Chi ha subito un attentato conosce bene la prostrante sensazione di amarezza e di incredulità che ti resta a lungo dentro. Vorresti capire perché ti è capitata una cosa tanto brutta e vile. Per mesi o anni, o per sempre, temi che possa riaccadere. Di notte, poi, ogni rumore che somigli a uno scoppio ti fa saltare dal letto.
Non è paura, i vigliacchi non fanno paura perché soltanto di quello sono capaci: agire nell’ombra, fare un “dispetto”. Però la serenità di una famiglia viene turbata.
Ho letto più volte la reazione “a caldo” di Ilaria: «Ho paura, non di voi e del vostro lurido gesto, mi fa paura la vostra mentalità, mi terrorizza il solo pensiero che mio fratello debba crescere in un ambiente così ostile e miserabile. Io sono “scappata” ma con la nostalgia nel cuore e la voglia di tornare per poter valorizzare i luoghi dove sono nata e cresciuta, ma ad oggi non vorrei mai più ritornare e se potessi farei fuggire le persone che porto nel mio cuore».
Sono parole che mettono tristezza, proprio perché pronunciate da una giovane. Chi resterà in questo paese? Che resterà di questo paese? Mi angoscia il pensiero di una buia direzione che intravedo, che ogni tanto provo a indicare, sconfortato, su questo blog. E che ha suscitato anche la reazione dei soliti tromboni ammantati dalla retorica del “viviamo in un posto bellissimo”.
Io odio la retorica. Non bisogna generalizzare, su questo concordo. E bisogna sottolineare, valorizzare le cose e le persone belle che pure ci sono. Credo di farlo in questo spazio virtuale e nella vita di tutti i giorni. Però non si fa un buon servizio al paese nascondendo la testa sotto la sabbia. Bisogna anche essere onesti, con la propria coscienza e nei confronti proprio della parte sana della nostra comunità. Sant’Eufemia non è il migliore dei posti possibili, così come la Calabria non è l’Eden per i suoi tramonti, il buon cibo, il mare e la montagna che sono così attaccati che sembrano fare l’amore.
È il secondo attentato, a distanza di poco tempo, che colpisce persone perbene di Sant’Eufemia. Qualche mese fa l’incendio del furgone da lavoro dell’idraulico Mimmo Cammarere, un uomo che nella sua vita ha solo e sempre lavorato, sin da quando era un ragazzino. Ora è toccato alle famiglie Papalia-Bagnato.
Tutto questo è vergognoso. Le persone perbene non si toccano. Bisogna avere rispetto per chi lavora dalla mattina alla sera, con garbo e con il sorriso sulle labbra. Per chi trasmette ai propri figli con l’esempio quotidiano il valore dell’unione familiare e la religione del lavoro, sottolineati da Maria: «Tutti insieme, sin dall’inizio, per toccare con mano ciò che nella vita non deve esser dato per scontato e capire che nulla si ottiene senza il sacrificio».
Riporto i commenti di Ilaria e Maria, nella speranza che siano letti da tanti altri giovani come loro. Che possano servire da monito. E faccio mie le parole postate da Francesca sul suo profilo Facebook, sotto una foto bellissima, per rispondere “con i nostri sorrisi” ad un gesto così vile, perché rappresentano la risposta dell’intelligenza alla barbarie: «Dovreste solo prendere esempio da una famiglia bella, unita, che lavora duramente e onestamente. È questo che vi auguro: essere come noi».