezzo mondo, sublimati dall’amara considerazione della popolarissima blogger cubana Yoani Sanchez: “Amici, il giorno che questo rumor sarà verità, noi cubani saremo gli ultimi a saperlo”.
Dal 2006, da quando Castro è scomparso dalla scena pubblica, escluse le brevi apparizioni ad uso propagandistico per smentire le voci sulla gravità delle sue condizioni di salute, l’attesa per l’epilogo della vicenda umana si intreccia con l’incertezza per cosa ne sarà di Cuba. I regimi hanno sempre la faccia del dittatore che li guida. Volitiva nella fase di massimo splendore, incartapecorita quando la parabola scende inesorabilmente. Caso scolastico, la gerontocrazia del Pcus nella fase terminale dell’esperienza storica sovietica, mummificata come il corpo di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa e rappresentata plasticamente dai volti dell’ultimo Breznev, di Andropov e Cernenko, superstiti travolti dalla perestrojka gorbacioviana. Nonostante il passaggio del testimone al fratello Raul (un ottantenne, non un giovanotto di primo pelo), è altamente probabile uno scenario già visto altrove. Una caduta rovinosa che trascinerà giù tutto, persone e impianto dello Stato. E se i sostenitori di Fidel temono che l’isola caraibica possa diventare nuovamente il “bordello” degli Stati Uniti, è pur vero che la fine di un’epoca può innescare processi imprevedibili e incontrollabili.
Per i regimi, la rete è un nemico in più. I new media stanno mettendo a dura prova pratiche sedimentate, rivoluzionando il sistema di reperimento e diffusione delle notizie. Alcuni accorgimenti sono però ineludibili. Pur di primeggiare, c’è chi non si fa scrupoli se deve saltare il fondamentale passaggio della verifica. Ed è un gioco da ragazzi mettere in circolo una panzana, per vedere l’effetto che fa, per gioco o tendenziosamente. Si riapre così, periodicamente, il dibattito sull’informazione al tempo dei social network, alimentato dalle considerazioni che la divulgazione di una falsa notizia inevitabilmente suggerisce. Come nel caso della “morte” di Castro, preceduta – nei giorni scorsi – dalla bufala sul ricovero in ospedale di Nelson Mandela e dal “decesso” di Paolo Villaggio. Social media e citizen journalism sono realtà imprescindibili per chi fa informazione. Non possono però godere di alcuna franchigia deontologica. Chi non verifica una notizia prima di lanciarla (o rilanciarla), che lo faccia sulla carta stampata o che lo faccia sul web, nella migliore delle ipotesi è un incompetente, nella peggiore un farabutto.
Il 2011 dalla A alla Z
A – AZZARÀ. È durata quattro mesi la prigionia di Francesco Azzarà, logista presso un centro pediatrico aperto da Emergency a Nyala, nel Darfur meridionale. In mano a una banda di sequestratori sudanesi dal 14 agosto, il cooperante di Motta San Giovanni (RC) è stato rilasciato il 16 dicembre, dopo che il suo rapimento aveva provocato una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica.
B – BIN LADEN. Nel decennale dell’attacco qaedista alle Torri Gemelle, lo “sceicco del terrore” viene scovato ed eliminato in un nascondiglio ad Abbottabad, in Pakistan, il 2 maggio. Il corpo di Bin Laden viene poi gettato in mare. L’immagine che passerà alla storia ritrae il presidente Obama, il vice Biden, Hillary Clinton, il capo del Pentagono e lo staff presidenziale mentre seguono in diretta il blitz dei Navy Seals dalla Situation Room della Casa Bianca.
C – CATASTROFI NATURALI. L’Italia frana e ogni temporale diventa un’emergenza ambientale. Anche il 2011 piange parecchie vittime (5 nelle Marche e in Romagna, 12 nello spezzino e in Lunigiana, 6 a Genova e 3 nel messinese) e conta danni per milioni e milioni di euro. La devastazione ambientale e l’incuria dell’uomo sono il migliore alleato della natura, che ogni tanto si ribella e lascia dietro di se soltanto fango e morte.
D – DSK. Annus horribilis per il direttore generale del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn, passato dall’altare della possibile sfida a Sarkozy per la conquista dell’Eliseo al carcere, accusato di tentata violenza sessuale ai danni della cameriera di un hotel di New York. Accuse rivelatesi infondate, che hanno alimentato le voci di un complotto politico. Prosciolto negli Usa, DSK è stato successivamente accusato di molestie in Francia.
E – EURO. Lo strappo di Londra, il tandem Francia/Germania, le due velocità dell’Europa, zavorrata dal peso del debito dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) e dalla sofferenza dei conti italiani. La crisi del debito “sovrano” in Grecia è stata la spia della difficoltà dell’eurozona. Il rischio è che sulla moneta unica si scateni la resa dei conti: “salvare l’Euro o salvare l’Europa?”. Senza unione politica, il destino dell’euro sembra segnato.
F – FUKUSHIMA. Il numero delle vittime provocate dal terremoto (8.9 scala Richter) e dallo tsunami che ha colpito il Giappone l’11 marzo è incerto (circa 30.000), ma la tragedia della centrale nucleare di Fukushima avrà conseguenze sull’ecosistema dell’intero pianeta per i prossimi decenni. Radiazioni, contaminazione dell’aria e del sottosuolo: il disastro ecologico ha indotto la Germania ad abbandonare l’energia atomica; in Italia, un referendum ha chiuso la porta al nucleare.
G – GURU. “Stay hungry, stay foolish” (Siate affamati, siate folli), il monito lanciato da Steve Jobs ad una platea di neolaureati quando già il male lo stava divorando. Vinto dal cancro il 5 ottobre, il cofondatore di Apple e ideatore di prodotti tecnologici innovativi come l’iPhone e l’iPad è diventato un’icona, un “genio creativo e visionario” paragonato a straordinarie personalità del passato (Leonardo, Newton, Einstein) per la capacità di incidere sul corso della storia.
H – HASHTAG. Il 2011 è stato l’anno di Twitter. Dalla Primavera araba alla crisi di governo italiano, alle manifestazioni degli Indignati, non c’è stato avvenimento che non sia stato raccontato da protagonisti e testimoni comuni armati di smartphone. Simbolo di questo nuovo modo di raccontare la cronaca è l’hashtag (#), l’etichetta che raccoglie i tweet su un determinato tema. #yearinhashtag, ideato da Claudia Vago, Luca Alagna, Marina Petrillo, Maximiliano Bianchi e Mehdi Tekaya sintetizza dodici mesi di notizie “da un punto di vista particolare: la Rete e i suoi utilizzatori”.
I – IRAQ. Otto anni e 4.474 morti dopo gli Usa lasciano l’Iraq. Per le vittime irachene il bilancio è incerto: almeno 100.000 tra militari e civili, “effetti collaterali” dei bombardamenti di villaggi sospettati di nascondere truppe fedeli al regime di Saddam. Delle cause portate a pretesto per scatenare la guerra (appoggio ad Al-Qaeda e programma di armamenti di distruzione di massa) nessuna si è rivelata fondata. L’eliminazione di Saddam non ha pacificato l’Iraq e il ritiro dell’esercito Usa lascia un grosso punto di domanda sul futuro di Baghdad.
L – LACRIME. Quelle di Elsa Fornero, ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Monti, durante la presentazione della manovra economica “lacrime e sangue” (tanto per restare in tema). Ma soprattutto le nostre, se tagli al welfare, tasse e aumenti vari non saranno compensati da misure per la crescita. Ora come ora, l’impressione è che a pagare saranno i soliti, mentre altri soliti la faranno franca, visto che rendita, patrimoni e privilegi sono stati appena scalfiti. Non ci resta (davvero) che piangere.
M – MONTI. Anche se un suo ministro piange, il professore rimane impassibile, tanto da continuare ad illustrare i contenuti della riforma previdenziale e, bando alla ciance, “correggimi; commuoviti ma correggimi”. Invocato come il salvatore della patria per porre un argine ai disastri del governo Berlusconi, con Monti l’Italia sta lentamente riguadagnando la credibilità che scandali, “cene eleganti” e altre amenità del genere avevano affossato. Il Paese però appare sfiduciato e depresso. Il 2012 sarà un anno di ulteriori sacrifici.
N – NIPOTE DI MUBARAK. È stata la bufala dell’anno, ma l’Italia è un Paese talmente bizzarro che ha ricevuto l’avallo istituzionale. Ruby “rubacuori”, amichetta del premier finita in Questura per un litigio con una prostituta brasiliana, è la nipote marocchina dell’ex leader egiziano Mubarak. L’ha stabilito la Camera dei deputati votando la richiesta di sollevare davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione nei confronti dell’autorità giudiziaria per spostare il processo “Ruby” dal Tribunale di Milano al Tribunale dei ministri. La degna chiusura del ciclo berlusconiano.
O – OCCUPY WALL STREET. Per il magazine statunitense “Time” è il contestatore la “persona dell’anno 2011”. Dagli Indignados in Spagna, scesi in piazza a maggio per manifestare contro le misure economiche del governo Zapatero, a Piazza Tahrir, dove sboccia la primavera araba, a Zuccotti Park, luogo simbolo della protesta nel cuore di Manhattan sgomberato a metà novembre, dopo due mesi di occupazione, è un susseguirsi di manifestazioni culminate con la giornata mondiale dell’indignazione, il 15 ottobre.
P – PRIMAVERA ARABA. È appena iniziato l’anno quando muore Mohamed Bouazizi, laureato disoccupato e venditore ambulante abusivo che a dicembre si era dato fuoco in segno di protesta per le condizioni di miseria in cui vive gran parte della Tunisia. Inizia la “primavera araba”: migliaia di giovani si riversano in piazza e costringono il presidente Ben Alì alla fuga. La rivolta contagia il Nord Africa. Piazza Tahrir, al Cairo, diventa l’epicentro della rivolta egiziana, che costringe Mubarak a passare la mano ai militari. Quindi è la volta della Libia, che si solleva contro Gheddafi e, grazie al sostegno decisivo dell’Occidente, pone fine alla dittatura ultraquarantennale del rais.
Q – QUATTRO SÌ. Dopo 24 quesiti affossati consecutivamente a partire dal 1995, il 12-13 giugno è stato raggiunto il quorum necessario per rendere valida la consultazione referendaria. Le urne hanno detto che gli italiani sono contrari al nucleare e alla privatizzazione dell’acqua. Ma hanno anche bocciato Berlusconi, già bastonato nelle amministrative di maggio, cancellando la legge sul “legittimo impedimento”, una delle tante leggi ad personam licenziata dal Parlamento dei “nominati”.
R – ROYAL WEDDING. Il “matrimonio reale” tra William e Kate è stato l’evento mediatico dell’anno. Seguito in diretta televisiva e sul web da oltre due miliardi di spettatori in tutto il mondo, il “sì” pronunciato nell’abbazia di Westminster ha riconciliato la monarchia Windsor con il popolo inglese, che non aveva mai completamente elaborato il lutto per la perdita di Lady D. La favola moderna della giovane coppia reale ha tutti gli ingredienti per soddisfare la richiesta di sogno presente, in tutti i tempi e ad ogni latitudine, presso l’opinione pubblica.
S – SPREAD. Non avremmo mai sospettato che il nostro primo pensiero, una volta svegli, potesse essere rivolto allo spread. Ormai il nostro umore sale e scende in maniera inversamente proporzionale all’andamento della differenza di rendimento tra i Bund tedeschi e i Btp italiani. Superata quota 500, chiamiamo il 118. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana lo spread ha fatto cadere un governo e ne ha issato un altro. È il primato dell’economia sulla politica.
T – TELEVISIONE. Non siamo ancora al superamento del duopolio Rai-Mediaset, ma segnali di novità importanti arrivano dall’ascesa di La7, trascinata dall’effetto Chicco Mentana e da una politica semplice, favorita dallo smantellamento dell’azienda di viale Mazzini. La Rai si lascia scappare i pezzi pregiati e mantiene fino alla caduta di Berlusconi Minzolini, autore del “più brutto telegiornale della storia” (Aldo Grasso). A parte le quattro puntate di Fiorello, c’è poco da salvare. Interessante l’esperimento di Santoro, in onda su una “multipiattaforma” (emittenti locali, Sky, siti internet e radio).
U – UNITÀ D’ITALIA. Il 150° anniversario è stata un’occasione persa, scivolato nella retorica delle ragioni unitarie e identitarie, da un lato, e nella strumentalizzazione di un revisionismo politico prima che storiografico, dall’altro. Affidata alla penna di giornalisti polemisti più che al rigore scientifico degli storici, la ricostruzione del Risorgimento italiano si è per lo più trasformato in una “controstoria” buona soltanto per i rutti leghisti e per le parate in costume dei neoborbonici.
V – VASTO. Non sappiamo se qualcuno, contraddicendo la raccomandazione di Nichi Vendola, abbia strappato la foto di Vasto, che ritraeva sorridenti il leader di Sel, quello di Idv Antonio Di Pietro e il segretario del Pd Pierluigi Bersani, proiettati verso un’alleanza elettorale e di governo per il dopo-Berlusconi. La costituzione del governo Monti ha rimescolato le carte. Soprattutto l’approvazione della manovra economica ha raffreddato i rapporti tra chi l’ha votata (Pd), chi ha negato la fiducia (Idv) e chi, non avendo rappresentanti in Parlamento, si è ritrovato nel mezzo (strattonato ora dall’uno, ora dall’altro). Le sirene del Terzo polo potrebbero dare il colpo definitivo alle speranze di unità a sinistra.
Z –ZAPATERO. Che sia un periodaccio per la sinistra, anche a livello internazionale, lo conferma la parabola del premier spagnolo Zapatero, travolto dopo sette anni di governo dalla crisi economica: 5 milioni di disoccupati, rischio default e Indignados nelle piazze. Il leader del Psoe ha almeno salvato la faccia, dimettendosi prima della scadenza naturale del mandato e affidando il destino della Spagna ad elezioni anticipate, stravinte dal candidato del partito popolare Mariano Rajoy. Si chiude così una stagione di importanti conquiste in materia di diritti civili (la più nota, la legislazione sulle coppie omosessuali), guardata con interesse dalle sinistre di tutto il mondo.
Pubblicato il 31 dicembre 2011 su http://www.scirocconews.it/index.php/2011/12/31/lalfabeto-del-2011-dalla-a-alla-z/
Buon Natale
Buon Natale con le parole e la musica di Francesco De Gregori: “Natale di seconda mano”.
Perché non tutte le tavole stasera saranno imbandite come le nostre, perché quelli che non avranno niente da festeggiare saranno la maggioranza, perché l’Italia non può essere il Paese dei pogrom contro i senegalesi a Firenze e contro i rom a Torino.
Buon Natale
Un anno di piazze
Quando, sul finire del 2010, Mohamed Bouazizi si dà fuoco per protestare contro la polizia tunisina che gli aveva confiscato la frutta e la verdura che vendeva per guadagnarsi da vivere e per non pensare al foglio di carta rilasciatogli dall’Università, insieme ad un posto nella statistica dei disoccupati, mai avrebbe pensato che sarebbe presto diventato un novello Jan Palach capace di infiammare tutto il Nord Africa. Da Sidi Bouzid, la “rivoluzione dei gelsomini” contagia rapidamente le principali città tunisine. I manifestanti individuano il responsabile della disoccupazione, della miseria del popolo e della corruzione politica nel presidente Ben Ali, che il 14 gennaio viene costretto alla fuga. Le prime elezioni libere dall’indipendenza registrano in seguito la vittoria del partito islamista moderato, illegale sotto il regime.
Leitmotiv del 2011 è la piazza e i suoi dimostranti, per lo più giovani, con una elevata percentuale di donne, un particolare significativo per i paesi islamici. La copertina che il settimanale statunitense Time dedica alla “person of the year” ritrae proprio una manifestante con il volto coperto. Un’immagine vista a Tunisi, al Cairo, a Bengasi, ma anche a New York, a Roma, a Madrid, ad Atene. E sono di pochi giorni fa fotogrammi che passeranno alla storia e che immortalano il pestaggio della ragazza egiziana “dal reggiseno blu”.
La rivolta tunisina innesca la “primavera araba”, una coraggiosa sfida ai regimi accompagnata da una domanda di democrazia e di partecipazione senza precedenti, che viaggia principalmente sulla rete, attraverso gli aggiornamenti in tempo reale dei blogger e su Twitter, il social network che diventa strumento indispensabile per il “citizen journalism”. L’informazione passa dagli smarthphone dei manifestanti alla rete, raggiungendo ogni angolo del pianeta in barba a qualsiasi tentativo di restrizione della libertà. Yemen, Baharein, quindi l’Egitto, con piazza Tahrir, al Cairo, che diventa il luogo simbolo della sollevazione. Le cariche della polizia, i morti e gli arresti non fermano un processo irreversibile che si conclude con le dimissioni del presidente Mubarak, seguite dall’arresto e dal passaggio del potere ai militari. Dopo quarant’anni crolla anche il regime libico. L’opposizione a Gheddafi si organizza sfruttando le potenzialità del web, ma a sancire la fine del rais sarà la risoluzione 1973 dell’Onu che autorizza l’intervento della comunità internazionale per istituire una no-fly zone e per proteggere i civili.
Il 2011 infiamma le piazze di tutto il mondo. In primavera, gli indignados spagnoli costringono alle dimissioni anticipate Zapatero. A Manhattan, Occupy Wall Street per due mesi, fino al violento sgombero del 15 novembre, diventa il centro mondiale della richiesta di cambiamento nelle politiche sociali e occupazionali. Un’assemblea permanente a Zuccotti Park, culminata con la “giornata mondiale dell’indignazione” (15 ottobre), coinvolge oltre 1.000 città in tutto il mondo. Crisi economica, ricette inadeguate, reazione di una generazione che non si fida più dei suoi rappresentanti politici e, come nel ’68, ritira la delega, sono gli ingredienti della contestazione globale. La rete la sua arma più incisiva.
Assolutamente no
Che alcuni politici ritengano di godere dell’immunità ortografica è un sospetto insinuato tempo fa da Gian Antonio Stella, in un articolo che metteva alla berlina “l’onorevole ripetente” del Pdl Michaela Biancofiore, già nota per un criptico “mi vogliono distrutta, annientata, denigrata, scanzonata”. Il Parlamento è però lo specchio del Paese e i liberi interpreti della lingua italiana si trovano ovunque. Oltre agli errori da matita blu, esiste un campionario di parole, locuzioni, modi di dire di per sé corretto, o comunque tollerato, che induce comprensibilmente alla diffidenza e alla perplessità nei confronti di chi vi fa ricorso.
Partiamo da “assolutamente” (assolutamente sì; assolutamente no), una risposta secca e rinforzata in quest’epoca di labili certezze. A volte pleonastica. Di sicuro irritante. “Vieni al cinema?”. “Assolutamente no”. Come dire: “se me lo chiedi di nuovo mi offendo”. Un intercalare molto diffuso, equiparabile al “cioè” di qualche anno fa, finito gloriosamente in soffitta. La crociata contro l’utilizzo di “piuttosto che” con significato disgiuntivo, definito “inammissibile” dall’Accademia della Crusca, è invece una battaglia persa. Impossibile riuscire ad imporsi sulla schiera di conduttori, ospiti, concorrenti che vi ricorrono una frase su due. L’uso di “assolutamente” e “piuttosto che” per alcuni è chic. Beati loro. Sono gli stessi che concludono un elenco con “quant’altro”. Un modo per non dire nulla – o dire poco – lasciando il dubbio che di un determinato argomento si sappia tutto. Un approccio sbrigativo, superficiale, che mette al riparo da eccessive responsabilità. “Niente di che” vale per quel che sostiene (niente); “nel senso che” apre a considerazioni non richieste sul nulla. “Ho cenato, nel senso che avevo fame”. Grazie dell’informazione.
L’abuso del vezzeggiativo ha raggiunto dimensioni epidemiche. Da “cosina” a “sciarpettina” (più tutte le varianti fashion), fino all’intramontabile “attimino”, a volte sostituito dall’urticante “secondino”, è il festival delle smancerie. Poi ci sono alcune parole che, utilizzate al di fuori del loro habitat naturale, per essere digerite richiedono dosi massicce di bicarbonato. Pochi esempi: “interfacciarsi”, tratto dalla forma sostantivata (interfaccia) familiare agli ingegneri elettronici, indica impropriamente una relazione tra due soggetti; “attenzionare”, verbo orribile che sostituisce la locuzione “sottoporre all’attenzione”, analogamente ad “efficientare” (rendere efficiente) e “appuntamentare” (prendere un appuntamento); “inerzia”, utilizzato da molti telecronisti sportivi per descrivere situazioni (“si è spostata l’inerzia della partita”) che con l’inoperosità non c’entrano nulla. Pensavo che fosse finita l’epoca della “misura in cui”, lessico da assemblea sessantottina. In un libro scritto da un luminare di filosofia politica, sto invece constatando, con enorme stupore, la sua riesumazione, che si accoppia all’abuso dell’avverbio “parimenti”, altro reperto archeologico.
Il linguista Tullio De Mauro ha lanciato un preoccupante allarme sull’aumento dell’analfabetismo di ritorno: “il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e di comprensione di un testo scritto di media difficoltà”. D’altronde, alcune strutture grammaticali e sintattiche elementari sono addirittura ignorate da molti studenti universitari. La lingua s’impara solo se si leggono buoni libri, mentre la dipendenza televisiva e tecnologica sta uniformando verso il basso il livello della conoscenze. Per questo, invece di affossarli, sarebbe il caso di rilanciare gli studi umanistici. Assolutamente.
Finalmente libero Francesco Azzarà
La notizia è stata lanciata da Emergency su Twitter, alle 15.47:
Gino Strada: “Alte autorità del #Sudan ci hanno comunicato l’avvenuta liberazione di Francesco. Aspettiamo le conferme” #freefrancesco
Attendiamo ulteriori aggiornamenti, ma sembra proprio che stavolta ci siamo. Una bella notizia per Francesco, per Emergency, per l’Italia, per la Calabria, per Reggio, per i suoi familiari e amici, per chi, come me, prima di questa sua disavventura, non sapeva niente di lui.
Poco più di una settimana fa, sul blog, ero tornato per la seconda volta sulla sua vicenda e, sarà stata una coincidenza, dopo che l’articolo è apparso anche sul “Quotidiano della Calabria”, è stato un susseguirsi di altri interventi pubblici, tra cui quello del sindaco di Motta San Giovanni, che aveva preannunciato una grande iniziativa per chiedere nuovamente la liberazione di Francesco. Coincidenza o meno, sono felice per avere dato il mio piccolo contributo di sensibilizzazione attorno alla vicenda di Azzarà.
Buon Natale Francesco