Accade spesso di ritrovarsi, come per incanto, dentro al set cinematografico allestito dai nostri genitori e nonni nelle strade e nelle piazze dei loro verdi anni. Chiudiamo gli occhi, ci lasciamo trasportare dalla nenia di parole lievi e il gioco è fatto. La macchina del tempo, lesta, ci riporta agli anni del secondo dopoguerra, tra i pargoli in pagliaccetto e la dignità di gente che si faceva bastare il poco di cui disponeva. Rileggiamo con occhi stupiti storie che abbiamo ascoltato un’infinità di volte, rivediamo “personaggi” amati da un’intera collettività, cortili chiassosi di vita bambina, eroi inconsapevoli che arrivavano in paese chissà da dove, mettevano in piedi un semplicissimo ma strabiliante spettacolo e poi andavano via.
Il racconto addolcisce la nostalgia, cancella le rughe e colora i capelli, sospende il rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato mescolando i sentimenti nella centrifuga dei ricordi. Apre i cassetti e tira fuori tutto quello che c’è dentro, compresa quella vecchia e buffa camicia che a rifletterci ora pensi come diavolo ti è venuto in mente di conservarla.
Vittoria Saccà, insegnante, giornalista, scrittrice e pittrice nata a Seminara ma cresciuta a Sant’Eufemia d’Aspromonte prima di venire “rapita” da Tropea, ha infilato il naso nel “mare di cianfrusaglie” del primo cassetto del mobile dei nonni e ha tirato fuori i racconti “dall’Aspromonte al Tirreno” di Parole nel comò (Editore Meligrana, 2014). Ed è balsamo per l’anima riandare ai giochi di una stagione spensierata, rincorrere con la piccola Vittoria le farfalle dalle ali bianche o Coscimuzzu “u tamburinaru”, farsi trascinare nel sogno del circo Zavatta di stanza al “mercato dei porci” e riprodotto nella meraviglia domestica di pomeriggi infiniti. Luoghi e posti sui quali la penna dell’autrice si posa ora con ironia, ora con mestizia, ma sempre con la delicatezza della pittrice che accarezza la tela con un pennello imbevuto d’amore per la propria terra.
Nei racconti di Vittoria Saccà c’è l’Italia che a fatica tenta di uscire dalla povertà della guerra, popolata da protagonisti “minori” nella loro grandezza come Maria, che con la sua umile esistenza ci insegna quanta felicità possa procurare donarsi al prossimo. O come Rosa “la bella”, che vorrebbe andare a scuola e imparare a suonare il pianoforte, ma è costretta a ripiegare i suoi sogni insieme alle camicie stirate nella sua precoce vita di mamma cui la povertà la costringe.
Il mondo dell’eterna diatriba su chi fosse il più grande tra Claudio Villa e Domenico Modugno, il negozio “portabile” attaccato al collo di don Carluccio svaniscono nel presente iper-tecnologico, con una cesura netta: “ora vivo tra il cielo e il mare”, rivela l’autrice cresciuta ai piedi dell’Aspromonte e realizzatasi nella città che la mitologia vuole fondata da Ercole e dagli Argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Parole nel comò non è “soltanto” un libro di ricordi. Qua e là emerge la giornalista che va alla ricerca di storie nascoste (di Luana che subisce violenza e vive “dentro una bolla di nero fumo”, dell’anziana signora che attende alla stazione il nipote morto da tempo); l’insegnante che si diverte con parole e numeri, o che mette al bando la punteggiatura e trascina il lettore nel gioco – che gioco non è – del flusso della coscienza. Mentre il lato onirico della scrittrice di fiabe per bambini può prendere “buzzatianamente” vita nel racconto “I mundizzi” o riprodurre in “Piccola ladra” la magia del “Canto di Natale” di Charles Dickens.
Un libro di vita e di vite, quindi anche di morte e di dolorose assenze, che tuttavia invita ad amare i giorni concessi a ciascuno di noi, “a prescindere”.
Grazie, Dominic, perche' CON LA TUA CAPACITA' di scrittore,hai saputo dare voce anche ai miei sentimenti ,generati dalla lettura del bellissimo libro di Vittoria Saccà.Spero per il prossimo Agosto di poter contribuiré a realizzare l'evento annunciato su FB.
Grazie ingegnere Crea, io sono a disposizione per qualsiasi evento. Speriamo di riuscire a fare qualcosa di bello e interessante per la nostra comunità