Nell’edizione odierna del Quotidiano del Sud, un mio intervento sul significato del 25 aprile e la risposta di Annarosa Macrì.
Cara dottoressa Macrì,
manca qualcosa a questo Paese, se gli eventi che dovrebbero essere occasione di unità provocano invece così aspre contrapposizioni. Manca la capacità di tenere insieme ragioni e torti, soprattutto quando ci si scontra con le contrapposizioni territoriali scaturite dal processo di unità nazionale o dall’irriducibile antinomia fascismo/antifascismo. In questo preciso momento storico, l’incapacità politica e culturale di cui sopra si salda pericolosamente con la tendenza a rimettere tutto in discussione, finanche i valori fondanti della democrazia affermatasi in Italia con la Resistenza.
La Resistenza è stata tutta rose e fiori? No, lo sappiamo. Ci sono stati eccessi e crimini storicamente accertati, regolamenti di conto che poco avevano a che fare con la conquista della libertà dopo il ventennio di dittatura fascista. Male ha fatto una certa storiografia a tentare di nascondere questa pagina nera. Ma il revisionismo storico non va confuso con quello pataccaro che infesta le cloache del web, apodittico in quanto decontestualizzato e decontestualizzante, oltre che tendenziosamente strumentale ad una narrazione politica falsa e pericolosa.
Ha ancora senso celebrare il 25 aprile? Certamente sì. Ha senso proprio perché non si tratta di un “derby” tra fascisti e comunisti. Chi sostiene questo evidentemente non ha idea del contributo fornito alla causa da personalità quali Alfredo Pizzoni, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Edgardo Sogno. Si tratta, e dovrebbe essere chiaro anche a chi non è dotato di particolari strumenti culturali, di interiorizzare la replica di Vittorio Foa a Giorgio Pisanò: «Abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere». Sta tutta qua la differenza tra fascismo e antifascismo. Ed è una differenza dirimente.
Non si possono mettere sullo stesso piano coloro che lottavano per la libertà e i seguaci del nazifascismo. Claudio Magris sostiene che “è triste dovere difendere la Resistenza”: non dovrebbe essercene bisogno. La vittoria dei partigiani ha portato in Italia la democrazia, quella dei repubblichini di Salò l’avrebbe trasformata in un campo di concentramento nazista. Insomma, c’erano una parte giusta e una sbagliata: chi non accetta questo compie un’operazione storicamente disonesta e moralmente indecente.
Il 25 aprile non segna soltanto la fine di una sanguinosa e fratricida guerra civile. È l’atto fondante della Repubblica italiana, la rinascita della nazione dopo la seconda guerra mondiale, la riconquista di quell’onore che il fascismo aveva oltraggiato con la dittatura, con la soppressione di tutte le libertà, con le leggi razziali e con l’ingresso in guerra al fianco della Germania nazista.
Ecco perché suona ancora attuale la chiusura dell’epigrafe composta da Piero Calamandrei per la celebre lapide “ad ignominia” dedicata al criminale di guerra Albert Kesserling: «Ora e sempre Resistenza».
Domenico Forgione – Sant’Eufemia d’Aspromonte
RISPOSTA
Sì, è triste dover difendere chi siamo, chi sono i nostri padri, qual è il Paese in cui siamo nati.
E’ come se qualcuno strappasse la nostra carta d’identità, di persone e di cittadini, ci costringesse a declinare le nostre generalità, noi le recitassimo e non fossimo creduti.
E’ triste perché se è vero che la libertà non è un concetto finito e definito, è un’acqua di cui si ha sete perenne e che non disseta mai fino in fondo, e, di generazione in generazione, apre nuove praterie da percorrere e nuovi diritti da conquistare, la liberazione dal Fascismo, quella, non può essere messa in discussione, perché i fatti storici sono fatti, e, al di là delle interpretazioni, sono stati, e sono, causa ed effetto, di altri fatti: anelli di una catena che è pericolosissimo spezzare.
E’ triste perché il revisionismo becero che spira in questo Paese è un furto. Non dei valori in cui crediamo, che non sono, vivaddio, merce negoziabile, ma di tempo. Sì, di tempo. Io provo fastidio, un grande fastidio a dover partecipare a dibattiti, o solo ascoltarli, che mettono in discussione storia e storie acquisite, perché sento di essere governata da gente non solo ignorante o in malafede, ma di perditempo, che cerca di disfare, inutilmente, quell’arazzo faticosamente e dolorosamente tessuto da tutti gli Italiani, che si chiama “Novecento”, ed è lo sfondo “naturale” della nostra contemporaneità.
Ma la festa, quelli là, non riescono a rovinarcela. Semplicemente perché è impossibile, e perché Liberazione fa rima con Costituzione, e la Costituzione è lo scudo della Storia e della libertà.
Ieri ho ricevuto tanti auguri laici e tanti ne ho dati, e i giardini pubblici di Roma – dove in questo momento mi trovo –, al centro e in periferia, erano pieni di gente, moltissimi i giovani!, che cantavano e brindavano e ridevano.
Enzo Biagi, durante i momenti più bui del berlusconismo, diceva: “vedrete, “loro” se ne andranno e noi, invece, rimarremo”; beh, in fondo aveva ragione.
Anche se altri “loro” sono arrivati, peggiori di quelli di prima, noi siamo qua. E finché ce la raccontiamo e siamo capaci di far festa, viva la Libertà e viva la Liberazione!