Passeggiata storica/8

La penultima tappa del viaggio ricorda il più longevo e influente amministratore nella storia di Sant’Eufemia d’Aspromonte, ma riscopre anche una pagina di solidarietà dimenticata.

PANNELLO 8: MICHELE FIMMANÒ

Figlio dell’avvocato Ermenegildo e di Isabella Misiano, Michele Fimmanò nacque il 6 marzo 1830. A 21 anni conseguì a Napoli il diploma in lettere e filosofia e la laurea in giurisprudenza, quindi rientrò a Sant’Eufemia, dove esercitò la professione forense e mosse i primi passi della sua lunghissima carriera politica nel Decurionato, l’antenato del consiglio comunale in epoca borbonica. “Secondo eletto funzionante da sindaco” nel 1854, nel triennio successivo ricoprì la carica di primo cittadino. Consigliere comunale a partire dal 1864, fu eletto consigliere provinciale dal 1868 e riconfermato in entrambe le cariche fino alla morte, avvenuta l’11 febbraio 1913. Più volte sindaco, presidente del consiglio provinciale, commissario per il dopo terremoto del 16 novembre 1894 e componente del comitato di soccorso in occasione dell’incendio che il 18 settembre 1902 distrusse il rione “Borgo”, dopo il terremoto del 1908 fu il regista della composizione della lista unitaria che, sindaco il notaio Pietro Pentimalli, promosse la ricostruzione del paese nell’area denominata “Pezza Grande”. Commendatore nell’Ordine della Corona d’Italia, ricevette innumerevoli onorificenze e fu apprezzato oratore. La pubblicazione di alcuni suoi interventi pubblici conferma il prestigio di Fimmanò nel panorama politico e culturale del tempo.

CROCE VERDE
Prima di essere intitolata a Fimmanò la strada recava la denominazione “via Croce Verde”, in onore dell’associazione volontaria di soccorso fondata a Milano nel 1899 che, in occasione del terremoto del 1908, si distinse nel sostegno alla popolazione eufemiese con la raccolta di medicinali, tende, indumenti e coperte, oltre che con l’invio di volontari e dell’Automobile Ospedale “Pompeo Confalonieri”.

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Passeggiata storica/7

Nel cuore della “Pezzagrande” (o “Pezza Grande”), la costruzione della chiesa dedicata a Sant’Ambrogio rievoca la solidarietà dei milanesi nei confronti della popolazione eufemiese dopo il terremoto del 28 dicembre 1908.

PANNELLO 7: CHIESA DI SANT’AMBROGIO

Alle prime ore del 28 dicembre 1908 Sant’Eufemia fu squassata da un terremoto di magnitudo 7,5: la scossa tellurica durò 46 lunghissimi secondi e, abbattendosi su abitazioni già colpite nel 1894, nel 1905 e nel 1907 provocò una tragedia di enormi proporzioni. Il numero delle vittime non fu mai accertato con esattezza: l’elenco stilato dall’arciprete Luigi Bagnato riporta i nominativi di 530 vittime, mentre per la giunta comunale furono circa 700. I feriti furono più di duemila, il patrimonio edilizio perduto pari all’85%.
Nei giorni successivi giunsero in paese alcuni reparti dell’esercito, la Croce Rossa Italiana, la Croce Verde e i volontari dei comitati di Livorno e di Milano. Le autorità militari stabilirono di fare sorgere un nuovo baraccamento nell’area denominata “Pezza Grande”, dove furono realizzate le strade e 1.300 baracche. A marzo del 1909 fu inaugurato l’ospedale “Milano”, così denominato in segno di gratitudine nei confronti dei soccorritori lombardi. Il comitato lombardo di soccorso costruì inoltre l’acquedotto, tre fontane pubbliche, un lavatoio coperto e una piccola chiesa (6 metri per 16), al cui interno fu collocata la statua di Sant’Ambrogio, patrono di Milano, donata l’8 maggio 1909 alla comunità eufemiese dall’allora cardinale meneghino Andrea Carlo Ferrari.
Alla fine dei lavori di ricostruzione, i milanesi consegnarono alla comunità eufemiese la bandiera del proprio comune (croce rossa su sfondo bianco), la quale, con deliberazione del 9 marzo 1909, fu adottata quale bandiera del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
La chiesa di Sant’Ambrogio, nel suo aspetto attuale, è stata ricostruita intorno al 1970.

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Passeggiata storica/6

La sesta tappa ricorda un protagonista non autoctono di eventi che hanno fortemente inciso sulla storia sociale di Sant’Eufemia. Nel corso dello svolgimento della “passeggiata”, grazie alla testimonianza del nipote Gino, sono venuto a conoscenza della tragedia che si consumò durante la costruzione della linea ferroviaria eufemiese, quando il manovale trentaseienne Carlo Ciro Currao, originario di Sapri, morì scalciato da uno dei cavalli da tiro della ditta Chiuminatto. Il soprannome “i Giri”, ereditato dai discendenti, deriva dall’alterazione del nome proprio dello sfortunato operaio.

PANNELLO 6: GIACOMO CHIUMINATTO

Sul foglio di mappa del 1959 l’attuale via XXV luglio riporta ancora la denominazione “via Giacomo Chiuminatto”, nome del titolare della ditta che costruì il ponte di ferro (riconosciuto oggi “opera di archeologia industriale”) e la galleria nel tratto della linea taurense Sinopoli/San Procopio – Gioia Tauro, ricadente nel territorio di Sant’Eufemia. Nota anche come “Aspromontana”, sulla ferrovia “a scartamento ridotto” il trasporto delle merci e dei passeggeri avveniva su “carrozze automotrici” per le quali, all’inizio degli anni Trenta fu coniato il termine “Littorina”, in omaggio alla simbologia del Ventennio fascista.
Giacomo Chiuminatto nacque il 15 aprile 1884 a Bolzaneto (Genova), anche se la famiglia era di Cintano (Torino), dove è possibile ammirare Villa Aurora, sua residenza storica. Il cantiere della ferrovia, i cui lavori furono realizzati tra il 1923 e il 1927, gli fu affidato grazie all’amicizia con il gerarca e deputato Maurizio Maraviglia, nominato cittadino onorario di Sant’Eufemia in occasione dell’inaugurazione del Palazzo comunale e dell’acquedotto (marzo 1926).
Nella tradizione popolare il nome di Chiuminatto è legato ad una massima tramandata fino ai giorni nostri: “Pari u cavaddu i Chiuminatti” (o “Poti quantu o cavaddu i Chiuminatti”), in riferimento alla prestanza fisica di una persona. I cavalli da tiro utilizzati per il traino dei carrelli carichi di pietre e breccio, caratteristici per la fascia rossa legata ad una zampa, erano infatti noti per la loro straordinaria forza.
Nominato ufficiale dell’Ordine cavalleresco della Corona d’Italia con decreto del 16 settembre 1924, Giacomo Chiuminatto morì a Roma il 12 maggio 1951.

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Passeggiata storica/5

La quinta tappa omaggia uno dei più grandi studiosi del Risorgimento calabrese, il cui busto in bronzo fu scoperto il 29 dicembre 1932 all’interno della biblioteca De Nava di Reggio Calabria, dove sono custoditi circa 1500 libri appartenuti a Visalli. L’Archivio di Stato conserva invece i documenti utilizzati dall’illustre eufemiese per scrivere i suoi volumi di storia.

PANNELLO 5: VITTORIO VISALLI

Vittorio Visalli nacque il 15 ottobre 1859 da Ottaviano e Maddalena Imparato. La sua famiglia, coinvolta nei moti del 1848, era stata falcidiata dalla persecuzione borbonica. Il nonno Vitaliano morì braccato dalla polizia di Ferdinando II, lo zio Paolino si spense in carcere, lo zio Vincenzo fu condannato a sette anni di reclusione, il padre Ottaviano fu mandato al confino nell’isola di Ventotene.
Dopo avere conseguito la patente magistrale presso la scuola normale di Reggio, a partire dal 1876 insegnò in diversi istituti della provincia. Nel 1892 ebbe l’incarico di vicedirettore della scuola normale di Messina, dove visse fino al 1908 insieme alla moglie Giuseppina Augimeri e alla figlia Maddalena, entrambe decedute nel terremoto del 1908. Costituì l’associazione “Pro Calabria” e la “Società calabrese di storia patria”. Dal 1909 direttore della scuola normale di Catanzaro, sposò in seconde nozze Maria Mottareale e, nel 1914, fu destinato alla direzione della scuola normale di Tivoli. Negli ultimi anni di insegnamento, tra il 1923 e il 1926, fu preside dell’Istituto magistrale “Maffeo Vegio” di Lodi. Morì a Reggio Calabria il 27 giugno 1931.
Autore di manuali di storia e di geografia adottati in molte scuole del Regno d’Italia, conferenziere prolifico e apprezzato, diede alle stampe numerosi saggi e interventi pubblici. Il suo nome è legato agli studi storici sul Risorgimento calabrese, che approfondì in due volumi fondamentali: I Calabresi nel Risorgimento italiano. Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862; Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848).

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Passeggiata storica/4

Nella quarta tappa, il viaggio storico tra le strade cittadine rende omaggio ad un suo illustre figlio, martire per la libertà.

PANNELLO 4: CARLO MUSCARI

Figlio di Francesco e Lavinia Pugliatti, nacque a Sant’Eufemia il 18 marzo 1770. Compì gli studi umanistici a Roma, sotto la guida dello zio abate Giuseppe Maria Muscari (1713-1793), figura di rilievo nel panorama culturale e dottrinario del tempo che fu segretario di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (fondatore della congregazione del Santissimo Redentore) e in stretto rapporto con Papa Pio VI. Si laureò in legge a Napoli, dove già viveva il fratello maggiore, avvocato Giuseppe, che curò anche la formazione di un altro fratello, Gregorio. Coinvolto in una congiura giacobina, fu arrestato una prima volta nel 1794 e scarcerato su cauzione. Protagonista degli eventi che portarono alla proclamazione della Repubblica Napoletana, il 20 gennaio 1799 Carlo Muscari partecipò alla presa del castello di Sant’Elmo. Comandante della legione “Bruzia” (o “Calabra”), fu tra i sette membri della “Commissione pel piano delle Finanze”, e, insieme al fratello Gregorio, componente della Commissione “degl’informi”, che si occupava dell’epurazione della burocrazia borbonica e della sua sostituzione con un personale fedele al nuovo corso. Arrestato dopo la capitolazione dei repubblicani, fu condannato a morte e impiccato in piazza Mercato, il 6 marzo 1800.
A cent’anni dalla morte, l’amministrazione comunale di Sant’Eufemia fece collocare all’interno del municipio una lapide in marmo, poi andata distrutta, con scolpite le parole dettate da Vittorio Visalli: «Tradita la fede dei patti/ da bieca voluttà di tiranni/ CARLO MUSCARI/ milite della Repubblica Partenopea/ moriva strangolato a Napoli/ il 6 marzo 1800/ I cittadini eufemiesi dopo 100 anni/ a ricordo ed esempio».

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Passeggiata storica/3

Per giungere alla terza fermata occorre inerpicarsi lungo la ripida salita che collega il “Paese Vecchio” all’area denominata “Petto del Principe” (più comunemente: “Petto”). La sosta, a poche decine di metri dalla vetta, consente al viandante di prendere fiato prima dello strappo finale.

PANNELLO 3: IL CALVARIO

Il “Calvario” (via Roma) collega il “Vecchio Abitato” con il “Petto del Principe”, il pianoro che si estende verso la “Pezza Grande”. Lo sviluppo urbanistico successivo al terremoto del 5 febbraio 1783 interessò il “Petto” e la zona alta del paese, dove alcuni notabili costruirono la propria abitazione. In cima al “Calvario” dominava Palazzo Fimmanò, mentre a metà strada si trovava Palazzo Capoferro, i cui ruderi sono ancora oggi visibili. La denominazione popolare trae origine dal monumento che riproduce la scena delle Tre Croci. Realizzato nella metà del XIX secolo, dalla relazione redatta il 25 marzo 1846 dall’ingegnere Gaetano Oliverio (autore del progetto, su incarico del sindaco Paolo Capoferro), si apprende che un’opera simile, preesistente, era andata distrutta nel corso degli anni.
Luogo dalle mille suggestioni, al “Calvario” il poeta Domenico Cutrì (27 luglio 1902 – 13 dicembre 1983) ha dedicato due liriche:

Lu Carvariu

«Quantu voti passandu di sta via
m’indinucchiai vicinu a stu carvariu
sgranandu cu la menti nu rusariu
’nsuffraggiu di la morta mamma mia.
E mentri ch’iu pregava cu fervuri,
ogni divotu chi di ccà passava
cu fidi na candila ci ddumava
sutta li pedi di nostru Signuri.
St’artari misu ’mmenzu a ddù paisi
d’ogni fidili canusci li peni,
pari ca dici: «vulitivi beni
senz’odiu, senza chianti, ma surrisi».
O vecchiaredda cu la testa janca
chi ’nchiani pe la strata purvirusa,
avvicinati, o matri dulurusa,
dammi la manu si ti senti stanca…
… e quandu simu ni lu crucivia
ogn’unu pigghia pe lu so’ caminu,
s’abbrazza lu so’ pallidu Destinu,
lu bagagghiu pisanti e… Cusì sia!

[Cascami. Poesie dialettali, 1965]

Sulla strada del Calvario

Lasciatemi salire
arrancare ancora una volta
per questa pietraia.
Lasciatemi baciare ancora
la croce arrugginita
dell’icona.
Sarà l’ultima volta.

[L’eterno sentire. Liriche, 1974]

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Passeggiata storica/2

La seconda tappa del percorso storico all’interno delle vie del paese ci porta nella casa di un grande artista eufemiese.

PANNELLO 2: CARMELO TRIPODI

Carmelo Tripodi nacque il 28 aprile del 1874 da Giuseppe e Teresa Filardi. Cresciuto nella bottega dell’artista eufemiese Giosuè Versace, nel 1895 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Messina. Al termine degli studi aprì nel paese natio uno studio di pittura e scultura. Nel 1906 espose all’Esposizione Campionaria Internazionale di Palermo le opere “Galileo Galileo” e “Sant’Antonio abate”, che gli procurarono le più alte onorificenze. L’anno successivo si impose nel Premio Concorso Internazionale “Gran Coppa d’Italia”, mentre nel 1912-1913 fu componente della Giuria d’Onore all’Esposizione Internazionale di Parigi. Molti quadri, sculture e opere architettoniche di Tripodi sono custoditi nelle chiese della provincia di Reggio Calabria. Altre opere fanno invece parte di preziose collezioni private; molte sono state invece distrutte dal terremoto del 1908, tra le quali l’altare della chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Artista dal “multiforme ingegno”, sviluppò una personalissima tecnica nella lavorazione di stucchi, creta, cartapesta ed estese il suo campo d’interesse alla musica e alla fotografia. Sono suoi gli scatti che testimoniano la distruzione del paese e la sofferenza della popolazione eufemiese in occasione del tragico evento sismico. Morì il 31 marzo 1950.
Capostipite di una “dinastia d’arte”, la sua eredità è stata raccolta dai figli Agostino, Graziadei (restauratore di Giotto e dei grandi trecentisti) e Domenico Antonio (“L’aspromontano” pluripremiato in tutto il mondo per le sue opere, tra le quali vanno ricordate “Il filosofo” e il monumentale ciclo pittorico della Divina Commedia).

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Passeggiata storica/1

Inizio oggi la pubblicazione in nove puntate dei pannelli storici collocati in diversi punti del paese, in occasione della “passeggiata storica” del 9 agosto.

PANNELLO 1: NUCARABELLA

Il toponimo “Nucarabella” trae origine dall’omonimo torrente che lambisce la chiesa di S. Maria delle Grazie e scorre sotto piazza don Minzoni. Indica sia la fontana monumentale realizzata nel XIX secolo, sia l’intera area circostante. Prima dell’introduzione del servizio idrico nelle abitazioni, costituiva per la popolazione eufemiese un fondamentale punto di approvvigionamento d’acqua, che veniva raccolta e trasportata con “bombole” (orci) e “cortare” (lancelle). Le vasche collocate nello spazio retrostante alla fontana venivano invece utilizzate dalle donne per il lavaggio di biancheria, vestiti e panni. Come tutti i lavatoi pubblici, rappresentava anche un significativo luogo di socializzazione.
Secondo la tradizione popolare, la zona fu teatro della relazione tra la popolana Clementina e un nobile del posto, protagonisti di una storia d’amore capace di imporsi sulle severe convenzioni sociali del tempo. Qui infatti i due innamorati si incontravano, all’ombra di un grande albero di noci. Il toponimo nascerebbe quindi dall’espressione rivolta dal giovane all’amata: «Sta nucara è beddha comu a tia».
Alla fine del XIX secolo, accanto alla fontana l’amministrazione comunale edificò il mattatoio pubblico, che fu tra le poche costruzioni rimaste quasi intatte dopo il terribile sisma del 1908. Dal 2004 il fabbricato ospita il Piccolo museo della civiltà contadina, ideato e diretto da Caterina Iero.
Alla “Nucarabella” il poeta Domenico Cutrì (27 luglio 1902 – 13 dicembre 1983) ha dedicato i versi nostalgici della lirica “La tua voce”:

Dopo anni e anni di silenzio,
stamane ho udito la tua voce
confusa col murmure del fiume Nucarabella:
mi ha chiesto cose
che non saprei più dirti,
né darti.

[L’ultimo volo, 1985]

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Un tuffo nella storia, tra le vie del paese

La due giorni di storia, organizzata insieme all’Associazione culturale Aspromonte e all’amministrazione comunale, è stata tanto intensa quanto divertente. Alla fine della presentazione dell’ultimo pannello illustrativo, non sono riuscito a trovare un aggettivo più appropriato per descrivere il mio stato d’animo. Mi sono davvero divertito tanto. Un mio amico, da ex docente, mi ha fatto notare che non c’è niente di più bello che avere davanti gente che ti ascolta. Probabilmente questa chiave interpretativa è veritiera.
La presentazione del libro “Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea” nel vialone della pineta comunale mi ha dato la possibilità di approfondire aspetti della storia del nostro paese che in altre occasioni, per ragioni di tempo, non avevo potuto affrontare. Dal tavolo dei relatori, il colpo d’occhio era suggestivo per la presenza di un pubblico composto in particolare da eufemiesi emigrati, per i quali l’iniziativa era stata pensata. Ho trovato azzeccatissima la formula “domanda e risposta” con la moderatrice Monia Sangermano, perché ha facilitato la mia esposizione e contribuito a mantenere sempre alta l’attenzione dei partecipanti.
La “passeggiata storica” è stata una piacevole sorpresa. Dalla “Nucarabella” alla pineta comunale, i partecipanti hanno affrontato un autentico viaggio nel tempo, non a caso iniziato nel “Paese Vecchio” e concluso nel rione “Pezzagrande”, dopo avere attraversato il “Petto”. Il percorso che si è snodato lungo le vie del paese ci ha consentito di attraversare due secoli di storia e di soffermarci, nei nove punti di installazione dei cartelli illustrativi, sugli avvenimenti e sui personaggi che hanno fatto la storia di Sant’Eufemia. Una sorta di “museo all’aperto”, che offre una prospettiva inedita di racconto e potrebbe rivelarsi – questo è il mio auspicio – uno strumento di divulgazione efficace in chiave didattica.
Ringrazio gli organizzatori e coloro che hanno aderito alle due iniziative, perché mi hanno dato l’opportunità di parlare della materia che più amo, nel posto che più amo.

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Così inchieste flop e scioglimenti copia e incolla hanno raso al suolo l’impegno politico di una regione

Le considerazioni sui provvedimenti di scioglimento dei comuni per infiltrazioni o condizionamenti mafiosi, espresse nella sua lettera a “Il Dubbio” dall’ex vicesindaca di Rende Marta Petrusewicz, hanno aperto un interessante dibattito, al quale l’avvocato Pasquale Simari ha offerto il contributo dell’esperto: «La vicenda di Rende – ha sottolineato – non si differenzia da quella della maggior parte dei Comuni sciolti per mafia».
Parole forti, suffragate da fatti che purtroppo godono di scarsa visibilità mediatica: le sentenze dei processi che, a distanza di anni dai titoloni dei giornali, ridimensionano o addirittura smentiscono le ordinanze di custodia cautelare. Sarebbe pertanto ora di pensare ad un albo dei comuni sciolti per mafia ingiustamente, da pubblicare (per dirla con Sciascia) “a futura memoria”.
Con questo spirito, mi permetto di segnalare il caso del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Il 25 febbraio 2020, la maxi retata dell’operazione “Eyphèmos” privò della libertà – tra gli altri – il sindaco Domenico Creazzo, appena eletto consigliere regionale in quota Fratelli d’Italia, il vicesindaco Cosimo Idà, il presidente del consiglio comunale Angelo Alati, il sottoscritto (consigliere di minoranza) e il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino. La presenza di cinque indagati “infiltrati” nel comune determinò la sospensione e poi lo scioglimento del consiglio comunale (14 agosto 2020): «All’esito di approfonditi accertamenti – si legge nel decreto – sono emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l’ente locale a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l’imparzialità dell’attività comunale». Al termine dei diciotto mesi previsti dalla legge, secondo prassi consolidata, seguì la proroga di ulteriori sei mesi, poiché non risultava ancora “esaurita l’azione di recupero e risanamento” dell’ente.
Lo scioglimento dei comuni si fonda sulla relazione del prefetto al ministero dell’Interno: nella sostanza, la condivisione dei contenuti dell’ordinanza di custodia cautelare, a sua volta una sorta di copia-incolla degli “esiti dell’attività di indagine” e delle “notizie di reato” trasmessi dagli investigatori al pubblico ministero.
Tre anni dopo gli arresti, la sentenza di primo grado (17 febbraio 2023) ha smentito l’esistenza di un condizionamento dell’amministrazione comunale, poiché all’archiviazione del sottoscritto si è aggiunta l’assoluzione degli altri quattro indagati.
Per il sindaco di Sant’Eufemia Creazzo, l’accusa era di scambio elettorale politico-mafioso: a “cercare la ’ndrangheta è la politica e non il contrario”, aveva sentenziato la relazione del ministro Lamorgese. Quasi un anno e mezzo di arresti domiciliari e un provvedimento di obbligo di dimora, prima della sentenza di assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Il vicesindaco Cosimo Idà veniva presentato come “capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di ’ndrangheta di Santa Eufemia”. Nove mesi di carcerazione preventiva, la scarcerazione per accertato scambio di persona e l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”.
Scambio di persona anche per Angelo Alati, presidente del consiglio comunale accusato di rivestire la carica di “mastro di giornata” e assolto perché “il fatto non sussiste”, l’inconsistenza indiziaria era già emersa nell’udienza del Tribunale del riesame che ne aveva ordinato la scarcerazione, un mese e mezzo dopo l’arresto.
Terzo scambio di persona riguardò chi scrive, accusato “di monitorare gli appalti assegnati dal Comune di Santa Eufemia per consentire alle aziende del locale di ’ndrangheta di insinuarsi nei lavori”, [di fungere] “da spia” interna al Comune, [di mettersi] a disposizione della cosca per compiere atti minatori nei cantieri, [di disporre di “agganci”] che gli consentivano di conoscere preventivamente gli esiti delle indagini che provvedeva a veicolare tra i sodali per eludere l’attività investigativa o la cattura». Sette mesi di carcerazione preventiva, scarcerazione e proscioglimento al termine dell’udienza preliminare.
Il responsabile dell’ufficio tecnico Domenico Luppino era accusato di prendere parte a riunioni di ’ndrangheta e di operare “in favore della cosca affinché gli appalti fossero assegnati direttamente [o indirettamente] a una ditta gradita all’organizzazione mafiosa locale. Assolto perché “il fatto non sussiste”, dopo ben tre anni di carcere.
Il filone politico dell’inchiesta si è rivelato un flop totale. Del “solido complesso probatorio” restano parole che sono sale su ferite ancora aperte: «Nel caso del Comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte si va comunque ben oltre i “collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso” o le “forme di condizionamento” degli amministratori. L’operazione “Eyphèmos” dimostra che diversi OMISSIS piuttosto che “collegati” o “condizionati dalla ’ndrangheta” sono organici alla stessa. Un salto di qualità rispetto alla fattispecie di cui all’art. 143 T.U.E.L. del tutto evidente». Ma di evidente, purtroppo, c’è soltanto lo scarto tragico tra ipotesi e realtà.
Quando, nove mesi fa, si è votato per ridare alla comunità eufemiese un’amministrazione comunale, soltanto due tra i trentanove candidati nella precedente elezione si sono ripresentati. In un piccolo paese esistono dinamiche familiari e sociali che rendono arduo l’impegno politico sulla base delle attuali disposizioni di legge. Molti preferiscono defilarsi: per paura, per delusione, per senso di responsabilità.
Prevenzione e pregiudizio sono spesso le facce della stessa medaglia e concorrono alla compressione della democrazia, laddove impediscono l’affermazione della volontà popolare. Per questo, occorre denunciare la criminalizzazione subita da vaste aree del Paese. Affinché gli studenti di domani avvertano lo stesso moto di indignazione oggi suscitato dagli studi sul volto truce del potere nella storia d’Italia: la brutalità della legge “Pica”, la revisione arbitraria delle liste elettorali in epoca crispina, i mazzieri di Giolitti, lo scioglimento dei comuni nel passaggio dallo stato liberale al regime fascista. Ogni volta che, in nome dell’interesse superiore del mantenimento dell’ordine pubblico, una “guerra santa” ha ferito i principi democratici, sospeso le garanzie costituzionali e causato un numero spropositato di “vittime collaterali”.
Oggi come ieri questo è stato. Ma questo è Stato?

*Pubblicato su: Il Dubbio, 8 agosto 2023

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