Ciò che saremo è, per lo più, ciò che siamo stati. Ecco perché periodicamente la scuola si ritrova al centro del dibattito sul futuro della società. In genere ci finisce dopo qualche episodio spiacevole, esecrabile, vergognoso. Aggettivi appropriati per definire l’aggressione subita da Rosanna Gallucci, vicepreside del liceo classico “Telesio” di Cosenza, ad opera dei genitori di una quattordicenne fresca di bocciatura.
Si dirà che è un caso isolato, che può capitare. Che si tratta di una famiglia emarginata. Lo sosterranno anche altri genitori e altri studenti. Ogni volta che accettiamo una spiegazione-giustificazione del genere facciamo un danno incalcolabile ai nostri ragazzi, a noi stessi e alla collettività. Perché è evidente, al di là del caso specifico, che si è innescato un pericolosissimo corto circuito nel rapporto tra scuola e famiglia. Le due principali agenzie educative non riescono a parlarsi, ma soprattutto non riescono a riconoscere e a rispettare i rispettivi ruoli, che dovrebbero essere distinti e convergenti, non confusi e sovrapponibili. Ci sono i docenti e ci sono i genitori: l’uovo di Colombo è che ognuno faccia il proprio mestiere, senza invasioni di campo.
Nessuno si augura il ritorno degli insegnanti dallo schiaffo facile, i ceci sotto le ginocchia, le bacchettate, i pizzicotti e le orecchie tirate fino alle lacrime. Non è per questa via che la scuola riacquista autorevolezza, il grande assente nelle istituzioni scolastiche di oggi. Un’autorevolezza che non viene riconosciuta anche per una semplice, errata, deduzione. Molti dei genitori attuali hanno lo stesso titolo di studio, se non addirittura più alto, di quello dei docenti dei propri figli: “chi è quel docente, che ne sa meno di me, per valutare i miei figli?”, una frase che capita di sentire o leggere in sguardi stizziti.
Mentre un tempo i ragazzi venivano “affidati” a maestri e professori con smisurata fiducia, oggi vengono “parcheggiati” a scuola con supponente diffidenza. Tanto, nella maggior parte dei casi il pezzo di carta arriverà, in un modo o nell’altro, docenti o non docenti. Per cui, se qualcuno fa notare che va avanti solo chi lo merita, può ritrovarsi sbattuto a terra, preso a calci e pugni, piegato da un modello di società fondato sui vincenti, non sugli sfigati bocciati al primo anno di liceo. Occorre ripartire da una filosofia che contempli la possibilità dell’errore, che consideri utili i fallimenti personali e professionali, che indichi nella caduta il primo passo verso un nuovo e più maturo riscatto.