Volevo essere un duro, o del diritto ad essere nessuno

«Ma l’impresa eccezionale, dammi retta/ è essere normale». Quasi cinquant’anni fa Lucio Dalla inseriva in “Disperato erotico stomp” due versi destinati ad entrare nell’immaginario collettivo. Una frase da tirare fuori dal taschino al bisogno, come la mentina per sedare la tosse. Dalla era un genio, e il genio riesce ad esprimere con poche parole una filosofia.
Essere normale era ed è, ancor più oggi, l’unica rivoluzione possibile. Una forma di difesa personale contro il pensiero dominante che non contempla sconfitte e fragilità: invincibili, primi in tutto, sicuri di sé. O il migliore, o da scartare. Con tutto il corollario di frustrazioni che consegue quando ci si accorge che non tutti possono essere numeri uno, che la vita reale è molto diversa da ciò che – ad esempio – si posta sui social per soddisfare l’esigenza puramente onanistica di mostrarsi felici e vincenti.
Lucio Corsi, secondo classificato e premio della critica al festival di Sanremo, rivendica il diritto ad essere una persona normale. Il diritto, anzi, ad essere nessuno: ad essere semplicemente Lucio. Lo fa con un romanzo di formazione concentrato in poche strofe, spiazzanti come la sua presenza nella patinata e istituzionale ribalta del palco dell’Ariston. Dove arriva a piedi prima di indossare il vestito già utilizzato nei suoi concerti, dentro le spalline due pacchetti di patatine per dare volume. Un folletto del bosco, un cartone animato uscito da Toy Story, con tanto di “Andy” scritto sotto la suola.
Chi non avrebbe voluto essere il re di Porta Portese o una medaglia d’oro di sputo? È legittimo coltivare le proprie ambizioni e inseguire il sogno della vita. A patto che l’aspirazione non si trasformi in incubo, in catene che immobilizzano impedendo di andare avanti. Perché, prima o poi, arriva il momento in cui è necessario fare i conti con la vita vera, che spesso è molto distante da quanto immaginato e desiderato.
Ciò non significa che il tempo speso sia stato tempo perso. Piuttosto, è il tempo che ci “ha lasciato indietro”. Probabilmente perché non c’erano le condizioni: bisogna soltanto prenderne atto, accettare la sconfitta come una possibilità, peraltro utilissima nel percorso di crescita personale. Il fallimento aiuta a comprendere che “le lune senza buche sono fregature”, ma l’importante è non arrendersi: ci saranno altre strade da percorrere e nuove avventure nelle quali lanciarsi. Anche per una “cintura bianca di Judo”.
La chiave della felicità sta nell’accettarsi per quello che si è, con limiti e imperfezioni: senza – sottolinea Corsi – fuggire dalle proprie paure. Nel fare insomma pace con la realtà per riuscire finalmente a trovare, sgravati da ogni ansia da prestazione, il proprio posto nel mondo.

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