Un viaggio è un puzzle di immagini spolverate sulla mente come zucchero a velo, che il tempo avrà cura di soffiare lontano, inevitabilmente. Restano le impressioni che lo spettacolo della vita concede a chi sa e vuole fermarsi un attimo, anche soltanto per rafforzare il ricordo facendolo vivere un po’ più a lungo. Conservare le emozioni del paesaggio, dei volti, della folla anonima che nella metropoli incede indistintamente, quasi sempre di fretta, fiumana umana in movimento verso mete che non sapremo. Per questo affascinanti.
Nel mio breve soggiorno londinese ho camminato. Ma proprio tanto. Dalla mattina alla sera, di notte. Il contapassi di Pasquale a un certo punto non smetteva più di congratularsi! Un cammino per lo più allegro, da turista, ma anche penoso e doloroso quando ha sbattuto contro la solitudine della morte, la vera ragione della nostra trasferta. Nelle scelte di vita bisogna entrarci in punta di piedi, con rispetto e discrezione, pertanto non scriverò di Peppino “Joe” Conte. E non perché il dolore degli altri è “dolore a metà”, ma perché so che la vita Joe l’ha gustata per intero – come l’ape con il fiore – e se n’è andato senza rimpianti, soddisfatto dei suoi 84 anni avventurosi, per certi versi cinematografici. Abbiamo bevuto alla sua salute e, se da qualche parte Joe ci stava osservando, sono certo che avrà sfoderato il suo inconfondibile e paffuto sorriso.
Volti che sfumano, dicevo. Dell’alcolista che alle due di notte chiede 40 penny per onorare il venerdì londinese. Del ragazzo con la lattina vuota che cerca l’elemosina davanti a una chiesa anglicana, accanto a un cimitero di sole croci rovinate dal tempo e di scritte annerite su rettangoli di marmo rotto. Della donna che dorme dentro al sacco a pelo, abbracciata al suo cane, in un riparo di strada trafficatissimo accanto a Westminster.
Ma anche le facce sorridenti dei cinque ragazzi di differenti etnie che arrivano a Piccadilly Circus, con una corda perimetrano una porzione di suolo all’uscita dell’Underground e per qualche ora replicano uno spettacolo di danze e salti acrobatici sulle note di “Gangnam Style” per un pubblico che si rinnova al ritmo scandito dagli arrivi della metro. Gli artisti di strada che a Covent Garden si esibiscono per centinaia e centinaia di bambini rapiti dalla magia e dall’abilità dei giocolieri, stupiti dall’impassibilità delle statue viventi color oro o argento che si animano come per incanto. I visi allegri dei frequentatori delle botteghe dei barbieri nigeriani, aperti anche di notte perché i “Barber Shop”, nella cultura centroafricana, sono veri e propri spazi ricreativi, nei quali c’è chi si ferma anche soltanto per assistere all’ultima puntata della telenovela del momento.
Le voci e gli accenti si accavallano ma sembrano fondersi in un linguaggio universale che tiene insieme le tessere di un mosaico fatto di volti colorati e allegri nel centesimo selfie della giornata. Il contrasto tra miseria e benessere fa riflettere su quanto l’uomo sia davvero artefice del proprio destino, in una città che comunque ha una marcia in più. Che a tutti, soprattutto ai giovani, sembra essere in grado di offrire una possibilità.