A gran parte degli eufemiesi probabilmente dice poco il manifesto mortuario affisso in paese stamattina, che annuncia le avvenute esequie di Graziadei Tripodi, domenica scorsa nella Chiesa della Santissima Concezione ad Airola, in provincia di Benevento. Accade sovente, quando il defunto da molti anni vive fuori paese. Ci si limita a leggere i nomi dei congiunti, per capire a chi “appartenga” il deceduto e poi si passa oltre, distrattamente.
La morte di Graziadei Tripodi non può però passare inosservata, perché chi ci ha lasciato è (uso il presente, il tempo degli artisti, che tali rimangono per sempre) una grande personalità nel campo della scultura e della pittura: “il restauratore al servizio di Dio”.
Graziadei Tripodi, nato a Sant’Eufemia d’Aspromonte il 13 giugno 1932 al numero civico 2 di via Nucarabella, appartiene a una famiglia di artisti. Il padre, Carmelo, fu pittore, scultore, musico e fotografo. “Galileo Galielei” e “Sant’Antonio Abate” sono probabilmente i suoi dipinti più celebri (premiati all’Esposizione campionaria internazionale di Palermo, nel 1906 e nel 1907), ma molte altre sue opere d’arte sono sparse in diverse chiese della provincia (Acquaro di Cosoleto, Solano, Gioiosa Ionica, San Procopio, Palmi e ovviamente Sant’Eufemia), in Calabria e in Sicilia. Una passione per l’arte trasmessa dal genitore agli otto figli (due donne e tre maschi), in particolare al restauratore Graziadei, appunto, ad Agostino e al pittore Domenico Antonio (“L’Aspromontano”), artista di fama internazionale pluripremiato per le sue opere, esposte nelle sale più prestigiose di tutti i continenti.
Ma un ruolo non secondario per il successo dei figli lo giocò la madre Carmela Giordano, come riconobbe lo stesso Graziadei nella monografia dedicata al padre in occasione del cinquantesimo anniversario della morte (2000): «Carmela Giordano ha avuto il coraggio di lasciar andare via i propri figli, comprimendo il suo senso materno e i suoi affetti, alfine di evitare loro la “provincializzazione”, cioè il restare “chiusi”, come era successo al padre, nello stretto ambito locale, privo di significativa evoluzione nel campo dell’arte. […] Se noi, figli di Carmelo Tripodi e di Carmela Giordano, sparsi per la penisola, oggi, possiamo offrire qualche contributo all’arte, riconosciuto e gratificato, lo dobbiamo sì al gene paterno ma anche alla maternità e al sacrificio immenso di Carmela Giordano».
Di strada, nel campo del restauro, Graziadei Tripodi ne ha fatta molta. Autore di due lavori fondamentali – Il Restauro. Come e perché (Napoli, 1981), Fra restauro e pittura. Una vita al servizio dell’arte (Caserta, 2012) –, le sue abili mani hanno ridato vita ad opere realizzate dai giganti del pennello e dello scalpello: su tutti, Giotto (Cappella Peruzzi, chiesa di Santa Croce in Firenze; ma anche la Cappella degli Scrovegni a Padova), ma anche gli affreschi del Solimena e del Cavallini a Napoli, oltre a un’infinità di opere, a carattere prevalentemente religioso, sparse tra Toscana e Campania, in particolare ad Airola e nel Beneventano.
A Sant’Eufemia Graziadei Tripodi fece ritorno, per un breve periodo, sul finire degli anni Ottanta. In quella circostanza fu promotore di manifestazioni a carattere religioso che ebbero uno straordinario successo (il “Presepe vivente”, tra le vie del Vecchio Abitato e la “Via crucis vivente”); quindi, diede prova della sua grande arte a San Procopio, Favazzina, ma soprattutto nel suo paese natio, grazie al restauro della statua della Santa Patrona.
Graziadei Tripodi, l’artista che portava inciso nel nome il proprio destino.
*La foto è tratta da: http://ettore.ruggiero.eu/il-maestro-graziadei-tripodi-un-capitolo-della-storia-di-airola/