Il puzzle spezzato

Non abbiamo mai conosciuta un’ultima volta, il colpo secco della porta che scuote le pareti: io di qua e tu di là. Magari con l’orecchio attaccato all’anta per sentire i passi che si allontanano o il silenzio sospeso, incerto sul da farsi. Chissà. Neanche il basta altissimo e arduo da scalare a mani nude, le dita che cedono, si arrendono e non fanno andare oltre. Ci proviamo stavolta. Ci proviamo, sì.
L’angoscia dell’addio confonde momenti distanti in un flusso unico che mescola dolore e rabbia. Un fiume che precipita verso il mare e tutto travolge. Siamo due naufraghi che non hanno più la forza di aggrapparsi a un legno, sballottati dalla furia del troppo orgoglio.
Niente sembra più bastarci. Le tue risate e le mie. Il tuo naso freddo di tramontana. La rosa nella valigia accanto ai cioccolatini. Il sole rosso intascato dall’orizzonte, leggero come una carezza sulle guance. La libertà soffiata dalle onde sui nostri corpi profumati di battigia. La vita inventata giorno per giorno, messa insieme a fatica e ora sparpagliata per terra, come i cartoncini di un puzzle spezzato.
Ogni flashback è una discesa nel buco nero del passato. Ciò che per me è stato, dimenticato, confinato nell’angolo delle recriminazioni, degli errori, in fondo delle scelte. E che per te è presente ancora vivo e sanguinante. Sei rimasta là, intrappolata da ciò che poteva essere e non è stato. Un paesaggio di fiaba che avevi sognato e che ancora cerchi, stretta dentro un vestito di ricordi feriti.
Aspetti che io ritorni per prenderti e portarti via, dici. Che io entri nel sogno frantumato e da lì ti tiri fuori. Non so farlo. Avrebbe dovuto farlo quel ragazzo, non può farlo quest’uomo.
Il grido lanciato si spegne nel vuoto, impotente per quanto forte e disperato. L’attesa diventa un tempo circolare di rimpianti che dilatano i minuti della notte e trasformano il sogno in incubo. Notti che furono la magia di un tappeto di stelle srotolato sulle nostre teste, quando ogni respiro era felicità. Quando ci facevamo rapire dal mistero delle costellazioni cercando di decifrare nelle figure indovinate le tracce del destino.
Era nelle nostre mani. Ma il dolore ha bisogno di attenzione, non della rabbia urlata nel ping-pong estenuante delle accuse. Forse non siamo stati all’altezza del sogno. Forse il sogno era impossibile. O forse doveva semplicemente andare così, una vendetta degli dei irritati dalla pervicacia dei nostri sbagli. Mancano persino le parole, fiaccate dal corpo a corpo finale e avide di riposo. Desiderose soltanto di una tregua.
Che inganno il silenzio della notte ricamata di stelle, ora che il tempo è finito. Ora che le nostre facce camminano schiacciate sul marciapiedi, indifferenti all’illusione di bagliori lontani.

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