Della prima guerra mondiale si è detto tutto. Fiumi d’inchiostro versati dagli storici per ricostruire le battaglie ed elaborare le statistiche dell’inutile strage. Eppure qualcosa di nuovo, se si continua a cercare, ancora salta fuori. Storie minime, piccole storie dentro la storia grande. Quelle sconosciute dei tantissimi giovani anonimi catapultati dai posti più sperduti dell’Italia nelle trincee del Carso, per combattere una guerra di posizione della quale niente sapevano. Costretti, nel nome della Patria, a patire il freddo e la neve, a lottare con il fango e con i pidocchi, a soffrire la fame e le malattie. Nelle narici il fetore nauseabondo dei corpi in decomposizione dell’orrenda carneficina voluta dalla follia dei comandi militari, il costo umano di poche decine di metri di linea del fronte guadagnate ad ogni offensiva e puntualmente perse nel volgere di pochi giorni.
Di questi eroi per caso poco si sa, soldati analfabeti che non hanno lasciato diari, testimonianze, tracce delle loro esistenze. Per immaginare qualcosa della loro esperienza bellica occorre pertanto affidarsi alle scarne informazioni riportate sulle schede dell’Ufficio notizie e nei ruoli militari. Può capitare così di imbattersi in soldati che, prima di essere spediti al fronte, dovettero subire un processo per diserzione: giovani emigrati all’estero che non avevano risposto per tempo alla chiamata alle armi, ma che rientrarono in Italia e regolarizzarono la propria posizione, svolgendo prima l’addestramento e poi finendo nelle zone dichiarate in stato di guerra.
Anche tra i soldati eufemiesi vi fu chi rimpatriò per servire il Paese “con fedeltà ed onore”. Sfogliando le carte dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria, in particolare una storia mi ha colpito più di altre: quella di Giuseppe Silvani, numero di matricola 42357. Un cognome mai udito a queste latitudini ha una sola spiegazione, riportata nel ruolo: “figlio di N.N. e di N.N”. Insomma, un trovatello per il quale la semplice verifica presso lo stato civile del comune fuga il dubbio di un possibile errore nell’indicazione della provenienza.
Giuseppe Silvani nasce proprio a Sant’Eufemia, il 20 febbraio 1893. Dopo qualche giorno sarà Grazia Borrello (“di anni quaranta, pia ricevitrice dei trovatelli”) a raccoglierlo dalla “ruota” del comune, dove presumibilmente la madre l’aveva lasciato. Fino ai primi anni del Novecento anche a Sant’Eufemia funzionò infatti la cosiddetta “ruota degli esposti”, che accoglieva i neonati abbandonati dai genitori per diverse ragioni: figli della vergogna o bimbi ai quali i genitori non erano in grado di garantire nemmeno la sussistenza. I neonati venivano portati di notte nella “ruota”: appena udita la campanella, chi si occupava del servizio la faceva girare verso l’interno, apriva lo sportello e prestava le prime cure all’innocente fagotto tratto in salvo.
Il bambino raccolto da Grazia Borrello – si legge nell’atto di nascita redatto dall’ufficiale di stato civile, nonché sindaco, Antonino Condina Occhiuto – “era avvolto in pochi pannilini [panni ottenuti da lenzuola, camicie, tovaglie] bianchi, con le braccia sciolte e col capo coperto da una cuffietta anche bianca. Fra i pannilini che l’avvolgevano fu trovato un biglietto colla scritta seguente: Questo trovatello si chiama Giuseppe. In vista di che ho imposto il nome Giuseppe ed il cognome Silvani. E poiché in questo Comune manca un pubblico ospizio pei fanciulli abbandonati, ho consegnato il predetto bambino alla locale Congregazione di Carità, la quale avrà cura di affidarlo a buona e onesta nutrice perché l’allevasse”.
Non sappiamo chi abbia allevato il piccolo Giuseppe. Sappiamo però che appena giovinetto egli prende la via del mare, come molti suoi coetanei in cerca di fortuna Oltreoceano. Ha appena vent’anni quando sbarca ad Ellis Island il 15 marzo 1913, dopo la traversata a bordo della “Madonna”, una nave a due alberi capace di trasportare 1364 passeggeri. La chiamata dell’esercito arriva proprio mentre si trova negli Stati Uniti, per cui Silvani non riesce a giungere nella caserma di destinazione entro il termine stabilito. Dichiarato disertore e denunziato al tribunale militare di Bari, una volta rientrato in Italia si costituisce presso il distretto di Reggio Calabria (11 dicembre 1914) e viene lasciato a piede libero in attesa di giudizio. A fine anno la commissione d’inchiesta dichiara il non luogo a procedere per inesistenza del reato, cosicché il 1° gennaio 1915 Silvani inizia l’addestramento nel 41° Reggimento Fanteria e, con l’entrata in guerra dell’Italia, si ritrova sul Carso. In prima linea nella decima battaglia dell’Isonzo con il 1° Reggimento Fanteria, viene ferito alla coscia destra da un colpo d’arma da fuoco sul monte San Marco (23 maggio 1917). Dopo la convalescenza è nuovamente nei campi di battaglia e, l’11 agosto 1918, è protagonista di un’operazione audace che gli vale la medaglia di bronzo al valor militare, con la seguente la motivazione: «Volontario in un’ardita pattuglia riusciva, con grande ardimento e sprezzo del pericolo, a raggiungere una forte posizione nemica e, dopo una violenta lotta corpo a corpo, cooperava alla cattura di alcuni prigionieri che trascinava nelle nostre linee. Monte Asolone quota 1440».
Una medaglia che Silvani mai riceverà, così come le altre due conferitegli alla fine del conflitto: quella “Commemorativa della Guerra 1915-18”, istituita con R.D. 1241 del 25 luglio 1920, e quella “Interalleata della Vittoria”, istituita con R.D. 1918 del 16 dicembre 1920.
Il 20 aprile 1920 Giuseppe Silvani è infatti già nuovamente negli Stati Uniti, appena sbarcato dalla nave “Pannonia”. Qui si perdono le sue tracce e in suolo americano, con ogni probabilità, Silvani morirà, figlio di nessuno ed eroe sconosciuto ai suoi stessi concittadini.
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