In Sant’Eufemia d’Aspromonte nell’età contemporanea. Storia, società biografie ho dedicato a Domenico Occhiuto Laudi il paragrafo “Lettere a Mimì Occhilaudi” (pp. 91-96), incentrato sulle lettere ricevute dal paese e dal fratello Francesco, che si trovava al fronte, nel periodo della prima guerra mondiale. Anche Mimì, che era stato riformato, fu richiamato e dichiarato abile a svolgere i servizi sedentari, per cui – a differenza del fratello – non partecipò ad azioni di guerra. Il brano riportato è alle pagine 91-92:
Uno dei rari ritratti esistenti di Domenico Giovanni Occhiuto, sguardo intenso e capelli indomabili, ci consegna l’immagine di un uomo tormentato da demoni silenziosi, come il ragazzo spartano richiamato da Edgar Lee Masters nei versi dedicati a “Dorcas Gustine” (Antologia di Spoon River), che “nascose il lupo sotto il mantello/ e si lasciò divorare, senza un lamento”.
Figlio di Fortunato e Carmela Laudi, egli nacque il 24 giugno 1894 a Sant’Eufemia d’Aspromonte ed elesse la solitudine a compagna di vita e musa ispiratrice. Secondo quanto ricordato da Giuseppe Pentimalli sulla rivista “Incontri”, per lunghi anni Occhiuto visse in uno stato di indigenza: «Viveva di elemosine, nel senso che di tanto in tanto le persone più abbienti del paese lo invitavano a pranzo, vuoi per pietà vuoi per la curiosità di conoscere meglio questo tipo estroso».
Un minimo di aiuto lo riceveva anche dal Comune, per il quale svolse compiti di archivista e copista degli atti amministrativi finché non fu assunto come impiegato, nel 1940.
Solitario e taciturno, Occhiuto fu autodidatta e scrisse essenzialmente per sé stesso: della sua produzione, nel 1968 ha avuto pubblicazione la selezione di liriche Polvere senza pace. Il rogo, la cenere, il vento. Un anno dopo, egli moriva a Reggio Calabria (2 novembre 1969).
Pochissimi gli altri componimenti dei quali, fino a poco tempo fa, si aveva notizia. Il carme Ave, Saturnia Tellus, stampato dalla Tipografia “C. Zappone” di Palmi nel 1933 con due titoli (il secondo: Saluto alla terra rifiorente), in piena epoca fascista salda il tema poetico della rinascita della natura con quello politico della rinascita della nazione. D’altronde, anche in un coevo manoscritto inedito, Occhiuto esalta il mito del primato italiano, che trova occasione di propaganda nell’impresa transoceanica di Italo Balbo (Per la crociera atlantica del Decennale. Ai trasvolatori degli oceani). Un altro inedito richiama invece la tradizione della satira di costume (Galleria degli uomini illustri del mio paese. Primo profilo della serie) e doveva essere parte di un progetto incompiuto, o comunque andato disperso, con il quale “u poeta” si proponeva di mettere alla berlina i personaggi più in vista della comunità eufemiese.
Tuttavia, la cifra autentica della poesia di Mimì Occhilaudi, come amava firmarsi saldando i cognomi dei genitori, è dolore cupo e lancinante, strappato dalle viscere con un atto liberatorio che diventa sfiatatoio e terapia.
Polvere senza pace raccoglie 44 componimenti, più due parti del poema Per un granello di sabbia, rimasto incompiuto. In particolare Episodio della morte di Cristo (l’altra è Episodio della eruzione del Vesuvio e della distruzione di Ercolano e Pompei) assurge a paradigma dell’umana sofferenza: «e ciascuno risale un suo calvario/ per esser solo sul più alto vertice/ a illuminarsi col proprio dolore/ e riscattarsi solo con la morte,/ sì che ciascuno in lui si riconosca».
In liriche come Attesa e La serie dei tramonti la poetica dell’autore si manifesta compiutamente come capacità di tradurre solitudine e silenzi in versi che, nella poesia L’ospite, raggiungono il diapason della disperazione: «Nessuno m’attende la sera/ – tra luce e penombra – vegliando/ le care cose sparse per la stanza./ Quand’io rincaso deluso,/ triste che quasi m’avvinghio alla morte,/ nessuno m’accoglie./ Sopra la soglia, nella fredda notte/ viva, nel fitto buio/ di un infinito brulichio di stelle/ e del cantare di lontane acque,/ mi si richiude alle incurvate spalle/ con secco schianto/ la porta/ coperchio di bara».