Nella rubrica che cura su “Il Quotidiano della Calabria”, il professore Pietro De Luca, rispondendo al mio intervento su razzismo e violenza negli stadi, scrive oggi:
Non sono proprio sicuro che privatizzando oggi questo e domani quello arriveremo a inscatolare da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. E poi, come procedere? Magari con il portafogli in mano? Il privato costa di più, il pubblico di meno. Nel privato andrebbero i migliori, gli intelligenti, i beneducati solo perché portano denaro? È sotto gli occhi di tutti che questo assunto non corrisponde al vero. Direi piuttosto che non esiste propriamente un problema degli stadi che non sia anche problema di umanità. Ultimamente un po’ scesa di livello. Se non si urla, non si aggredisce, non si inveisce contro questi e quegli, quasi non si è: di un partito, di una squadra, di un colore, di una nazione. Siamo tutti un po’ troppo su di giri. Una buona virata verso uno stile di vita più a misura d’uomo non guasterebbe. Anche negli stadi.
Non posso che condividere le considerazioni sulla società attuale. “Urlo, dunque sono”, ha ormai soppiantato la celeberrima locuzione cartesiana. È indiscutibile la violenza di certi linguaggi e atteggiamenti. Esiste una difficoltà evidente nell’accettare il punto di vista dell’altro, anche perché il tono alto delle proprie parole impedisce di ascoltare quelle pronunciate dall’interlocutore. Certo: è una questione di umanità. O di cultura, come mi ha fatto notare un mio carissimo amico. Tutto vero. Però il mio discorso era meno generico. Ci sono settori della nostra società che devono essere “pubblici”. Penso all’istruzione, alla sanità, al welfare in generale. Questi sono campi in cui l’intervento dello Stato è indispensabile per affermare i diritti riconosciuti dalla Costituzione a tutti i cittadini. Nel caso degli stadi, penso che c’entrino meno i diritti costituzionali e più la civiltà e la sicurezza. Non si tratta di “inscatolare da una parte i buoni e dall’altra i cattivi”. Esiste un principio, quello di “responsabilità oggettiva” delle squadre di calcio, che non potrà mai essere affermato, fino a quando la sicurezza e il mantenimento dell’ordine all’interno degli impianti sportivi non saranno di competenza delle stesse società sportive. E questo accadrà fino a quando esse non diventeranno proprietarie degli stadi. Quanto poi al discorso puramente economico, non mi risulta che i prezzi dei biglietti allo stadio siano propriamente accessibili a tutti. Oggi costa meno guardare un partita in pay-tv che allo stadio. Segno che il calcio è nel bel mezzo di una mutazione genetica che lo sta facendo diventare (ahinoi) un fenomeno sempre più televisivo.