Le tre croci

C’è un innocente sulla croce in ogni angolo della terra dove la giustizia diventa arbitrio, dove il giudizio è pregiudizio, dove si tengono gli occhi chiusi. Perché deve essere così. Perché non può essere diversamente. Perché la terra è un marchio di colpa impresso a fuoco sulla carne.
La mela non cade lontano dall’albero e l’albero, in certi posti maledetti, produce sempre frutti velenosi. Viene ripetuto con il tono definitivo dell’essere superiore, verità assoluta sulle labbra di un’entità etica che può permettersi di puntare il dito. Che deve puntare il dito, perché investito di una missione palingenetica. Il moralista che si incarna nella Morale salverà il mondo, dall’alto del suo immacolato trono. Spazzerà strade e piazze dagli scarti umani che la insozzano per il solo motivo di essere nati, qui e non in un altro posto.
Sulla croce pende un uomo in agonia, condannato dal popolo che salva Barabba e condanna l’innocente. Non ci vuole molto. Basta trovare le parole giuste, gli slogan che aizzano la folla al “crucifige”. Dal pulpito, dai giornali, dagli schermi televisivi.
Il pasto è pronto per essere servito: afferrare il proprio brandello di carne e saziarsi è pura catarsi. Il menu della trattoria della gogna offre un’ampia scelta. Persino la carne del ladrone buono, sulla croce alla destra dell’innocente; o quella del cattivo, appeso alla sua sinistra. Ladroni per non avere potuto scegliere un’altra strada o perché decisi ladroni da altri, accanto ai ladroni per indole criminale.
Ai piedi delle tre croci si piange uguale dolore: per gli innocenti, per i buoni e per i cattivi. Sciogliendo il dolore dell’uomo nella metafora di una resurrezione impossibile senza calvario.

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