11.9, scacco agli Stati Uniti

“Fuori sta succedendo la fine del mondo e tu sei chiuso dentro un archivio? Sei il solito topo da biblioteca!”. Le parole di mio fratello Mario, quando da poco anche la seconda delle Torri gemelle era stata centrata da un aereo, sono il mio primo ricordo dell’11 settembre 2001, il giorno che segna l’inizio del terzo millennio. Mi telefonava dall’Australia, dove si trovava in quel periodo. Io invece ero ignaro di tutto, piegato su alcuni documenti che stavo consultando all’archivio di Stato di Catanzaro, per la tesi di dottorato.
Ho ancora ben viva la sensazione di sconcerto e di smarrimento che mi assalì mentre attonito percorrevo in auto la strada del rientro a casa e ascoltavo gli aggiornamenti della lunga no-stop radiofonica. Proprio due giorni prima ero rimasto molto scosso per l’uccisione, ad opera di due kamikaze travestiti da giornalisti, di Ahmad Shah Massud, il leggendario “leone del Panshir” – eroe della resistenza afgana contro l’invasore sovietico negli anni ’80, poi ministro del governo di liberazione, quindi strenuo oppositore della deriva fondamentalista impressa dai talebani – che la penna di Ettore Mo aveva reso affascinante e romantico, un moderno Che Guevara.
Una volta acceso il televisore vidi anch’io l’orrore materializzarsi nelle immagini ben note dell’apocalisse. Le Twin Towers colpite dai due aerei dirottati che si afflosciavano una dopo l’altra, come in un macabro videogioco. Alcuni disperati che si lanciavano nel vuoto. Le fiamme, la polvere sui visi dei newyorkesi in fuga dal World Trade Center, la scritta sulla CNN (USA under attack!), l’eroismo dei pompieri mentre tutto attorno stava crollando, le prime angosciate testimonianze. E poi lo “sceicco del terrore” Osama bin Laden, Al Qaeda e i 19 terroristi islamici. Gli altri due aerei dirottati, il primo abbattutosi contro un lato del Pentagono, l’altro diretto contro la Casa Bianca e precipitato in una campagna della Pennsylvania grazie all’eroica lotta dei passeggeri contro i dirottatori. Immaginavo George Bush jr in volo sull’Air Force One, l’aereo progettato per salvaguardare l’incolumità del presidente nelle situazioni di emergenza. Un paio d’anni dopo, nel film Fahrenheit 9/11, Michael Moore l’avrebbe inchiodato alla sua goffaggine e inadeguatezza, impresse sul volto mentre riceveva all’orecchio la notizia dell’attacco terroristico.
Ho trascorso negli Stati Uniti gennaio e febbraio 2002. Di Ground Zero ricordo soprattutto l’odore acre del metallo liquefatto che si respirava nell’aria, a distanza di sei mesi. Tantissime fotografie attaccate all’inferriata che delimitava l’area, sul marciapiede fiori, lumini, bandierine, peluche, bigliettini. Sulla 5th avenue, un funerale di corpi ricomposti e riconosciuti soltanto allora, il centro di New York paralizzato da un corteo interminabile. Ho capito cos’è il nazionalismo statunitense quando la proprietaria dell’abitazione in cui ho vissuto per due mesi insieme ad altri colleghi ci rimproverò perché avevamo spostato sul retro la bandiera a stelle e strisce e ci intimò di rimetterla nell’ingresso principale.
Quello doveva essere il momento della solidarietà. “Siamo tutti americani” fu infatti il titolo dell’editoriale di Ferruccio de Bortoli sul CORRIERE DELLA SERA il giorno successivo all’attentato, un riadattamento esplicito delle parole rivolte da John Fitzgerald Kennedy agli abitanti di Berlino Ovest nel 1963: “Ich bin ein Berliner”. Ne nacque un dibattito acceso su Occidente, Islam e democrazia, con il richiamo inevitabile allo “scontro di civiltà” teorizzato dal politologo Samuel Huntington. Oriana Fallaci scrisse “di pancia” il furibondo La rabbia e l’orgoglio, un’invettiva piena di livore contro gli italiani (e gli occidentali) codardi e ignavi, indifferenti alla chiamata a raccolta per la Guerra Santa contro l’invasore islamico e ormai rassegnati a vivere in un’Europa diventata “Eurabia”. Sul campo opposto, le Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani, manifesto pacifista che individuava nella non-violenza l’unica via d’uscita possibile dall’odio. Una posizione impopolare al cospetto di quasi 3.000 vittime, ma anche una lezione di umanità in mezzo alla barbarie del terrorismo, della guerra e della comoda scorciatoia che la violenza rappresenta. Sempre e comunque.

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7 risposte a “11.9, scacco agli Stati Uniti”

  1. Mi piace quando la storia che riempie i libri si mischia a quella delle persone.
    Io dieci anni fa avevo quasi 11 anni, l'attacco alle torri gemelle è il primo evento che ricordo bene. Quelle immagini mi mettevano paura, anche se non capivo che cosa davvero stesse succedendo.

    Dev'essere stata un'esperienza forte vivere lì poco dopo l'attentato.

  2. Certo, ogni volta che prendevo la metropolitana a New York un po' ci pensavo alla possibilità di un attentato. Però ho visto un popolo fiero e orgoglioso (talvolta troppo), capace di ritornare subito alla "normalità" di tutti i giorni (a parte le misure antiterrorismo)e convinto che alla fine avrebbe vinto sul terrorismo. Una dimostrazione di unità che qua ci sogniamo.

  3. Ricordo bene l'11 settembre 2001… Ero a casa di un'amica e ad un certo punto un'edizione straordinaria del tg5 interruppe le nostre chiacchiere. Un silenzio carico di incredulità, paura e un doveroso rispetto per quell'evento inspiegabile riempì la casa. Ci guardavamo senza dire niente. Ognuna di noi si chiedeva cosa sarebbe successo da allora in poi. Pochi giorni dopo avremmo iniziato la scuola. Una lezione di vita di D'Agostino ci aspettava.
    Una cosa era certa: niente sarebbe stato più lo stesso.
    Complimenti per l'articolo, come al solito sai colpire nel segno.

  4. Io me ne stavo in giro a scarpinare su una frana in Appennino, erano i tempi della tesi. All'epoca non capivo, ma quel triste spettacolo preludeva all'ultimo tentativo imperiale di colonizzare l'Asia ed il Medio Oriente.
    Chissà se tra dieci o venti anni avremo la dignità di scrivere dentro ai libri di storia qual'era il movente della strage.

  5. avevo 10 anni ed è indescrivibile esprimere con le parole quello che ho potuto pensare quando ho visto quelle immagini, una cosa posso dirla il mio primo pensieio è stato rivolto hai miei parenti che si trovano in Amertica.

    Dominik complimenti per l'articolo.

  6. Pero' fratello,
    e' proprio vero che hai il cervello degli elefanti.

    Chi l'avrebbe detto che una goccia di sarcasmo ed umorismo pure stile Forgione sarebbe stata per sempre la tua prima memoria dell'attentato?!

    Mario

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