Ci risiamo. L’ennesima porcata, questa volta nascosta tra le pieghe della manovra economica bis, dietro il paravento delle “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” contenute nel decreto legge 13 agosto 2011 n. 138, comprensivo delle modifiche introdotte con il maxiemendamento approvato dal Senato il 7 settembre e passato alla Camera con il voto di fiducia del 14. L’articolo 16 del titolo quarto prevede infatti la “riduzione dei costi relativi alla rappresentanza politica nei comuni e la razionalizzazione dell’esercizio delle funzioni comunali”, da ottenere mediante le unioni dei comuni al di sotto dei mille abitanti e la diminuzione del numero di consiglieri e assessori comunali negli altri.
Si tenta di curare la patologia degenerativa del costo della politica ricorrendo ad una medicina con pericolose controindicazioni. La democrazia si realizza ampliando, non restringendo i luoghi del confronto e della dialettica politica; aumentando, non riducendo il numero di coloro che partecipano alla cosa pubblica. Già la legge 26 marzo 2010 n. 42 aveva dato una sforbiciata consistente (20%) alla composizione dei consigli comunali. Ma in molti municipi non ci sarà il tempo di verificarne l’effetto, poiché il nuovo provvedimento trasformerà i consigli comunali in circoli esclusivi: sei consiglieri nei comuni fino a mille abitanti; sei pure da 1.001 a 3.000 (due gli assessori); sette da 3.001 a 5.000 (tre assessori); dieci da 5.001 a 10.000 (quattro assessori). Nel caso di Sant’Eufemia, l’accetta del governo risparmierà otto privilegiati: il sindaco, cinque consiglieri di maggioranza e due di minoranza. Nove componenti in meno rispetto ad oggi. Di positivo c’è che tra i futuri vincitori nessuno resterà senza poltrona: tre assessori, il presidente del consiglio, il rappresentante alla comunità montana. I conti sembrano tornare. Ma l’idea di subordinare la democrazia al pallottoliere del ministero dell’Economia è aberrante. Si corre il rischio di scavare ulteriormente il solco che separa i cittadini dalla politica, degradando quest’ultima a ristretta questione privata. D’altronde, l’approvazione di un provvedimento del genere indica che lo scollamento tra politica e territorio è quasi irreversibile. In una situazione in cui i parlamentari non fossero dei “nominati” e dovessero dare conto ad un elettorato, non sarebbe possibile, perché le proteste degli amministratori locali imporrebbero un immediato cambio di rotta, per non compromettere la rielezione. Un altro motivo in più per sostenere e votare il referendum anti-porcellum.
Nel nostro comune, ai consiglieri comunali spetta un gettone di presenza di una ventina di euro; agli assessori un’indennità di circa 220 euro al mese. Un modo, semplice, per risparmiare senza tagliare la democrazia ci sarebbe: abolire qualsiasi emolumento per chiunque presenti annualmente la dichiarazione dei redditi, indipendentemente dall’importo. Dopodiché, si potrebbe addirittura ritornare ad un consiglio di venti membri, un numero adeguato per assicurare, nei piccoli comuni, la rappresentanza di gran parte della comunità. E indispensabile per non trasformare la formazione delle liste nell’organizzazione di una partita di calcetto, una faccenda da sbrigare con un rapido giro di telefonate.